Precipitazione atmosferica allo stato liquido.
La p. ha origine dalla condensazione del vapor acqueo contenuto nell’atmosfera terrestre intorno a nuclei di condensazione costituiti da granuli di pulviscolo, da ioni o da particelle di sostanze igroscopiche (cloruri, composti azotati e solforosi, cristalli di ghiaccio ecc.). Perché si produca una effettiva caduta di p. al suolo occorre che le goccioline di cui sono composte le nubi aumentino di volume, e quindi di peso, in modo che la forza di gravità sia maggiore delle forze ascensionali agenti nella nube; occorre inoltre che le gocce non evaporino completamente nell’ambiente non saturo esistente al di sotto della base della nube. Si può calcolare che per superare qualche centinaio di metri senza evaporare le goccioline devono avere un diametro iniziale non inferiore a 0,2 mm. I processi che portano alla formazione e all’accrescimento delle goccioline (➔ nube) sono strettamente dipendenti da vari fenomeni, fra i quali il più importante è il moto verticale dell’aria nella nube; è tale moto infatti che determina la quantità di acqua a disposizione, attraverso il più o meno rapido raffreddamento dovuto all’espansione adiabatica dell’aria. Si può dimostrare che la sola condensazione non è sufficiente a formare goccioline abbastanza voluminose e pesanti; i due processi con cui si spiega la formazione della p. sono il meccanismo di Bergeron, e il meccanismo di coalescenza.
Il meccanismo di Bergeron suppone l’esistenza nella nube di ben formati cristallini di ghiaccio, suppone cioè temperature inferiori a circa −10 °C; in questa condizione, oltre ai cristalli di ghiaccio esiste anche un gran numero di goccioline d’acqua surraffreddate. Siccome la tensione di vapore di saturazione rispetto al ghiaccio è minore di quella rispetto all’acqua alla stessa temperatura, il vapore acqueo tende a sublimare sui cristallini di ghiaccio più rapidamente e in maggiore quantità di quanto esso non si condensi sulle goccioline d’acqua, cosicché i cristallini di ghiaccio aumentano di volume, spesso a spese delle goccioline che, trovandosi in ambiente sempre meno saturo, tendono a evaporare. Quando sono divenuti sufficientemente voluminosi e pesanti, i cristallini di ghiaccio cadono (fig. 1), fondendosi in gocce nelle regioni inferiori, più calde, della nube e accrescendosi ulteriormente per coalescenza con le goccioline più piccole.
Il meccanismo di coalescenza consiste nell’accrescimento delle gocce più grandi che, muovendosi con velocità diversa da quella delle goccioline più minute, tendono a catturarle e ad assorbirle (fig. 2). Perché abbia luogo il processo di coalescenza occorre che molte delle gocce formatesi per condensazione abbiano raggiunto un diametro di almeno 0,04-0,06 mm. Quando la nube si estende ben al di sopra della quota dove regna la temperatura di 0 °C, nella formazione della p. agiscono, come si è detto sopra, ambedue i meccanismi, mentre nelle nubi basse, che non raggiungono il livello di 0 °C, è possibile solo il meccanismo di coalescenza.
Il carattere della p., cioè la quantità e la grandezza delle gocce che cadono al suolo e la durata della precipitazione, dipende in larga misura dall’influenza che vari fenomeni esercitano sulla formazione delle gocce. Un’utile classificazione delle p. può farsi in base agli elementi morfologici della precipitazione acquea, cioè in base a diametro e velocità di caduta delle gocce, e soprattutto in base alla quantità della precipitazione, elemento quest’ultimo misurato dai pluviometri (➔ pluviometria). In base a questi elementi si parla, nei vari casi, di nebbia o di p., e fra le p. si distinguono la p. leggera, quella forte ecc. (v. tab.).
L’esame della distribuzione delle p. sulla Terra (fig. 3) mostra che si ha una zona di grande piovosità in corrispondenza della fascia equatoriale; altre due zone di elevate precipitazioni si hanno in corrispondenza delle regioni temperate, dove più frequentemente si trovano i fronti polari e le depressioni. Zone locali di piovosità eccezionalmente elevata si hanno inoltre in corrispondenza di alti ed estesi rilievi montuosi (p. orografiche), come, per es., le Ande, e ciò si ha anche in relazione al regime locale dei venti dominanti (per es., le p. monsoniche del Himalaya). Importante è anche la distribuzione stagionale delle precipitazioni. Nella zona equatoriale si hanno, per la presenza di correnti atmosferiche ascendenti, p. in ogni stagione (soprattutto sotto forma di acquazzoni pomeridiani). Nelle zone tropicali la piovosità tende a seguire il Sole nel suo spostamento in latitudine, e la stagione delle p. è prevalentemente quella estiva. Nei paesi battuti dai monsoni, si ha un semestre piovoso (l’estivo: monsone di mare) e uno asciutto (l’invernale: monsone di terra).
Spesso accade che, pur essendo presente nelle nubi un quantitativo di acqua e vapor acqueo complessivamente abbondante, non si formino precipitazioni. Ciò avviene perché ambedue i meccanismi della formazione della p. sopra descritti non riescono a innescarsi, soprattutto per deficienza di nuclei di condensazione e di nuclei generatori di cristalli di ghiaccio. In queste condizioni si può intervenire artificialmente per produrre le condizioni di innesco dei processi di precipitazione mediante inseminazione delle nubi. I primi esperimenti in questo senso, al fine di produrre p. artificiale, furono compiuti nel 1946 da V.J. Schaefer, il quale trovò che disseminando frammenti di ghiaccio secco (anidride carbonica solida) in una nube surraffreddata si forma una grande quantità di cristallini di ghiaccio, per il congelamento delle goccioline surraffreddate a contatto con i granuli di ghiaccio secco (la cui temperatura è di −78,5 °C). Tali cristallini di ghiaccio possono provocare allora la precipitazione attraverso il meccanismo di Bergeron. Subito dopo i primi risultati di Schaefer, B. Vonnegut scoprì che anche i cristalli di ioduro d’argento producono cristallini di ghiaccio in nubi a temperatura inferiore a −5 °C, con successiva possibile precipitazione; l’uso dello ioduro d’argento può essere assai comodo perché esso può essere prodotto a terra in grande quantità e sollevarsi in aria sotto forma di fumo, mentre la disseminazione del ghiaccio secco deve essere effettuata mediante aerei.
Quale manifestazione del sacro celeste, la p. è fenomeno che suscita interesse religioso e storico-culturale; quale condizione della fertilità è connessa con le preoccupazioni religiose delle società che direttamente o indirettamente devono il loro sostentamento alla terra (cacciatori e raccoglitori, civiltà pastorali e civiltà agricole) e costituisce un attributo della divinità del Cielo (si pensi allo Iuppiter pluvius dei Romani, o alla forma di pioggia d’oro assunta da Zeus per fecondare Danae); particolare importanza ha la p. nei paesi in cui la siccità è minacciosa (Australia, Africa equatoriale ecc.). Presso alcuni gruppi dell’Australia centrale esiste anche il clan totemico dell’acqua, che, come gli altri clan si adoperano per la riproduzione del proprio animale (o pianta) totemico, si preoccupa di promuovere, con riti particolari, la caduta della pioggia. Altrove l’uomo della p. è una figura particolare di sacerdote o stregone oppure, per es. in Africa, il re stesso, cui è attribuito il potere magico-religioso di provocare e arrestare le precipitazioni atmosferiche. I riti per la p. hanno spesso carattere imitativo (versamento di acqua, aspersione ecc.), sia che si tratti di magia simpatetica sia di simbolismo rituale (anche nella Grecia classica, nei misteri eleusini, si invocava la p. rovesciando anfore piene d’acqua). Gli esseri sovrumani cui ci si rivolge con riti e preghiere per la p. variano secondo i tipi di religione: totem dell’acqua, antenati (specie in Africa) garanti d’ogni fertilità, divinità particolarmente connesse con la p. (per es., Tlaloc nell’antico Messico) o, come si è visto, la suprema divinità che, concepita come celeste, dispone delle acque del cielo. Animali acquatici (rane) o connessi con il cielo (uccelli) o, simbolicamente, con l’arcobaleno (serpenti) facilmente rientrano nei miti e anche nei riti connessi con la pioggia. In forma di credenza e anche di pratiche l’ideologia religiosa legata al fenomeno della p. è presente anche nel folclore europeo.
La ricaduta sugli ecosistemi terrestri di anidride solforosa, ossidi di azoto e altri contaminanti particellati, provenienti dall’utilizzo dei combustibili fossili è detta deposizione acida. Le deposizioni acide possono essere sia secche, poiché parte degli inquinanti presenti nell’atmosfera ricade al suolo non trascinata dall’acqua, sia umide, quando i contaminanti si dissolvono nell’acqua e precipitano al suolo sotto forma di p., nebbia o neve: in tali casi si parla di precipitazioni acide. Tra queste le più note sono le p. acide, precipitazioni atmosferiche caratterizzate da una sensibile acidità (pH inferiore a 5,6-5,7; nel caso di p. particolarmente acide sono stati riscontrati pH molto bassi, 3,5-4,5).
L’aumento dell’acidità atmosferica è in relazione con lo sviluppo dell’industria, dei trasporti, della produzione di energia. Il principale inquinante responsabile dell’acidità atmosferica è l’anidride solforosa (proveniente dall’utilizzazione di combustibili fossili nell’industria e nel riscaldamento domestico), che nell’atmosfera, sotto l’azione della luce solare, può trasformarsi, attraverso una serie di reazioni, in ione solfato. Anche gli ossidi di azoto (provenienti dai gas di scarico degli autoveicoli) possono essere presenti nelle p. acide sotto forma di acido nitrico. Il fenomeno delle p. acide ha un notevole impatto ambientale (acidificazione di laghi, danni agli alberi delle foreste ecc.) e sui beni artistici (corrosione di manufatti in ferro e in marmo) che può manifestarsi anche a grande distanza dalle fonti di emissione.
La presenza di p. acide è causa di un’acidificazione sia delle acque superficiali sia dei suoli. La composizione delle rocce e del limo a livello locale condiziona la capacità tamponante del sistema nel suo complesso: la presenza di carbonati, infatti, è in grado di ridurre l’acidità nel mezzo e, di conseguenza, gli effetti di questa acidità sugli organismi. La capacità tamponante ha un limite, oltre il quale gli effetti delle p. acide si rendono palesi. L’acidificazione delle acque superficiali dunque avviene in maniera più evidente dove deposizioni atmosferiche con un elevato carico acidificante interessano siti a bassa capacità tamponante: è questo il caso dell’Europa settentrionale e del settore orientale dell’America Settentrionale. In Italia la maggior parte dei laghi e dei fiumi di grandi dimensioni non è particolarmente esposta alle p. acide. A più alto rischio sono invece i laghi di minori dimensioni, come quelli alpini, in relazione alla composizione litologica del bacino imbrifero.
L’aumento dell’acidità delle acque superficiali produce alterazioni nelle comunità sia direttamente sia indirettamente: oltre agli effetti tossici diretti, per es., nelle acque acide si possono trovare in soluzione elementi o composti tossici poco solubili o insolubili in ambiente neutro, come i metalli e alcuni dei loro composti. Numerosi studi hanno riportato una correlazione inversa tra pH e contenuto di mercurio nei Pesci; è stato inoltre ipotizzato che un aumento del livello di metalli negli ecosistemi acquatici dovuto a p. acide possa essere trasferito anche ad altri animali, mammiferi inclusi, che si nutrono nelle aree acidificate.
Gli effetti delle p. acide sulla chimica e sulla biologia dei suoli sono molto differenti, in quanto riflettono l’estrema variabilità di composizione dei suoli stessi. Le precipitazioni acide possono persino avere un’influenza positiva sui terreni fortemente calcarei, in quanto riducono il contenuto di calcare, responsabile di clorosi delle piante. I terreni non calcarei, invece, subiscono l’impatto di precipitazioni acide, in misura maggiore i suoli di ecosistemi naturali, come boschi e praterie, rispetto a quelli agricoli. Gravissimi sono stati i danni subiti dalle foreste in Europa (Germania, Polonia e Svezia): in particolare, la distruzione di un gran numero di Conifere viene attribuita alle p. acide. L’acidificazione dei suoli agisce più per effetti indiretti che per effetti diretti: essa, infatti, determina carenze di nutrienti. Inoltre si determinano carenze di fosforo dovute alla tendenza, in ambiente acido, a formare composti insolubili con ferro e alluminio. Gli effetti fitotossici sono dovuti principalmente all’aumento dei metalli pesanti, presenti in ambiente acido come ioni e dunque facilmente assimilabili. Un altro effetto delle p. acide è quello che riguarda la modificazione dell’entità e della velocità dei processi di alterazione dei minerali primari, che in condizioni di acidificazione possono addirittura raddoppiare rispetto ai valori normali.