stemma In araldica, il complesso di tutte quelle figure, pezze, smalti, partizioni, ornamenti esteriori raffigurati secondo determinate regole, che servono a contrassegnare persone o enti. Lo s. è anche un linguaggio figurato, poiché le figure simboleggiano le qualità morali del possessore dell’arma, alludono alle sue conquiste, ai suoi possedimenti, alle sue alleanze matrimoniali, alle dignità acquisite; rappresenta, quindi, lo status del suo possessore ed è suscettibile di modifiche e variazioni.
Lo s. nasce come segno di riconoscimento (funzione primaria) e diventa, in seguito, segno di prestigio (uno status symbol che garantisce considerazione e rilievo all’interno della società) e marchio di proprietà (scolpito su palazzi, fontane, chiese, sulle porte di accesso alle città, inciso su argenti e suppellettili, indica il possesso o il diritto di giurisdizione e di dominio). Si trasmette da padre in figlio, secondo il principio dell’ereditarietà, diventando la rappresentazione tangibile di una coesione e continuità familiare. È costituito dallo scudo (➔), superficie su cui vengono posate le figure e le pezze, che si può presentare intero o diviso in più parti, e dagli ornamenti esteriori (➔ ornamento), che possono avere la funzione di semplice ornamento oppure di contrassegno onorifico.
Il termine s. deriva dal greco stefanos che indica la benda o la corona di alloro con cui si cingevano i supplicanti. Nell’antica Roma, poiché le immagini degli antenati si adornavano con corone, venivano chiamate stemmata familiarum le tavole genealogiche degli avi e per analogia gli scudetti, o tessere di forma rotonda, su cui erano segnati i loro nomi; nel Medioevo, per estensione, furono definiti s. gli scudi figurati indossati dai cavalieri durante combattimenti e tornei. La parola, di uso esclusivamente italiano, è sinonimo di arma (che riconduce al concetto di armatura, usata dai cavalieri nel Medioevo, sulla quale venivano raffigurati gli s.) e di blasone, anticamente sinonimo di araldica (➔ blasonatura).
Le fonti utilizzate per la conoscenza dell’origine e dello sviluppo degli s. e della scienza araldica (➔ araldica) sono fonti manoscritte e a stampa che illustrano dettagli araldici e diplomi di concessione o variazione di s. rilasciati da sovrani, principi, Comuni; fonti figurate (monete, medaglie, lapidi funerarie, arredi, suppellettili e soprattutto sigilli, in particolare gli ‘equestri’ che rappresentano i cavalieri con lo scudo visibile al centro del campo); raccolte di s. (i cosiddetti armoriali o stemmari compilati dal 15° sec. in poi). Dallo studio di queste fonti si può stabilire che gli s. comparvero nella prima metà del 12° sec. quasi contemporaneamente in Francia, in Inghilterra, nei Paesi Bassi, in Germania e in Italia.
Sull’origine degli s. le opinioni sono state per molto tempo discordanti, ma oggi è opinione comune che siano il risultato della fusione di tre elementi preesistenti: le insegne dei grandi feudatari, cioè le bandiere o i vessilli militari che venivano innalzati durante i combattimenti; gli emblemi sigillari delle grandi famiglie; lo scudo.
Tradizione pre-araldica. Gli uomini hanno fatto uso di emblemi come segno di riconoscimento nella vita civile e militare fin dall’antichità, sia per il diffuso analfabetismo sia per la generale sensibilità ai simboli e al loro valore. Una ricca tradizione pre-araldica si riscontra, infatti, nel mondo classico greco e romano. Greci e Romani raffiguravano emblemi su scudi, vessilli, sigilli, monete. I Greci ne usavano alcuni a carattere individuale o familiare e altri a carattere collettivo, questi ultimi riprodotti su monete, sigilli, documenti ufficiali (sul verso delle monete spesso veniva raffigurato l’attributo di una divinità, per es. il tridente di Poseidone o una pianta o un animale o un motivo geometrico).
Nell’antica Roma, ai tempi della Repubblica, la gens usava emblemi a carattere ereditario (per lo più figure parlanti o simboliche) riprodotti su monete (per es. la gens Calpurnia raffigurava un cavallo al galoppo). Le legioni avevano ben 5 insegne, tra le quali l’aquila, che divenne poi l’unico emblema delle schiere; sotto l’Impero, oltre all’aquila imperiale, ogni legione possedeva un’insegna personale come segno di riconoscimento (un oggetto, un animale, una divinità); i corpi di cavalleria usavano i vessilli, inizialmente monocromi ma già dal 3° e 4° sec. colorati diversamente a seconda degli squadroni.
Notizie scarse e imprecise si tramandano sulla storia degli emblemi pre-araldici nell’alto Medioevo; cronache letterarie narrano che Carlomagno facesse uso di uno scudo privo di figure ma che avesse situato il suo emblema, un’aquila, in cima al suo palazzo di Aix La Chapelle.
L’età medievale. Nel Medioevo gli eserciti usavano bandiere o vessilli militari (tra i vessilli del primo Medioevo, l’aquila del Sacro Romano Impero, il drago dei sassoni, il corvo dei danesi). I feudatari, investiti dall’imperatore del feudo e del titolo, stabilivano con il loro signore un patto di fedeltà garantendogli, in caso di guerra, sostegno, appoggio militare e un esercito. Ogni esercito possedeva come segno di riconoscimento un vessillo principale comune e vessilli particolari per le sue suddivisioni. Il vessillo era originariamente una lunga asta in cima alla quale veniva collocato il simbolo prescelto (normalmente quello del signore al quale l’esercito apparteneva) sotto cui veniva appesa una bandiera costituita da un pezzo di stoffa colorata. La figura o le figure simboliche del vessillo furono ricamate, in seguito, sulla bandiera stessa e con l’evoluzione dell’armatura, che non rendeva riconoscibile il cavaliere, furono dipinte sui loro scudi e ricamate sulle tuniche indossate sopra l’armatura e sulla gualdrappa dei cavalli; da allora con il termine ‘arma’ ci si riferì non solo alle armi in senso stretto ma anche alle figure rappresentate sull’armatura e sullo scudo: si cominciò cioè a usare la parola arma in senso araldico.
Il vessillo più famoso è la croce rossa in campo bianco, simbolo della cristianità, usata fin dall’11° sec. dai crociati come segno di riconoscimento durante le spedizioni in Terrasanta. La croce, inizialmente rossa per tutti, in seguito cambiò colore secondo il paese di provenienza delle truppe: i Francesi la mantennero rossa, gli Inglesi la usarono bianca, i Tedeschi gialla o oro. Durante il 12° sec. i simboli del vessillo cominciarono ad adornare anche l’elmo che era diventato chiuso e offriva pertanto ampi spazi alla decorazione.
L’origine degli s. risale quindi alla prima metà del 12° sec. (tra il 1125 e il 1150), in concomitanza con le prime crociate e con l’esigenza di riconoscimento che ne derivava, e contemporaneamente in tutti i paesi della cristianità feudale: Italia, Francia, Inghilterra, Spagna, Germania. Gli s. più antichi erano pertanto veri e propri vessilli dell’esercito usati dai grandi feudatari per distinguere le loro schiere, non vessilli familiari ma del territorio soggetto alla giurisdizione del feudatario. Erano s. molto semplici, spesso monocromi e con poche figure, per lo più torri e castelli che simboleggiavano la castellania.
Le armi. Quando il feudo da concessione personale del sovrano al feudatario divenne ereditario, anche le armi si cominciarono a ereditare. La loro struttura si complica, la superficie dello scudo (campo) spesso viene divisa da partizioni per ospitare nuove figure che simboleggiano e rappresentano nuove condizioni territoriali o familiari come conquiste territoriali, alleanze matrimoniali o cariche acquisite. Gli s. più antichi conosciuti sono quelli di Goffredo Plantageneto (m. 1151), duca di Normandia e conte di Angiò, genero di Enrico I re d’Inghilterra, s. che fu riprodotto sulla sua placca funeraria (d’azzurro, a sei leoncelli d’oro), oggi nel museo di Le Mans, e di Raoul I di Vermandois, siniscalco di Francia (un guerriero a cavallo con uno scudo scaccato), riprodotto sul suo sigillo appeso a un documento del 1146.
Gli emblemi sigillari. L’uso frequente di sigilli nel 12° sec. favorisce la nascita degli s.: contratti, testamenti, lettere, documenti ufficiali venivano autenticati con un marchio personale e riconoscibile. Gli emblemi sigillari delle grandi famiglie feudali e delle prime comunità rispondevano alla stessa necessità di riconoscimento dei vessilli: erano una firma per immagine. Le figure apposte su di essi ricorreranno poi sugli s.: leoni, aquile, pesci, cervi, rose, fiori, molte delle quali ‘parlanti’, in cui la stessa figura indica il nome del proprietario. Le figure sigillari di molte città furono alla base delle loro armi.
Il 14° secolo. La fusione sullo scudo degli emblemi ereditati dalle bandiere e dai sigilli darà origine allo stemma. Quando gli s. si cominciarono a diffondere anche presso chi non possedeva feudi, cioè presso i non combattenti, acquistarono una nuova funzione sociale, diventando simbolo di onore e di prestigio. A partire dal Trecento, sovrani, principi o signori concessero titoli e s. a famiglie non nobili che occupavano posizioni di rilievo nel governo cittadino o a famiglie benemerite; concessero le proprie armi o parti di queste (per es. Carlo VI di Francia donò nel 1395 a Gian Galeazzo Visconti, che si era sposato con Isabella di Francia, parte del suo s.) e verso la fine dello stesso secolo concessero anche armi nuove o confermarono quelle già in uso. Il principio della libera adozione, chiaramente enunciato dall’illustre giurista Bartolo da Sassoferrato nel suo trattato De insignis et armis (primo trattato di legislazione araldica, più volte edito nel corso del 15° sec.), ne favorì la diffusione poiché permetteva a chiunque di usare armi purché non appartenessero ad altri. Inutilmente si cercò di limitare l’uso degli s. ai soli nobili: Enrico V d’Inghilterra nel 1417 ne interdisse l’uso giustificandolo solo nel caso di ereditarietà o concessione da parte delle autorità.
Il 15° e il 16° secolo. La richiesta di armi aumentò a dismisura in questi secoli. Nacquero vere e proprie officine che, a pagamento, rilasciavano certificati su cui era raffigurato e a volte blasonato lo s. richiesto (Milano era un centro di distribuzione importante per l’Italia ma anche per la Germania e la Svizzera). Molti borghesi fecero uso anche del timbro (➔), cioè di elmi e corone che fino ad allora erano prerogativa esclusiva dei nobili. La protesta contro l’uso improprio di questi ornamenti divenne particolarmente accesa nel corso del 16° sec. e, nonostante nel 1535 Francesco I di Valois, re di Francia, ponesse il divieto ai borghesi di ‘timbrare’ il proprio s., essi continuarono a fregiarsene. Gli s. si diffusero tra la nuova nobiltà cittadina e la borghesia, ma anche tra gli ecclesiastici e le comunità civili e religiose; aumentò la tipologia delle figure che caricavano il campo dello scudo. Alle torri e ai castelli, simboli del feudo e della castellania, e all’aquila imperiale, simbolo di devozione all’imperatore, si aggiunse una miriade di nuove figure che presero spunto dal mondo umano, animale, vegetale, artificiale e persino fantastico: teste, busti, destrocheri, pesci, cani, buoi, rose, gigli, alberi, soli, crescenti e stelle, utensili da lavoro, oggetti sacri, animali fantastici e mitologici.
La struttura delle armi divenne più complessa; la superficie dello scudo fu divisa in più parti per ospitare nuove figure che esprimevano altri simboli e altri status, complicandosi talmente tanto in un gioco di partizioni (➔ partizione) da risultare a volte non descrivibile, mentre all’esterno dello s. si svilupparono motivi decorativi talmente ricchi da nuocere alla leggibilità dello stesso. Man mano che la struttura delle armi divenne più complessa, si manifestò con maggior evidenza il fenomeno del dinamismo araldico e, poiché lo s. è un linguaggio figurato che rappresenta attraverso i suoi simboli uno status giuridico, storico, politico, religioso, è per natura variabile, per cui un nuovo dominio, un’alleanza matrimoniale, una dignità acquisita, una concessione o una pretensione territoriale possono modificare lo s. della stessa famiglia o dello stesso personaggio (Enea Silvio Piccolomini, poi papa Pio II nel 1458, unì allo s. di famiglia il capo dell’Impero quando gli venne concesso da Federico III nel 1453; Gian Galeazzo Visconti, come già detto, inquartò l’arma di famiglia con i gigli di Francia per concessione di Carlo VI in occasione delle nozze con Isabella di Francia nel 1395).
Anche gli s. dei comuni medioevali furono suscettibili di modifiche secondo l’alternarsi al potere di una fazione o dell’altra, così come gli s. degli ordini religiosi che aggiunsero nel tempo nuovi simboli spirituali. L’arma dell’ordine domenicano, per es. (di nero cappato d’argento), che ricorda la cappa nera indossata dai monaci sulla tunica bianca, può essere raffigurata semplice o con una stella sulla cappa o con un cane che sostiene fra i denti una torcia accesa (simbolo dell’ordine chiamato a tenere accesa la luce della fede); a volte il cane appoggia una zampa sul globo (simbolo della diffusione della fede nel mondo), a volte è sormontato da uno stelo di giglio e da un ramo di palma incrociati (purezza ed eroismo nella fede).
Gli araldisti, nel corso dei secoli, hanno classificato le armi in numerose tipologie: agalmoniche (le cui figure alludono al cognome della famiglia), di dignità (che indicano la carica del possessore), di concessione (concesse da principi, sovrani, comuni per servigi resi o altro), di alleanza (composte dai quarti di altre famiglie con le quali si è contratta parentela, per es. un matrimonio), di successione (quelle di una famiglia i cui eredi hanno diritto di portarla), di pretensione (di feudi o domini sui quali si pretende un diritto), di adozione (ereditate da un’altra famiglia attraverso l’adozione di uno dei membri della stessa) e così via.
Lo stemmario (o armoriale) è una raccolta di s. disegnati, miniati, incisi, spesso blasonati, contenuti in manoscritti (sotto forma di rotoli o di codici) o in opere a stampa e conservati in archivi e biblioteche pubbliche e private. I primi stemmari hanno origine con gli araldi che avevano l’obbligo, nell’ambito della provincia loro assegnata, di redigere registri con i nomi, i cognomi, i titoli e gli s. di coloro che vi risiedevano e rotoli su cui disegnavano, coloravano e blasonavano gli s. raffigurati sugli scudi dei cavalieri per la verifica delle armi durante i tornei.
Gli stemmari sono classificati in varie tipologie: gli universali, divisi per categorie (re, duchi ecc.), gli occasionali con s. di personaggi partecipanti a un torneo, a una spedizione ecc., i provinciali con le armi di una regione, di un paese o di una provincia, gli istituzionali con gli s. di confraternite, di ordini, di università ecc. Si distinguono in ‘privati’, prodotti dalla volontà di privati, e ‘pubblici’, più recenti (dal 17° sec. in poi), che nascono nelle cancellerie sovrane e principesche e hanno carattere ufficiale poiché attestano il diritto di una persona o di un ente a usare uno stemma.
La Society of antiquaries di Londra possiede lo stemmario più antico: è un rotolo inglese che contiene 486 s., disposti su 54 colonne, ciascuna composta da 9 s., datati intorno al 1300; un altro rotolo (1335-45), conservato nella Biblioteca civica di Zurigo, è costituito da 13 pezzi di pergamena in cui sono raffigurati a colori 559 s. e 28 vessilli vescovili. Altro stemmario pregiato, a forma di codice, è quello conosciuto sotto il nome di Gelre o di Wappenbock, con oltre 1800 s., compilato fra il 1340 e il 1370 dall’araldo Heynen detto Gelre e conservato nella Bibliothèque royale Albert Ier di Bruxelles. Nel 15° sec. le raccolte di s. divennero più frequenti; fra tutti citiamo lo stemmario francese dell’araldo Berry con circa 2000 s. e una genealogia dei re di Francia da San Luigi fino a Carlo VII, della Biblioteca Nazionale di Parigi. In Italia i più antichi stemmari comprendono il Codice Capodilista (1434) della Biblioteca civica di Padova, le Tavolette di Biccherna, conservate nell’Archivio di Stato di Siena, dipinte da Giovanni di Paolo nel 1460 e da Sano di Pietro fra il 1472 e il 1481, e il Codice Trivulziano (1460 ca.), conservato nell’Archivio storico civico di Milano.
Dopo il 15° sec. sia in Italia sia in Europa gli stemmari raggiunsero una notevole perfezione artistica: nell’Archivio di Stato di Torino si trovano i Consegnamenti con gli s. di famiglie appartenenti agli Stati sabaudi, riconosciuti dal 1580 in poi; a Roma la Biblioteca Casanatense conserva uno stemmario ricco di circa 900 s. acquerellati: Stemmi gentilizi delle più illustri famiglie romane (16°-17° sec.); altro blasonario, compilato da Marco Cremosano nel 1673, è oggi nell’Archivio di Stato di Milano, dove si trova anche il Codice araldico di Maria Teresa, che registra gli s. riconosciuti e concessi dal 1786 al 1845. Per il Granducato di Toscana lo stemmario ufficiale è costituito dai circa 46 volumi di grande formato che contengono s. e alberi genealogici miniati di tutte le famiglie patrizie e nobili del Granducato (Libri d’oro).
Nel 19° sec. sono state pubblicate numerose raccolte di s. di famiglie, città o comuni, province e Stati, come l’Armorial général di J.B. Rietstap (1861), che contiene s. di tutta Europa, il Dictionnaire des figures héraldiques (7 vol., 1894-1903) di T. De Renesse, il Dizionario storico blasonico delle famiglie nobili e notabili italiane estinte e fiorenti di G.B. di Crollalanza (3 vol., 1886-1890) e L’enciclopedia storico-nobiliare italiana di V. Spreti (6 vol. e 2 indici, 1928-1935).