Popolazione dell’America Centrale, stanziata negli Stati messicani di Chiapas, Tabasco, Campeche, Yucatán e Quintana Roo, oltre che in Belize, in Guatemala, nell’Honduras occidentale e nel Salvador settentrionale.
Gli odierni M., malgrado il plurisecolare processo di acculturazione e la conversione al cattolicesimo, conservano assieme alla lingua non pochi tratti della propria tradizione culturale, comprendenti il vestiario, le tecniche di sussistenza, l’artigianato, alcune istituzioni sociali, nonché numerosi aspetti del patrimonio ideologico, quali credenze e pratiche magico-religiose, tecniche divinatorie e narrativa orale. Si tratta comunque di povere vestigia rispetto allo splendore della civiltà m. preispanica, fiorita nel 1° millennio d.C. soprattutto nel Guatemala settentrionale, nella pianura del Petén, pressoché disabitata e ricoperta di selva tropicale. A quella civiltà risalgono alcune tra le più alte realizzazioni artistiche e intellettuali dell’America precolombiana. Accanto a un imponente sviluppo architettonico, che portò all’erezione di grandi piramidi, templi e palazzi, e a raffinate creazioni artistiche, comprendenti sculture in pietra e stucco, affreschi, ceramica dipinta e arte plumaria, i M. elaborarono un perfezionatissimo sistema di computo calendarico e l’unica forma di vera e propria scrittura del Nuovo Mondo.
Le lingue parlate sono 28 e appartengono alla famiglia linguistica maya, che include anche il huasteco del San Luis Potosí e del Veracruz settentrionale; le principali sono: mam, quiché, kekchí e cakchiquel in Guatemala; chortí in Honduras; yucateco nella penisola dello Yucatán; chontal in Tabasco; chol, tzotzil e tzeltal in Chiapas.
Le intense ricerche archeologiche e la decifrazione di numerosi testi geroglifici hanno permesso di disegnare un quadro straordinariamente dettagliato della società e della storia dei Maya. Questi erano ritenuti in passato un pacifico popolo di agricoltori dispersi nei campi attorno a grandi centri cerimoniali e guidati dalla élite religiosa, essenzialmente dedita al culto e a speculazioni di carattere astronomico-matematico. Si è invece accertato che i M. giunsero a formare veri e propri Stati centralizzati, retti da sovrani ereditari e in frequente conflitto tra loro: la grandissima parte delle iscrizioni rimaste ne ricordano le vicende dinastiche e le imprese belliche.
Analogamente alle numerose alte culture della Mesoamerica, anche quella maya affonda le proprie radici nella civiltà dei cosiddetti Olmechi, sorta intorno al 13° sec. a.C. nella parte settentrionale dell’Istmo di Tehuantepec ed estesasi nei successivi 8 secoli nell’altopiano del Messico e lungo la costa pacifica fino al Guerrero a N e il Guatemala a S (v. .). Fu appunto dagli Olmechi che le prime genti maya, già dedite a un’agricoltura primitiva e dotate di ceramica a partire dal 2° millennio a.C., indubbiamente mutuarono le basi del calendario e della scrittura geroglifica.
Gli studiosi hanno applicato alla storia della civiltà maya la generale suddivisione in 3 periodi adottata per tutta l’area mesoamericana: il preclassico o formativo, dal 2000 a.C. al 2° secolo d.C. circa; il classico, tra il 200 e il 900 d.C.; infine il postclassico, durato fino alla conquista spagnola, nel 16° secolo.
Nel tardo preclassico (intorno al 3° sec. a.C.), una volta estintasi la civiltà olmeca, nella regione montuosa e costiera meridionale sorsero i primi centri propriamente maya, tra cui Izapa, El Baúl, Chalchuapa e soprattutto Kaminaljuyú, nodo di importanti vie commerciali tra la costa a S e le fertili pianure a N e destinato a divenire il più potente sito meridionale maya del preclassico. Tale fioritura si estese in breve alle pianure del Petén a N, dove sorse il grande centro di El Mirador, di cui restano le immense piramidi.
Fu nelle pianure centrali che, a partire dal 3° sec. d.C., con l’inizio dell’epoca detta classica la civiltà maya raggiunse l’apogeo (il primo monumento datato della regione risale al 199 d.C.). L’agricoltura intensiva (condotta su terreni alluvionali, in campi rialzati e anche per mezzo di forme di irrigazione) e i floridi commerci (cacao, piume, giada, selce e ossidiana, ceramica, cotone e stoffe) favorirono il moltiplicarsi degli agglomerati urbani e il sorgere di un’organizzazione sociale complessa, al cui vertice stava la figura del sovrano (ahau), detentore del potere politico e garante sul piano mistico del benessere della comunità. Nelle città maya le strutture più imponenti erano indubbiamente i centri cerimoniali, comprendenti grandi piramidi sormontate da templi, sferisteri, altari e stele scolpiti; esse erano però anche centro di attività politica e sede di mercati periodici, oltre a ospitare la nobiltà, il clero e gran parte della popolazione dedita alle attività produttive. Mentre le case di abitazione erano in legno e fango con tetti di foglie, gli edifici pubblici erano in pietra, spesso rivestiti d’intonaco e dipinti (colori predominanti erano il bianco e il rosso), talora anche ornati da rilievi a stucco, affreschi e bassorilievi; l’arco era ignoto, ma i M. usarono in sua vece la falsa volta a mensola. Malgrado la sostanziale uniformità culturale, i principali centri urbani svilupparono una varietà di stili che rifletteva la loro autonomia politica: ognuno controllava un territorio ben definito ed era contrassegnato da un ‘glifo emblematico’.
Il principale centro del Petén fin dagli inizi dell’epoca classica fu Tikal (la prima stele datata risale al 292 d.C.), la cui supremazia si estese su importanti centri secondari, quali Uaxactún e Naranjo; l’abitato copriva un’area di oltre 15 km2 e comprendeva, oltre a innumerevoli abitazioni, diversi complessi cerimoniali, con alcune tra le più imponenti piramidi dell’area m., alte fino a 45 m e racchiudenti le ricche tombe dei sovrani. In questo periodo Tikal, al pari di Kaminaljuyú nella regione meridionale, ebbe intensi contatti con Teotihuacán, la potente città del Messico centrale che tra il 2° e il 7° sec. d.C. esercitò il suo dominio su gran parte della Mesoamerica: lo testimoniano la presenza di vasellame in stile teotihuacano, i motivi iconografici di chiara derivazione messicana, l’adozione di nuove tecniche belliche, con l’uso dei dardi e del propulsore.
Con il declino di Teotihuacán, nel 6° sec., anche la civiltà dei M. subì un breve periodo di stagnazione, in cui per alcuni decenni non vennero eretti nuovi monumenti; ma durante il tardo classico (600-900 d.C.) essa conobbe il massimo fulgore, cui seguì un improvviso quanto rapido declino. Nelle pianure centrali Tikal conservò il primato, mentre altrove si affermarono centri di grande importanza, come Yaxchilán lungo il Río Usumacinta, e Palenque nel Chiapas, a O, e Copán in Honduras, a E. Dopo la fine dell’8° sec. ebbe inizio la fase di decadenza: nel giro di un secolo tutti i principali siti delle pianure centrali cessarono di registrare le vicende dinastiche, venendo progressivamente abbandonati (l’ultimo monumento datato risale al 909 d.C.).
Tra le possibili cause del crollo della civiltà maya classica gli studiosi indicano il collasso ecologico, dovuto all’eccessivo sfruttamento dei terreni e agli scompensi climatici prodotti dai massicci diboscamenti, ma anche la forte instabilità politica e sociale innescata da crescenti pressioni esterne e dall’indebolimento dell’autorità dei sovrani di fronte a un’aristocrazia divisa e bellicosa e a sudditi oppressi e scontenti. Dopo la repentina scomparsa dell’élite che aveva dominato durante l’epoca classica, la regione delle pianure centrali venne gradualmente abbandonata anche dalla superstite popolazione rurale e la civiltà maya sopravvisse nelle aree periferiche, a S e a N, dove durante il postclassico (10°-16° sec. d.C.) subì forti influssi messicani. Alle invasioni di genti di lingua nahuatl si sommò la rapida espansione dei gruppi dei M. messicanizzati della costa del Golfo, denominati M. Putún, che già nel classico tardo erano penetrati fin nell’altopiano messicano. Furono essi che, probabilmente affiancati da guerrieri toltechi, nel 10° sec. occuparono Chichén Itzá e dominarono lo Yucatán fino al 1200 circa, introducendo il culto del serpente piumato e innumerevoli altri elementi della cultura tolteca. A Chichén Itzá succedette come centro egemone Mayapán, fino alla metà del 15° sec., allorché l’unità politica si dissolse in una moltitudine di Stati minori. Nella regione montuosa meridionale, il postclassico vide affermarsi i regni bellicosi dei Quiché e dei Cakchiquel, che al tempo della conquista spagnola avevano esteso il proprio controllo su parte della costa pacifica. I M. meridionali vennero sottomessi dagli Spagnoli nel 1527, mentre quelli dello Yucatán, sconfitti dalla spedizione di Montejo il giovane nel 1540-46, si rifugiarono nella selva del Petén, ove resistettero nella città lacustre di Tayasal fino al 1697.
Gli aspetti meglio conosciuti della civiltà maya riguardano la vita politico-religiosa, argomento dominante dell’arte figurativa e dei testi geroglifici. La classe egemone, che basava il proprio potere, oltre che sulla gestione delle risorse, sul monopolio del sapere religioso, elaborò un sistema cosmologico di rara complessità, sviluppando al contempo le osservazioni astronomiche e il sistema di calcolo a base vigesimale, con una numerazione posizionale che implicava il concetto dello zero (secoli prima della sua invenzione nel Vecchio Mondo).
Il calendario si componeva di 2 cicli paralleli, uno solare di 365 giorni e uno rituale di 260, usato a fini divinatori; vi era poi un sistema di datazione continua, detto ‘computo lungo’, che partiva dal 3114 a.C., data mitica della creazione. Le conoscenze astronomiche dei M. permisero loro di calcolare con esattezza i cicli di Venere e dei maggiori pianeti e di prevedere le eclissi. Altra conquista maya fu la scrittura, che per mezzo di un complesso sistema di glifi, spesso con valore fonetico (sillabico), permise la registrazione su monumenti e libri di corteccia battuta, in forma di fisarmonica, di testi di contenuto storico e mitologico.
Molti aspetti della musica maya precolombiana sono venuti alla luce grazie alle scoperte archeologiche e agli antichi testi. Da queste fonti emerge che la musica aveva un ruolo predominante tra le arti espressive, essendo centrale in molte funzioni, come in quelle funebri (accompagnate da una processione di flauti e percussioni) o le celebrazioni per le vittorie (festeggiate dalle trombe, come mostrano gli scavi di Bonampak). Tra gli strumenti i più diffusi erano tamburi e maracas, di legno o di tartaruga, flauti e ocarine (famosi quelli di Pacbitun), realizzati in osso, legno o metallo.
La religione dei M. era politeista, pur essendo le divinità concepite come espressione di una medesima forza: gli dei maggiori erano una dozzina, identificabili sia nell’iconografia classica sia nei documenti storici dello Yucatán coloniale e raffigurati con tratti antropozoomorfici. Il principale era Itzamna, bivalente dio creatore dagli aspetti celesti e terrestri, inventore della scrittura e signore del giorno e della notte, raffigurato come un vecchio o come un serpente bicefalo; sua probabile manifestazione diurna era il dio solare Ah Kin, la cui controparte femminile era la dea lunare Ixchel, associata con l’arcobaleno e patrona delle partorienti e della tessitura. Altre figure importanti erano Chac, quadruplice dio delle piogge dal lungo naso ricurvo, il giovane dio del mais e quello scheletrico della morte; numerosi dei minori presiedevano ai diversi mestieri. La classe dominante venerava poi in special modo il dio delle stirpi regnanti, Bolon Tzacab, raffigurato nello scettro dei sovrani; e inoltre Venere, i 13 dei dei livelli terrestri e i 9 degli inferi. In epoca postclassica, sotto l’influenza tolteca si affermò in Yucatán il culto del ‘serpente piumato’ (Kukulcán, equivalente maya del messicano Quetzalcoatl), di cui restano numerose raffigurazioni a Chichén Itzá.
L’attività cerimoniale era gestita da una classe sacerdotale specializzata e gerarchizzata, e veniva scandita dai ritmi del calendario; comprendeva pratiche preparatorie (digiuno, astinenza sessuale, purificazioni), danze e giochi rituali (come quello della palla), processioni, offerte, autosacrifici (sangue versato perforando le membra con spine di razza) e sacrifici di animali e vittime umane (cui veniva estratto il cuore o mozzata la testa). La ricca tradizione mitologica, oltre che dall’iconografia e da frammentarie iscrizioni geroglifiche, è oggi testimoniata da testi indigeni redatti in epoca coloniale, come il Popol Vuh, che narra la cosmogonia dei Quiché, e i Libri di Chilám Balám dello Yucatán, di contenuto profetico.
È possibile intendere l’archeologia maya in tre modi distinti: studio delle antiche vestigia scoperte nel territorio tradizionalmente occupato dall’etnia maya; studio delle vestigia lasciate dalle società insediate nel Sud e nel Sud-Est della Mesoamerica a partire dal momento in cui è assolutamente chiaro che tali società parlavano idiomi maya e condividevano i tratti diagnostici attribuiti a questa etnia; infine, si potrebbe ulteriormente ridurre l’ambito di applicazione della disciplina allo studio delle manifestazioni della civiltà maya mediante metodi e tecniche archeologiche convenzionali. La ragione di questi diversi approcci risiede nelle problematiche connesse all’identificazione del popolo e della civiltà maya. È opportuno considerare la civiltà che tra il 400 a.C. e la fine del 17° sec. conquistò la foresta della Penisola dello Yucatán, costruendovi centinaia di città. L’architettura maya costituisce uno dei tratti più rilevanti della cultura classica (200-900). Essa scelse la forma della piramide per le costruzioni di maggiore significato religioso. I ‘palazzi’ erano invece le costruzioni destinate alla rappresentanza, di carattere orizzontale, che contrastano con la verticalità delle piramidi. Le strutture architettoniche per il gioco della pelota, integrate da piccoli templi, possiedono grande importanza in quanto questo rito formava parte delle celebrazioni politiche: sono generalmente costituite da alcuni muri paralleli terminanti in altre pareti inclinate sulle quali si suppone che la palla di caucciù dovesse rimbalzare. Raffinate le creazioni artistiche, spesso a decorazione delle costruzioni, comprendenti sculture in pietra e stucco, affreschi, ceramica dipinta e arte plumaria. Stele, architravi, altari e altri esemplari litici contengono il maggiore inventario di iscrizioni, dal momento che delle centinaia di volumi in materiale vegetale, rivestiti di stucco e dipinti, sono sopravvissuti solo quattro esemplari. Evidenze di scrittura si ritrovano anche su osso, conchiglie, giada, oggetti di legno e soprattutto sulle ceramiche.