tortura Strumento punitivo – quale accessorio per es. di una sentenza che alla privazione della vita aggiunga il modo atroce della sua esecuzione – o metodo cruento di accertare responsabilità penali, a cui erano sottoposti i sospettati di reato o anche possibili testimoni che parevano reticenti.
La t. fu praticata nel mondo antico: ne abbiamo rare testimonianze per l’Oriente; in Grecia e nella Roma repubblicana sappiamo veniva applicata agli schiavi, mentre era esclusa per i liberi, la cui credibilità era convalidata dal giuramento. Quest’ultima regola subì strappi sempre più gravi tanto nelle tirannidi greche quanto nella Roma imperiale, soprattutto per i reati politici: a Roma, in particolare, con l’accentuarsi dell’assolutismo se ne estesero i casi di applicazione, oltre che ai rei di lesa maestà, agli operatori di magie e ai rei di falso, per i quali non valeva il privilegium dignitatis. Non pare che originariamente la praticassero i popoli germanici, fermi alla procedura dei giudizi di Dio. Venuti a contatto con il mondo romano, ne ammisero l’applicazione agli schiavi ed eccezionalmente ai liberi. In complesso però l’uso della t. decadde, riducendosi al minimo fra il 9° e il 12° sec., periodo durante il quale la storia delle leggi sulla t. si rileva estremamente lacunosa.
La rinascita del diritto romano richiamò in vita la t., facendone dilagare la pratica, in Italia e fuori: se ne occuparono largamente la legislazione statutaria e quella principesca. Molto vi contribuì anche l’affermarsi e il prevalere del processo inquisitorio accanto all’accusatorio, nonché l’imperfetta organizzazione che era a disposizione della giustizia per lo scoprimento dei delitti e per la loro prova. Se ne occupò anche il diritto canonico, ma con cautela: il dictum di Graziano «quod ... confessio cruciatibus extorquenda non sit» (Decr. Grat. C. 15, q. 6, § Quod vero) fece testo come principio generale, ma le deviazioni nella pratica furono sempre più numerose, soprattutto nei reati d’eresia, pareggiati a quelli di lesa maestà, per i quali fu ammessa una moderata applicazione dei mezzi di t. così come veniva applicata una procedura speciale, più severa di quella per i reati comuni.
La dottrina se ne occupò largamente, sulla base principalmente dei testi del diritto romano, che furono peraltro liberamente utilizzati: molta influenza esercitarono per secoli particolarmente le teorie di Azzone e Accursio tra i glossatori, di Bartolo e Baldo tra i commentatori. Speciali monografie vi dedicarono i criminalisti, sollecitati dalle due materie, della confessione e degli indizi, che finivano per convergervi, perché esistevano indizi che potevano senz’altro portare alla t., e d’altra parte, essendosi data, nel processo penale, un’importanza enorme alla confessione del reo, la t. si prestò come il mezzo estremo per estorcerla, non sentendosi il giudice sufficientemente tranquillo per condannare se non quando fosse stato in possesso di tale confessione. E alla dottrina va senza dubbio riconosciuta un’opera moderatrice nei confronti della prassi giudiziaria, dove l’applicazione della t. era troppo spesso abbandonata all’arbitrio del giudice, il quale, volendo a ogni costo la confessione dell’imputato, malgrado avesse raccolto abbondanti prove a suo carico, vi ricorreva egualmente, dimenticando, come la dottrina ammoniva, che la confessione era richiesta solo in mancanza di prove. La t. era ordinata con sentenza che era suscettibile d’appello. L’esecuzione della sentenza era preceduta dalla territio verbalis, vale a dire dall’ammonizione del giudice, e quindi dalla territio realis: l’imputato era condotto nella stanza dei tormenti perché avesse un’idea della sorte che gli spettava. Riusciti vani questi due tentativi, la t. veniva applicata per gradi secondo precise prescrizioni della sentenza, alla presenza di un giudice, del cancelliere e di un medico.
Varie furono le specie di t.: la più comune, in Italia, fu il tormento della corda. Altri tormenti comuni erano: la stanghetta, con cui si comprimeva la caviglia tra due tasselli di ferro; le cannette, che si mettevano tra le dita delle mani, stringendo con una cordicella; il fuoco, con cui si scottavano per qualche momento i piedi unti di lardo; la veglia, a cui si costringeva il soggetto per molte ore in posizione scomoda (t., in origine, essenzialmente mentale, poi trasformata); l’acqua, fatta ingerire a litri; e infiniti altri. Fuori dei casi prescritti, il giudice non poteva applicare la t.: se lo avesse fatto, o ne avesse abusato, era passibile di pene, che potevano giungere fino alla morte, particolarmente quando la t. illegale avesse avuto per conseguenza la morte del torturato. La confessione estorta con la t. non bastava per la condanna, se non fosse stata ratificata in tribunale, lontano dai tormenti, a distanza di tempo (di solito, dopo 24 ore); l’imputato che invece l’avesse revocata poteva essere rimesso alla t., non più d’altre due volte.
Bisogna attendere il 16° sec. per trovarsi di fronte a una consapevole riprovazione della t.; nel secolo seguente era già viva la polemica per la sua abolizione; nel 18° sec. la condanna fu generale, e finì per influenzare la legislazione di molti Stati che tra gli ultimi decenni di quel secolo e i primi del 19° ne decretarono l’abolizione.
Pur esclusa dagli ordinamenti giudiziari della maggioranza degli Stati, la t. ha continuato ad avere applicazione non sporadica in molti paesi, non tanto contro la delinquenza comune, quanto contro gli avversari politici. Contro la t., vietata dal diritto internazionale in quanto violazione tra le più gravi dei diritti fondamentali dell’uomo, si sono ripetutamente pronunciate le maggiori organizzazioni internazionali. L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato numerose risoluzioni specificamente dedicate alla t., la cui condanna è peraltro inserita anche in tutti gli accordi internazionali sulla salvaguardia dei diritti dell’uomo. Di notevole importanza, soprattutto per l’elevato numero di Stati che vi hanno aderito, è la convenzione contro la t. e altri trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti, adottata a New York, nell’ambito delle Nazioni Unite, il 10 dicembre 1984, alla quale si è quindi aggiunta, nel più ristretto ambito del Consiglio d’Europa, una convenzione sulla medesima materia adottata a Strasburgo il 26 novembre 1987.