Nell’ordinamento giuridico italiano la disciplina del riconoscimento degli effetti delle sentenze straniere è improntata ai principi della Convenzione di Bruxelles, promossa dalla Comunità Europea e conclusa il 27 settembre 1968, sulla competenza giurisdizionale ed il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni giudiziarie straniere. La Convenzione è in vigore per l’Italia dal 1973.
Tali principi avevano già posto fine – nei rapporti tra gli Stati europei partecipanti alla Convenzione – al regime di minore apertura verso le decisioni giudiziarie pronunciate in Stati esteri vigente in Italia, secondo il quale le sentenze straniere potevano avere effetti processuali nell’ordinamento italiano solo a seguito di un particolare procedimento, detto di delibazione, disciplinato dall’art. 796 del codice di procedura civile. La legge 31 maggio 1995 n. 218, di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, ha introdotto invece un’applicazione generalizzata dei principi della Convenzione di Bruxelles (e di altri trattati in pari materia ratificati dall’Italia), stabilendo il principio dell’automaticità del riconoscimento delle sentenze civili straniere, nel rispetto di alcune condizioni. Analoga disciplina è predisposta dal regolamento CE 44/2001 del 22 dicembre 2000 (e successive modifiche) riguardante la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, valevole solo per le decisioni emanate dalle autorità giudiziarie degli Stati membri dell’Unione Europea.
Presupposti per il riconoscimento automatico. - Ai fini del riconoscimento automatico delle sentenze straniere, occorre, anzitutto, che il provvedimento straniero da riconoscere possa essere qualificato come sentenza. E’ questo un presupposto non esplicitato dalla l. 218/1995, ma ritenuto logicamente imprescindibile.
Inoltre, secondo l’art. 64 della l. 218 è necessario che: a) il giudice che ha pronunciato la sentenza potesse conoscere della causa secondo i principi sulla competenza giurisdizionale propri dell’ordinamento italiano (Competenza giurisdizionale. Diritto internazionale privato); b) l’atto introduttivo del giudizio sia stato portato a conoscenza del convenuto secondo la legge del luogo in cui è stato celebrato il processo e non siano stati violati i diritti della difesa; c) le parti si siano costituite in giudizio, o la contumacia sia stata dichiarata, secondo la legge del luogo in cui si è svolto il processo; d) la sentenza straniera sia passata in giudicato, sempre secondo la legge del foro; d) la sentenza straniera non sia contraria ad altra sentenza pronunciata da un giudice italiano passata in giudicato; f) non vi sia un processo pendente davanti a un giudice italiano per lo stesso oggetto e tra le stesse parti, iniziato prima del processo straniero; infine, g) gli effetti della sentenza straniera non siano contrari all’ordine pubblico (Ordine pubblico. Diritto internazionale privato).
Il controllo eventuale della Corte d’appello. - I requisiti elencati nell’art. 64 della l. 218/1995 non differiscono sostanzialmente da quelli previsti per la delibazione delle sentenze straniere nel previgente sistema. L’importante innovazione introdotta con la riforma del 1995 sta però, come già rilevato, nel riconoscimento automatico degli effetti della sentenza straniera, che rende solo eventuale il controllo della Corte d’appello. Tale controllo, infatti, è necessario solo in due casi: a) se la presenza di uno dei requisiti indicati dalla l. 218/1995 è contestata da chiunque vi abbia interesse, oppure b) quando la parte soccombente non esegua spontaneamente la sentenza e si renda dunque necessaria l’esecuzione forzata. Nella seconda ipotesi, la pronuncia della Corte d’appello ha lo scopo di attribuire efficacia esecutiva alla sentenza straniera.