Genericamente, qualsiasi tipo di organizzazione che sostituisca la proprietà e la gestione pubblica alla proprietà e alla gestione privata dei mezzi di produzione; più specificamente, con tale termine s’indica il trasferimento della proprietà dei mezzi di produzione dai privati allo Stato e l’attribuzione della gestione delle imprese socializzate a organismi autonomi, centrali e periferici, in cui sono ugualmente rappresentati i lavoratori (di qualsiasi categoria) delle imprese stesse, i consumatori e lo Stato.
Il fine della s., nell’accezione dell’originaria concezione socialista, è l’instaurazione di un regime economico più rispondente alle aspirazioni delle classi lavoratrici e in grado di tutelare nello stesso tempo gli interessi della collettività, destinando i frutti della produttività crescente al benessere collettivo. Una s. integrale implicherebbe cioè, secondo la definizione di W. Röpke, l’espropriazione della proprietà privata dei mezzi di produzione a favore della collettività, la sostituzione al libero gioco del mercato di una gestione centralizzata dell’intera attività produttiva, l’attribuzione di questa gestione a rappresentanti della collettività, una equa distribuzione del dividendo nazionale e la realizzazione del nuovo ordine non come risultato spontaneo di uno sviluppo socialistico immanente, ma come risultato di una cosciente ed energica azione politica.
La realizzazione della s. integrale ha incontrato nel tempo numerosi ostacoli. Tuttavia sono sorte diverse forme di s. parziale allo scopo di preparare gradualmente una nuova società socialista, per affidare in mani pubbliche leve particolarmente delicate della vita economica nazionale, per impedire la formazione di monopoli privati in settori di grande utilità pubblica, per stimolare l’iniziativa privata ritenuta inefficiente attraverso il confronto con un’impresa pubblica dello stesso ramo o attraverso l’opera propulsiva di uno speciale ente pubblico, per gestire direttamente una impresa che comunque dovrebbe essere sussidiata dallo Stato, o addirittura per punire determinate imprese accusate di scarsa attenzione alle esigenze sociali.
Una delle forme di s. parziale più diffuse è la nazionalizzazione, riferita a volte alla piena proprietà, al controllo e alla gestione di industrie da parte dello Stato, a volte alla gestione provvisoria da parte dello Stato di determinate imprese di interesse collettivo, a volte al semplice atto di passaggio della proprietà di determinati mezzi di produzione dai privati alla collettività e quindi, in quest’ultimo caso, fase preliminare della socializzazione. Con statalizzazione s’intende l’attribuzione allo Stato del potere di gestione delle imprese nazionalizzate e quindi l’accentramento nelle mani di un organo statale della proprietà dei mezzi di produzione e della gestione delle imprese relative. Sottospecie della statalizzazione è la municipalizzazione, in cui proprietà e gestione delle imprese espropriate sono attribuite, anziché allo Stato, a enti locali, di solito a Comuni.
Si parla di sindacalizzazione quando proprietà e gestione dei mezzi di produzione di un determinato ramo d’industria vengono attribuite non all’intera collettività, ma a coloro che lavorano nel ramo stesso. L’organizzazione economica cui aspira il socialismo delle gilde o gildismo consiste nel passaggio di proprietà dei mezzi di produzione dai privati allo Stato e nella contemporanea cessione in perpetuo del potere di gestione delle relative imprese alle associazioni di mestiere; nelle sue concrete realizzazioni essa ha perduto però alcune caratteristiche originarie e si è avvicinata al cooperativismo (➔ cooperativa), che riproduce in scala minore le caratteristiche della sindacalizzazione e che soltanto per alcuni aspetti può assimilarsi alle realizzazioni pratiche del socialismo gildista. Ancora in questa direttrice può in qualche modo rientrare l’autogestione delle imprese.
Sono comunemente inquadrate nel movimento di s., benché ne differiscano sotto vari aspetti, molte delle misure attraverso le quali si realizza l’intervento dello Stato nell’economia, e soprattutto l’assunzione della fornitura di servizi pubblici da parte dello Stato e la conseguente creazione di imprese pubbliche, l’emanazione di piani economici diretti a inquadrare e dirigere l’iniziativa privata (➔ programmazione) e le partecipazioni azionarie (determinanti o di controllo) dello Stato al capitale di grandi imprese.
Nel primo di questi casi (s. per pubblicizzazione) si ha sì la sostituzione della proprietà pubblica a quella privata, ma la gestione è affidata ad amministrazioni autonome che, anche se dotate a volte di personalità giuridica, fanno sempre parte dell’amministrazione diretta o indiretta dello Stato per cui, più che di s., si può parlare di statalizzazione di settore. Negli altri due casi si realizzano forme di economia mista, in cui proprietà privata e proprietà pubblica, iniziativa individuale e direttive statali si mescolano in varie proporzioni e spesso si contendono il campo.
Quando la s. riguarda più imprese appartenenti non soltanto allo stesso ramo di produzione, ma anche alla stessa fase di un processo produttivo si parla di s. orizzontale, mentre quando riguarda industrie dedite a fasi successive di lavorazione dello stesso prodotto si parla di s. verticale; si parla di s. per campione quando essa riguarda una sola impresa, che sia l’unica del suo genere (campione-chiave) o che sia destinata a competere sul mercato con altre imprese rimaste in mani private che producono lo stesso bene o servizio (campione-tipo).
La s. può attuarsi pacificamente e gradualmente o può essere il frutto di un processo rivoluzionario; nel primo caso l’indennizzo ai proprietari espropriati appare l’unica soluzione per non creare ingiustizie rispetto a quei settori in cui la s. non ha luogo, mentre nel secondo caso la s., in genere molto estesa, può configurarsi come una vera confisca.
Quanto infine all’organizzazione della s., questa può essere centralizzata o decentralizzata, a seconda della prevalente importanza attribuita, nel controllo sulla gestione delle imprese, a un ufficio o consiglio centrale, o alle imprese stesse cui viene riconosciuta una maggiore autonomia. Particolarmente importanti sono i problemi relativi alla formazione degli organi preposti alla gestione delle imprese socializzate e alla rappresentanza negli stessi dei lavoratori, dei consumatori e dello Stato, nonché ai rapporti tra le imprese socializzate e i lavoratori (specie in materia di consigli di fabbrica, commissioni interne e diritto di sciopero), alla raccolta del capitale attraverso emissione di obbligazioni e al controllo giuridico contabile e politico-economico dello Stato sulla gestione delle imprese socializzate.
Il complesso processo attraverso il quale l’individuo diventa un essere sociale, integrandosi in un gruppo sociale o in una comunità.
La sociologia, la psicologia e la scienza dell’educazione analizzano lo sviluppo dell’individuo e l’apprendimento focalizzando l’attenzione sulle dimensioni sociali e individuali dei processi di formazione della persona e di partecipazione ai vari aspetti della vita sociale. La s. riflette il contesto sociale dello sviluppo dell’individuo e il rapporto dinamico tra individuo e società, e può essere definita come trasformazione dell’essere biologico in un essere sociale caratterizzato da uno specifico modello culturale di percezione della realtà. Comporta l’integrazione o l’adattamento degli individui in varie strutture e relazioni sociali, rappresentate dalla classe, dalla famiglia, dai reticoli, dalla scuola e dall’ambiente di lavoro.
In sociologia il concetto di s. viene usato per indicare il trasferimento intergenerazionale di valori culturali, sistemi simbolici e norme sociali. Questa prospettiva mette in risalto la continuità dei sistemi sociali che dovrebbe essere garantita dalla s. del bambino e dell’adolescente in conformità alle norme e ai valori dominanti. In psicologia, lo stesso concetto viene usato per indicare i processi di sviluppo della personalità in diversi contesti storici e sociali, e in particolare nell’interazione con la famiglia. Nella scienza dell’educazione, la s. è connessa ai problemi dell’insegnamento e all’apprendimento, con particolare riguardo alle attività di s. organizzate e intenzionali degli educatori nell’ambito della scuola.
Il concetto di s. si basa su un assunto ambivalente: da un lato fa riferimento all’acquisizione nel corso dell’infanzia e dell’adolescenza di modelli comportamentali rappresentati dalla generazione dei genitori; dall’altro presuppone lo sviluppo dell’individuo come attore indipendente e socialmente competente di un complesso di relazioni sociali. La costruzione sociale della realtà richiede quindi la costante acquisizione pratica e teorica della realtà sociale nel processo di sviluppo dell’individuo, e nello stesso tempo l’adattamento a un mondo preesistente di simboli, mezzi di comunicazione, istituzioni e strutture di potere e di produzione. Poiché il concetto di s. non si basa né sul determinismo biologico né sul determinismo ambientale, esso introduce una prospettiva teorica più ampia, in cui sia lo sviluppo dell’individuo, sia la continuità dei sistemi sociali vengono ricondotti all’articolazione tra bisogni, capacità e fini individuali da un lato, e condizioni di vita e norme sociali dall’altro.
Le definizioni sociologiche tradizionali del processo di s. tendono ad assimilarlo all’integrazione funzionale degli individui in relazioni sociali, modelli comportamentali e strutture di interazione preesistenti, riflettendo un’idea della società come essenzialmente aproblematica, una società, cioè, che in via di principio favorisce anziché limitare lo sviluppo dell’individuo. Nell’ambito della psicologia dominano d’altro canto concezioni psicogenetiche o psicanalitiche dell’essere umano che non sono in grado di spiegare adeguatamente l’interrelazione tra lo sviluppo della personalità e le condizioni della vita sociale e lavorativa. Così le definizioni tradizionali della s. mettono l’accento sui processi di interazione tra genitori, educatori e bambini che portano all’acquisizione di competenze e norme sociali. Si tratta di definizioni che da un lato riducono l’individuo a un insieme di tratti e capacità, dall’altro insistono sulla sua dipendenza dall’ambiente sociale, trascurando di mettere in relazione in modo sistematico le variazioni dello sviluppo individuale con le differenze culturali e intraculturali nelle opportunità di apprendimento.
Orientamenti più recenti considerano la s. come un processo di sviluppo e di formazione della personalità umana che dipende sia dal patrimonio genetico sia dall’interazione dell’individuo con le condizioni di vita sociali ed ecologiche. Tale approccio riflette la convergenza di psicologia e sociologia che si è progressivamente verificata. Gli sviluppi teorici di queste discipline hanno portato all’affermarsi di una concezione della s. come un processo di autosviluppo individuale di carattere attivo ed esteso a tutto il corso dell’esistenza. Tale processo si basa sulla capacità di agire dell’individuo, sulle sue strutture e norme di interazione in specifici contesti storico-sociali, e contribuisce a formare il soggetto sia come membro della società sia come personalità unica. La ricerca sulla s. nell’ambito della psicologia focalizza l’attenzione sui processi psichici interni quali lo sviluppo motivazionale, cognitivo e linguistico in un determinato contesto sociale, e sulla trasformazione delle esperienze e degli stimoli all’apprendimento in competenze, abilità e tratti della personalità. La sociologia studia i contesti sociali e le condizioni strutturali che favoriscono o limitano lo sviluppo individuale: l’azione, la comunicazione e l’apprendimento sociali sono considerati fattori cruciali per l’acquisizione di una visione del mondo materiale, sociale e culturale. Le condizioni storiche e sociali si riferiscono alle relazioni generali e specifiche che promuovono o ostacolano lo sviluppo dell’identità. Tali relazioni sono a loro volta strettamente intrecciate allo sviluppo delle forze produttive quali la tecnologia, la scienza, l’educazione, le relazioni economiche e la struttura delle classi sociali. Lo sviluppo dell’identità si riferisce al carattere olistico dei processi di s.; ruoli, norme, conoscenze e abilità sociali non sono appresi in isolamento, ma contribuiscono piuttosto alla continuità e al cambiamento dell’identità sociale e personale dell’individuo.
Per spiegare il processo di interiorizzazione di norme e valori, ossia la trasformazione dei controlli e degli scopi sociali esterni in una struttura interiore di orientamenti e di disposizioni dell’azione, il comportamentismo ha sviluppato la teoria del rinforzo sociale di sequenze di stimolo-risposta e dell’apprendimento sociale basato sull’osservazione di modelli di riferimento per i ruoli sociali.
La tradizione psicanalitica, dal canto suo, mette l’accento sulle relazioni affettive dell’individuo con le persone di riferimento (soprattutto le figure genitoriali) che mediano l’interiorizzazione inconscia dei controlli esterni. La prospettiva psicanalitica adotta come modelli di riferimento lo schema delle fasi di sviluppo psicosessuale e il punto di vista strutturale (introiezione del Super-Io parentale).
Combinando la teoria dei ruoli con le concezioni psicanalitiche, la teoria struttural-funzionalista di T. Parsons afferma che la s. conduce all’acquisizione di orientamenti e di valori che sono alla base del comportamento di ruolo. I bisogni vengono trasformati in motivazioni ad agire secondo le aspettative di ruolo e le norme sociali nella misura in cui il controllo sociale è interiorizzato nella struttura della personalità sotto forma di Super-Io.
Rifacendosi alla psicologia evolutiva di J. Piaget, un approccio più recente postula l’interiorizzazione delle norme morali, delle aspettative di ruolo e dei simboli culturali in un processo di sviluppo cognitivo articolato in fasi.