Armatura difensiva del capo.
L’uso dell’e. inizia nell’Età del Bronzo. Gli Egiziani non lo usarono e nelle scene di guerra lo portano solo i mercenari asiatici e occidentali. Nei monumenti mesopotamici ne compare un tipo di cuoio a campana con apici e ripari sopra le orecchie, poi un tipo a punta con appendici cornute e paranuca. Forme in cuoio a campana con paranuca, paraguance e cresta si trovano nei rilievi ittiti. L’ e. miceneo, di metallo, reca talvolta un pennacchio, e così anche quello degli eroi omerici. La Grecia già dall’età arcaica conosce l’ e. corinzio, che copre tutto il volto con due aperture per gli occhi, paranaso e cimiero a cresta. Una variante è costituita dall’ e. ionico senza paranaso e con frontale triangolare decorato. Nella metà del 6° sec. a.C. compare il tipo di e. attico, a calotta, con paranuca e paraguance mobili, sormontato dal cimiero. Si usarono in Grecia anche tipi a pìlos, configurati a testa leonina, e varie forme assunse il cimiero. L’ e. cornuto compare fra le popolazioni celtiche e nell’Europa settentrionale.
I Romani usarono dapprima i tipi detti galea, di cuoio, e cassis, di metallo a calotta senza visiera, che soppiantò il primo pur rimanendo il nome di galea per ogni tipo. Nel 2° sec. a.C. gli hastati, i principes e i triarii avevano un casco bronzeo con pennacchio di 3 ali rosse e nere, i velites un piccolo casco spesso con protome di lupo ( galericulum); i legionari un tipo a calotta metallica con paranuca e paraguance mobili, sormontato da un anello o un bottone. Gli ufficiali portavano il cimiero di piume o di crini ( crista, iuba). I vessilliferi coprivano l’e. con pelle ferina. Una classe a parte è rappresentata dagli e. gladiatori metallici con larghe tese e visiera a grata, grandi creste e cimieri, riccamente decorati di figure sbalzate.
Gli e. longobardi e carolingi non presentano differenze sostanziali rispetto a quelli romani. Verso la fine del 12° sec. inizia il dualismo tra bacinetto, che si riallaccia al casco primitivo e da cui deriveranno i successivi e. da guerra, e il vero e. da combattimento (fig. 1A), da cui si svilupperanno gli e. da torneo (fig. 1B), e da parata. Nel 13° sec. l’e. si fece più chiuso e finì per coprire tutto il capo; caratteristico è l’e. cilindro-conico forato per la respirazione, con una o due fessure orizzontali per la vista. Nel 14° sec. si ebbero e. sempre più perfezionati dal punto di vista difensivo (fig. 1C); il camaglio fu rinforzato mediante la cervelliera, che si trasformò poi in barbuta; al bacinetto fu aggiunta la visiera. Particolarmente pesanti erano gli e. da gioco guerresco.
Nel 15° sec. compare l’ elmetto, più leggero e usato fino alla metà del 17° sec., insieme al quale ha larga diffusione la celata. Particolare valore d’arte ebbero le celate italiane, specialmente veneziane, del Quattrocento. Gli elmetti più antichi sono in 3 pezzi, ma già nel 15° sec. acquistarono un frontale (fig. 2A), che raddoppiava la parte anteriore del coppo, e una rotellina, a protezione ulteriore della nuca. L’ elmetto da incastro (fig. 2B) è quello caratterizzato da un canale girocollo ricavato metà sul margine inferiore del coppo e metà sulla barbozza. Tale canale si disponeva sul cordone che orla il girocollo della goletta e consentiva così la rotazione della testa assicurando nel contempo continuità di protezione. Particolare variante di elmetto da cavallo è quello alla unghera caratterizzato da una visiera a gabbia e da un soprabarbozza a lame orizzontali articolate una sull’altra. L’elmetto alla tedesca era di forme più aderenti e con gronda a lame.
Caduto in disuso alla metà del Seicento, fu solo a partire dalla Prima guerra mondiale che gli eserciti belligeranti adottarono nuovamente a protezione del capo, specialmente dalle schegge di granata, un e. metallico (di varia forma a seconda dei vari eserciti), che ancora oggi costituisce il copricapo militare bellico.
Forme particolari di elmetto si adoperano per la protezione del capo in alcune attività civili particolarmente pericolose, per es. nelle industrie estrattive.
Distintivo di cavalleria nel Medioevo, era offerto come premio ai vincitori nei tornei. La forma è mutata nei secoli secondo l’epoca e l’evoluzione degli armamenti militari ma gli e. cosiddetti ‘araldici’ sono per lo più di tre tipi: l’ e. tinare o pentolare (13°-14° sec.) di forma cilindrica, chiuso, con fessure per la vista; l’ e. chiuso (15°-16° sec.) provvisto di una sola fessura orizzontale; l’ e. graticolato (16° sec. e seg.) con griglie o affibbiature per la vista e la respirazione. Raffigurato dentro lo scudo è simbolo di valore militare, prudenza e imprese guerresche; posto sopra lo scudo fa parte degli ornamenti esteriori e contrassegna i diversi gradi nobiliari (➔ ornamenti esteriori; timbro).
La materia, la forma e la posizione dell’e. sono indicative per la sua attribuzione; furono regolamentate dai trattatisti di araldica fin dal 17° sec. e le norme stabilite furono osservate, nei secoli successivi, dall’araldica ufficiale. L’e. può essere d’oro (usato da sovrani, principi e duchi), d’argento (da marchesi e conti), di acciaio (da gentiluomini). Si può presentare aperto, cioè con la visiera interamente alzata; semiaperto, con la visiera alzata a metà; graticolato, provvisto di griglie per la vista e la respirazione; chiuso, con la visiera calata. Può assumere diverse posizioni: in maestà se posto di fronte; in terza se è rivolto a destra per due terzi; di profilo se è rivolto interamente a destra; rivolto se guarda a sinistra. Sono parti dell’e. le affibbiature (griglie poste nell’apertura), che, nel caso in cui l’e. sia posizionato di profilo e in terza, sono visibili rispettivamente per metà e per due terzi, e il collare (un cordone con una medaglia). I suoi ornamenti sono il cercine, i lambrecchini (➔) e il cimiero.
La larghezza dell’e., secondo le leggi araldiche, non deve superare i cinque settimi del lato superiore dello scudo. Di norma sopra lo scudo viene situato un solo e. ma se ne possono collocare anche diversi nel caso in cui lo scudo contenga più armi (uso frequente in Germania). Se gli e. sono in numero pari si pongono affrontati (quelli di destra rivolti a sinistra e viceversa), se sono in numero dispari quello al centro, generalmente, si pone in maestà. Quando sono numerosi vengono posizionati anche ai lati dello scudo: quelli alle estremità destra e sinistra appartengono, di solito, ai quarti familiari meno importanti. Gli stemmi di ecclesiastici, donne, enti morali non vengono fregiati con l’elmo.
Gli e. relativi ai diversi gradi di nobiltà sono: l’e. di imperatore e re: d’oro, rabescato, aperto, in maestà; l’e. di principe e duca: d’oro, rabescato, semiaperto, in maestà; l’e. di marchese: d’argento, rabescato e bordato d’oro, semiaperto, graticolato di 11 pezzi (o affibbiature d’oro), in maestà; l’e. di conte: d’argento, rabescato e bordato d’oro, graticolato di 17 pezzi, in terza; l’e. di visconte: simile a quello di conte ma graticolato di 13 pezzi; l’e. di barone: d’argento liscio, bordato d’oro, graticolato di 13 pezzi, in terza; l’e. di patrizio: d’argento, rabescato d’oro, semiaperto, di profilo; l’e. di nobile: d’argento liscio, bordato d’oro, aperto, graticolato di 9 pezzi, di profilo; l’e. di cavaliere ereditario è come quello dei nobili ma graticolato di 3 pezzi; l’e. di bastardo: di acciaio liscio, chiuso e rivoltato; l’e. di gentiluomo (non nobile): di acciaio liscio, aperto, di profilo. E. di ospitalità è definito l’e. che veniva collocato da signori e gentiluomini sulle porte dei loro castelli per indicare ai cavalieri di passaggio la disponibilità a ospitarli.
Complesso delle lacinie superiori del perianzio, saldate o conniventi, formanti una calotta.