Precipitazione atmosferica costituita da aghi o lamelle di ghiaccio organizzati in cristalli con caratteristiche forme geometriche, spesso riuniti in fiocchi.
Le precipitazioni nevose provengono principalmente da vasti sistemi di nubi stratificate, animate da lenti moti ascensionali. La formazione dei fiocchi ha inizio quando le goccioline d’acqua delle nubi vengono trasportate dai moti ascensionali a una quota a cui la temperatura è nettamente minore di 0 °C; si formano allora dei minuti cristalli di ghiaccio, di forma prevalentemente esagonale. Siccome la tensione di vapore attorno ai cristalli di ghiaccio è minore di quella attorno alle goccioline d’acqua, queste ultime tendono a evaporare e il vapore acqueo sublima sui cristalli, i quali così crescono rapidamente. Se la crescita avvenisse in aria perfettamente tranquilla, la forma dei cristalli non verrebbe alterata; ma a causa dei movimenti dell’aria e della caduta stessa dei cristalli, questi tendono a crescere maggiormente in corrispondenza dei vertici, dando luogo a caratteristiche forme geometriche (fig. 1). Attraversando strati d’aria con temperatura intorno a 0 °C, i cristalli di n. diventano umidi per parziale fusione e tendono ad agglomerarsi in fiocchi che talvolta possono assumere dimensioni ragguardevoli, anche di qualche centimetro. La densità della n. appena caduta varia tra circa 0,08 e 0,1 g/cm3 (quindi 10-12 cm di strato di n. fresca corrispondono a circa 1 cm di pioggia); la densità aumenta fino a circa 0,3-0,4 g/cm3 qualche tempo dopo la caduta. La temperatura del manto nevoso dipende direttamente da quella dell’aria sovrastante e può anche superare 0 °C; oltre 2-3 °C la n. fonde rapidamente.
Non tutta la neve che cade nell’inverno fonde nei mesi estivi, specialmente in montagna; quella che rimane al suolo subisce delle modificazioni, per cui diventa granulare. Questa n. è detta n. perenne poiché di anno in anno si accumula e non scompare. È chiaro però che con il volgere del tempo essa si rinnova, sia perché quella superficiale passa in profondità e può essere asportata e fusa dalle acque di fondo, sia perché può sublimare (fig. 2). Anche le n. artiche, benché con lentezza estrema, subiscono questo ciclo di sostituzione. Si chiama limite climatico delle n. persistenti o permanenti il livello al di sopra del quale la n. caduta non può fondere interamente nell’estate; questo limite, abbastanza costante nei tempi storici, ha invece subito notevoli oscillazioni altimetriche nel decorso dei tempi geologici: esso varia da latitudine a latitudine (più elevato all’equatore e via via decrescente verso i poli, dove raggiunge il livello marino, fig. 3 e 4) e a seconda dell’esposizione (più basso a N, più elevato a S).
Il nevaio è un tratto di terreno coperto permanentemente di n. più o meno indurita che, alle nostre latitudini, in alta montagna, rimane sul suolo senza sciogliersi, ma senza trasformarsi in ghiaccio. Ogni nevaio ha dimensioni e lineamenti molto variabili da un anno all’altro, e non vi si può distinguere, come nel ghiacciaio, una regione di alimentazione e una di ablazione. Quando il nevaio è al di sopra del limite delle n. persistenti, la formazione è dovuta all’effetto di correnti d’aria locali (di norma più tiepide) che impedisce la formazione di un ghiacciaio; quando è sotto il limite delle n., è dovuta agli apporti del vento o di valanghe.
Il nevato è la n. che, depostasi oltre il limite delle n. persistenti e accumulatasi su spessori a volte considerevoli (se la conformazione della superficie non è sfavorevole alla sua raccolta), si trasforma lentamente in ghiaccio e dà così origine, in genere, ai ghiacciai. Si indica con questo nome anche la parte più alta del ghiacciaio (regione di alimentazione), detta anche gramolato o vedretta.
Il nevischio è una specie di n. granulosa friabile, ma costituita di granuli di ghiaccio molto più piccoli, di dimensioni generalmente inferiori al millimetro e di forma piatta e allungata.