Nell’accezione comune, sistema economico in cui il capitale è di proprietà privata (sinonimo di ‘economia d’iniziativa privata’ o ‘economia di libero mercato’). Nell’accezione originaria, formulata con intento fortemente critico da pensatori socialisti e poi sviluppata nelle teorie marxiste, sistema economico caratterizzato dall’ampia accumulazione di capitale e dalla scissione di proprietà privata e mezzi di produzione dal lavoro, che è ridotto a lavoro salariato, sfruttato per ricavarne profitto.
Il termine c. iniziò a circolare negli ambienti del socialismo utopistico intorno alla metà del 19° sec., per indicare e stigmatizzare il sistema economico nel quale i lavoratori sono esclusi dalla proprietà del capitale. Per indicare il sistema di relazioni sociali e l’organizzazione del processo produttivo che si basano sullo sfruttamento della forza-lavoro salariata K. Marx usò invece l’espressione ‘modo di produzione capitalistico’. Questo modo di produzione avrebbe compiuto l’enorme sviluppo delle forze produttive, alimentando però per la sua dinamica interna (impoverimento dei salariati, accumulazione di capitale senza crescita corrispondente di consumi e quindi crisi di sovrapproduzione, caduta tendenziale del saggio di profitto) il crescente conflitto di classe tra capitalisti e salariati. Nell’evoluzione storica, il c. segue ai modi di produzione schiavistico e feudale ed è, secondo la diagnosi di Marx, destinato a dissolversi per lasciare spazio, a lungo termine, al comunismo (➔). Agli inizi del Novecento, il termine capitalismo fu adottato anche da autori non marxisti, in particolare da M. Weber che ha indicato la peculiarità del c. nel calcolo razionale del profitto e ne ha legato la genesi e l’affermazione al diffondersi di una nuova etica nata da correnti religiose protestanti (L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, 1904-05). J.A. Schumpeter ha distinto il c. concorrenziale della prima fase dell’economia borghese, dominato dall’emergere d’imprenditori capitalisti che dirigono imprese a proprietà familiare, dal c. trustificato, caratterizzato dalla trasformazione delle imprese in società per azioni e dalla loro fusione in trust, gruppi che dominano la scena economica e preludono, secondo Schumpeter, all’evoluzione verso un’economia di comando e pianificazione centralizzata (Capitalismo, socialismo, democrazia, 1942). Il termine c. è stato poi ampiamente accolto nella storiografia economica; è adottato, invece, limitatamente e solo da alcune correnti di pensiero negli studi d’economia.
In un uso diffuso, l’espressione neocapitalismo allude, con intenti critici, a una nuova fisionomia che il c. avrebbe assunto nel 20° sec., variamente delineata ponendo l’accento su progresso tecnologico e automazione, sul prevalere dell’oligopolio, sulla separazione della proprietà dalla gestione o sull’affermarsi delle imprese multinazionali. Con l’espressione c. di Stato è stato talvolta designato, in modo improprio, il sistema economico più correttamente detto socialismo di Stato, che poggia sull’intervento pubblico e può arrivare a concentrare nello Stato la proprietà dei mezzi di produzione, la direzione della produzione stessa e la distribuzione del prodotto tra i membri della collettività.
Di regola si collocano le origini del c. tra il Basso Medioevo, all’epoca della rinascita delle città, e il 15° e 16° sec., quando iniziò a decollare, grazie anche alle scoperte geografiche, la stagione del grande commercio mondiale. Accanto al ruolo attivo di nuovi ceti imprenditoriali borghesi, furono decisivi i processi di formazione dello Stato moderno, che presero avvio nel 16° secolo. Fondamentali furono, in particolare, le politiche mercantilistiche dei grandi Stati, che presero a finanziare industrie e compagnie commerciali, fecero ricorso al protezionismo e avviarono programmi di conquista coloniale. Tra Sette e Ottocento la storia del c. entrò in una fase di grande accelerazione con la Rivoluzione industriale che, a partire dalla Gran Bretagna, investì l’Europa occidentale e gli Stati Uniti. Secondo molti autori è in questa fase che nacque propriamente il c. moderno il quale, soprattutto in Gran Bretagna, rivendicò una completa libertà dai controlli dello Stato e il libero scambio. Nell’ultimo trentennio dell’Ottocento la grande depressione portò a una profonda ristrutturazione del c., che si fece sentire soprattutto in paesi come la Germania, dove si affermarono grandi concentrazioni industriali e nuove forme di intervento dello Stato nei processi economici, e dove crebbe il ruolo del capitale finanziario. Intanto si scatenavano gli imperialismi, frutto di una ricerca di nuovi mercati tale da non arretrare nemmeno dinanzi alla prospettiva della violenza, che infatti esplose con la Prima guerra mondiale. La crisi del 1929 segnò una gravissima battuta d’arresto nella storia del capitalismo ma fece maturare strategie di intervento statale e politiche di welfare che configuravano una coerente alternativa alle politiche liberiste e neoliberiste. Negli ultimi decenni la globalizzazione ha rappresentato il trionfo di un c. di scala planetaria, ormai svincolato da qualsiasi vincolo politico-statuale. Questa nuova fase evolutiva ha per molti aspetti approfondito il tradizionale divario tra paesi sviluppati e quelli arretrati o in via di sviluppo, nel quadro però di una crescente interdipendenza generatrice di nuove e gravissime tensioni sociali e politiche.