Specie (Panthera leo; v. fig.) di Mammifero Carnivoro Felide.
Ha testa grossa e larga, arti slanciati e potenti con artigli robusti, raggiunge, dopo la tigre, le massime dimensioni della famiglia: i maschi sono lunghi 1,7-3 m e pesano 150-250 kg; le femmine sono più piccole (1,4-1,7 m per 130 kg di peso medio). La coda ha un ciuffo terminale e una spina cornea al centro; il pelame è raso, in genere biondo o fulvo; il maschio ha, sul capo, sul collo e sulle spalle, una folta criniera più o meno estesa, bionda, fulva o bruno-nera.
Vive in un’ampia varietà di habitat, a esclusione delle foreste tropicali pluviali e delle regioni più interne del Sahara. L’organizzazione sociale si basa su gruppi composti da maschi adulti (uno, in genere), da massimo una ventina di femmine adulte (tra loro imparentate) e dai loro piccoli. I maschi, raggiunta la maturità, sono cacciati dal maschio dominante, si riuniscono in piccole coalizioni o vagano solitari, cercando di imporsi su di un altro branco sconfiggendone il capo. La leonessa partorisce in media 1-4 piccoli, al massimo 6, dopo 3-4 mesi di gravidanza. Caccia in gruppi, spesso composti dalle sole femmine, principalmente grossi erbivori (gnu e altre antilopi, zebre, bufali, giraffe ecc.) o animali più piccoli, ma si nutre anche di carogne.
In epoche preistoriche era ampiamente diffuso in Africa, Eurasia e nelle Americhe. In epoche storiche permaneva ancora in tutta l’Africa, nella porzione orientale del bacino del Mediterraneo (fino ai Balcani e alla Macedonia; in Grecia probabilmente era presente fino al 100 d.C.) e nel Vicino e Medio Oriente fino all’India settentrionale. Attualmente l’areale della specie è ridotto all’Africa a S del Sahara dove vivono varie sottospecie, considerate vulnerabili e in netto declino numerico; il l. berbero (Panthera leo leo), sottospecie nordafricana di grandi dimensioni, si è estinto nella prima metà del 1900. Inoltre, nel NO dell’India, nella Foresta del Gir, rimane una popolazione piccola ma in leggero aumento numerico di l. asiatico o indiano (Panthera leo persica), che ha dimensioni minori dei l. africani, una plica di pelle longitudinale sulla pancia e criniera più corta, che lascia intravedere le orecchie; vive in piccoli nuclei (massimo 5-6 individui) nelle foreste tropicali secche e aperte.
Vari popoli africani considerano pericoloso pronunciare il nome del l., che sostituiscono con termini come il «signore», il «fratello», e come assassinio sacrilego la sua uccisione.
Nelle civiltà storiche il l. ha spesso valore di simbolo o di attributo. Nell’Egitto antico, per es., la dea distruttrice Sekhmet ha testa di leone. Davanti a templi mesopotamici ed egiziani, ma anche nell’isola greca di Delo, statue di l. indicano la potente e pericolosa sacralità del luogo.
Anche nel simbolismo cristiano il l. ha un aspetto ambivalente: forza della distruzione, insieme al dragone, ma anche simbolo di regalità (Cristo è il «l. della tribù di Giuda» nell’Apocalisse). Il l. alato è attributo dell’evangelista s. Marco e, a volte, simbolo della Resurrezione.
Nome attribuito a Pinnipedi Otaridi, e precisamente a Otaria byronia delle coste meridionali dell’America del Sud, o otaria a criniera; e a Eumetopias jubata, il l. marino artico del Pacifico settentrionale.
Costellazione zodiacale (lat. Leo) tra il Cancro e la Vergine, che secondo i Greci rappresentava il l. nemeo ucciso da Ercole in una delle sue fatiche. Appare come un grosso trapezio formato da 4 stelle assai luminose, di cui quella all’estremo occidentale della base maggiore è Regolo, il cuore del Leone. Il L. minore (lat. Leo minor) è una costellazione del cielo boreale costituita da un piccolo gruppo di stelle fra il L. e l’Orsa maggiore. Si chiama Leonidi lo sciame di stelle cadenti con radiante nella costellazione del L.; generalmente visibile tra il 12 e il 17 novembre, assume addirittura forma di pioggia ogni 33 anni. Le Leonidi sono in relazione con la cometa di Temple-Tuttle del 1866 (➔ meteora).
In astrologia, il l. è il quinto segno dello zodiaco (23 luglio - 22 agosto).
Fu chiamato l. il grosso o carlino papale coniato durante il pontificato di Leone X a Roma e nelle zecche marchigiane con i tipi del l. e degli apostoli s. Pietro e s. Paolo. Molte altre monete ebbero il nome di l. dal tipo: i bianchi di Bologna del valore di 1/10 di fiorino di camera, le lire (leoni grossi) e i bianchi del valore di 15 soldi di Correggio. Fra le monete veneziane furono detti: l. Morosini il tallero per il Levante, coniato a cominciare dal dogado di Francesco Morosini, con le frazioni del mezzo, del quarto e dell’ottavo; l. Mocenigo il pezzo del valore di 80 soldi o 4 lire coniato durante il dogado di Alvise II Mocenigo, per la Dalmazia e l’Albania, anch’esso con le frazioni del mezzo, del quarto e dell’ottavo; l. per le province marittime (ma al nome ufficiale il popolo sostituì quello di galeazza per il tipo del rovescio) il pezzo da 12 lire coniato durante il dogado di Alvise Pisani con le frazioni del mezzo e del quarto. L. d’oro ebbe nome una moneta di Filippo VI di Valois re di Francia del 1338, per il tipo che raffigurava il re in trono con un l. ai suoi piedi; l. di Fiandra, la moneta d’oro dei conti di Fiandra coniata verso il 1350 da Luigi di Mâle e poi nel 15° sec. dai duchi di Borgogna.
Nome dei talleri di Francesco I e Alfonso IV d’Este duchi di Modena; presero tale denominazione dal tallero al l. (Leuwendaalder) dei Paesi Bassi, che aveva per tipo del rovescio un l. rampante, imitato in molte zecche italiane.
Per il l. come immagine araldica ➔ figura.