Politica di potenza e di supremazia di uno Stato tesa a creare una situazione di predominio, diretto o indiretto, su altre nazioni, mediante conquista militare, annessione territoriale, sfruttamento economico o egemonia politica. Dal punto di vista dottrinale l’imperialismo poggia sull’idea che i popoli più forti abbiano il diritto di imporsi su quelli più deboli.
La ricerca sull’i. in età antica è approdata sia al riconoscimento della prevalenza di ragioni di natura economica nel processo di formazione degli imperi sia alla negazione parziale o totale di quelle motivazioni. La discussione si è indirizzata maggiormente verso l’analisi del processo nella storia di quegli Stati per i quali si disponeva di una documentazione esauriente delle forme di predominio o sfruttamento di volta in volta realizzate, e di una tradizione storiografica interessata ai temi politici, etici ed economici connessi con la creazione di un impero. L’analisi tucididea delle forme dell’i. ateniese e l’eco delle proteste degli alleati sfruttati, l’indagine di Polibio sui tempi e sulle cause dell’espansione romana tra la fine del 3° e la prima metà del 2° sec. a.C., la giustificazione dell’impero nella letteratura e storiografia romane, e nello stoicismo greco ‘di mezzo’ (che, da Panezio a Posidonio, offre ai Romani una teoria dell’impero, esaltandone i benefici), e per converso le numerose testimonianze della resistenza a Roma in età ellenistico-romana, le critiche all’impero romano presenti nella tradizione cristiana, costituiscono la base su cui si è impostata la moderna ricerca sull’i. antico. La natura economica dell’i. antico è apparsa ovvia a chi considera l’appropriazione violenta dell’altrui come l’unica forma di ‘progresso’ economico nota alle società arcaiche; d’altro lato, l’inesistenza di una grande industria esportatrice paragonabile a quella moderna costituisce un limite di ogni affermazione relativa all’i. economico nell’antichità. Per Atene, si è posto il problema se il suo impianto economico e il suo i. rispondano a esigenze più ampie di quella di procurare al popolo ateniese i mezzi elementari di sussistenza. Per Roma, la discussione si è sviluppata soprattutto in relazione alla conquista dell’Oriente greco, dando origine a tesi contrastanti: quella di un’espansione programmata dal senato già dalla metà del 3° sec. a.C. e quella del cosiddetto ‘i. difensivo’; e di volta in volta si è messa in rilievo l’esistenza di un ceto militare desideroso di conquiste, o quella di un ceto mercantile influente già alla fine del 4° sec. a.C.; la responsabilità di cavalieri e pubblicani o la pressione delle masse popolari. Problemi analoghi si pongono per la valutazione della politica estera di altri Stati, come l’Egitto tolemaico, ispirata, secondo i diversi autori, a fini mercantili o di conquista preventiva.
Il termine i., inizialmente usato quasi sempre con valore polemico, fece la sua prima comparsa a metà Ottocento, quando fu adoperato in Gran Bretagna per caratterizzare il Secondo Impero di Napoleone III. Successivamente i liberali britannici lo ripresero in senso dispregiativo contro l’atteggiamento aggressivo di B. Disraeli nelle questioni coloniali e internazionali. Il termine ebbe anche, per un breve periodo, un significato positivo: C. Rhodes, ma anche liberali come A. Asquith e sir E. Grey si autoproclamarono orgogliosamente ‘imperialisti’ per indicare la loro fiducia nell’Impero britannico e in una energica politica estera. J. Chamberlain (Foreign and colonial speeches, 1897) prospettò la necessità economica e politica e i vantaggi sociali del potenziamento dell’impero.
Nell’ultimo decennio del secolo il termine venne nuovamente screditato da varie direzioni. Quanti in Gran Bretagna avversavano il rapido sviluppo del colonialismo europeo cominciarono a ricollegare con forza l’i. agli egoistici interessi economici e alle mire oltremare dei capitalisti britannici ed europei. La diffusione generalizzata del termine i. venne a coincidere con lo sviluppo senza precedenti delle colonie europee tra il 1870 e il 1914, e poté essere associato in modo particolare al colonialismo proprio perché in quel periodo questo era in forte espansione. Dopo la Seconda guerra mondiale il termine i. è rimasto vivo nella polemica ideologica e politica per definire la politica delle due superpotenze (USA e URSS) nelle rispettive zone di influenza e per indicare genericamente e con significato polemico i rapporti tra i paesi ricchi e i paesi poveri del mondo (neoimperialismo). Attualmente è utilizzato in senso molto più generale, anche in relazione a tutti i periodi della storia umana; in particolare esso è usato in due forme del tutto diverse, la prima per descrivere una situazione specifica, la seconda per delineare le dinamiche del processo storico attraverso cui un impero si è costituito.
Sul piano storiografico è invalsa la definizione di «età dell’i.» per il periodo che precede la Prima guerra mondiale e in essa trova il suo sbocco. Non altrettanto concordi sono gli storici sul momento iniziale dell’età dell’i.: gli autori che insistono sulle cause economiche del fenomeno tendono a fissarlo intorno al 1870; quanti invece rilevano l’importanza di altri fattori concomitanti ne pongono le origini nel decennio fra il 1880 e il 1890.
Fra tutte le interpretazioni del moderno i., quella basata sui fattori economici ha avuto il maggior successo. Nel 1902 J.A. Hobson sviluppò questo concetto nel suo Imperialism. A study, poi rielaborato da socialisti come O. Bauer (1907), R. Hilferding (1910), R. Luxemburg (1913), K. Kautsky (1915), per i quali l’i. è una fase inevitabile nello sviluppo del capitalismo, che si apre quando il capitale eccedente, vedendo diminuire il reddito all’interno, si indirizza verso nuovi campi di investimento all’estero. Il maggiore teorico marxista dell’i. è stato N. Lenin (L’imperialismo fase suprema del capitalismo, 1916).
Il più noto esponente dell’interpretazione sociopolitica dell’i. è stato J.A. Schumpeter, che ha sostenuto che alcuni tipi di sistemi sociopolitici sono imperialisti per natura, poiché essi perderebbero la loro ragione d’essere qualora agissero in modo diverso. Più precisamente l’i. è una caratteristica delle monarchie assolute e delle aristocrazie militariste, in quanto per le une come per le altre prestigio, ricchezza e potenza derivano da continue guerre e conquiste. Perciò l’i. sarebbe scomparso solo se la democrazia egualitaria si fosse sostituita ovunque all’irriducibile militarismo delle monarchie e delle aristocrazie.
Una terza interpretazione considera l’i. come il prodotto del moderno Stato nazionale, frutto di un nazionalismo potenzialmente aggressivo. La spinta nazionalistica, inizialmente quasi sempre a carattere liberale e anti-imperialistico, protraendosi nel periodo meno eroico successivo all’unificazione, specie quando risulta chiaro che i vantaggi conseguiti sono scarsi, cambia direzione e diventa i., sviluppando ambizioni espansionistiche.
L’interpretazione del moderno i. come risposta delle grandi potenze all’instabilità e debolezza delle periferie è frutto di studi più dettagliati su regioni e situazioni particolari, per cui ciò che a prima vista può apparire semplicemente una spinta verso l’esterno è spesso una risposta ai problemi delle periferie. Il più comune di questi problemi è quello che spesso è stato indicato come ‘destabilizzazione’ di un paese meno sviluppato; nell’ultima parte del 19° sec., probabilmente, la destabilizzazione era stata la conseguenza dei primi stretti contatti tra società indigene e commercianti occidentali, missionari ecc.; sul finire del 20° sec. essa veniva a dipendere dall’instabilità interna e dall’aggressività verso l’esterno dei deboli Stati ex coloniali. Le grandi potenze, che hanno sia una vasta gamma di interessi particolari in queste regioni sia un interesse generale per la stabilità internazionale, se intervengono possono trovarsi invischiate nelle situazioni locali al punto da non poterne più uscire senza aggravare la situazione di crisi. Per di più l’intervento può far sorgere un desiderio di interferenza e di controllo. Qualora ciò si verifichi il controllo è esercitato direttamente nella forma dell’occupazione materiale, o indirettamente per mezzo di ‘residenti’ o ‘consiglieri tecnici’. La conclusione è che l’i. può essere la conseguenza sia di avvenimenti che si verificano nella periferia sia di un’iniziativa che parte dal centro. Per quanto forte sia la spinta verso l’esterno dell’i. occidentale, e qualunque forma esso possa assumere, ci sono quasi sempre due attori nell’instaurarsi di un rapporto imperialistico, che è perciò una dinamica tra due poli. Inoltre, per mantenere una qualunque forma di dominio, lo Stato imperialista deve avere ‘collaboratori’ indigeni, senza i quali la dominazione diverrebbe insostenibile.