Argomentazione logica che permette di risalire da un fatto noto a un fatto ignorato (art. 2727 c.c.). Le p. possono essere legali (art. 2728 c.c.) o semplici (art. 2729 c.c.). Le p. legali si distinguono in assolute (iuris et de iure) e relative (iuris tantum). Per le p. legali assolute non è ammessa la prova contraria e quindi si può dire che esse integrano un processo logico già compiuto in astratto dal legislatore, per cui – date certe premesse in fatto – se ne devono trarre necessariamente certe conseguenze giuridiche. Tale per esempio la p. legale di concepimento quando la nascita avvenga dopo 180 giorni dalla celebrazione del matrimonio e prima di 300 giorni dal suo scioglimento o annullamento (art. 232 c.c.). Le p. relative dispensano dalla prova coloro a favore dei quali sono stabilite e pongono sulla controparte l’onere della prova contraria. Le p. semplici non sono stabilite dalla legge e sono lasciate alla prudenza del giudice, il quale deve ammettere solo p. gravi, precise, concordanti e limitatamente al caso in cui non è esclusa la prova per testimoni.
Nel diritto e nella procedura penale, la p. di non colpevolezza è il principio secondo cui un imputato è innocente fino a prova contraria. In particolare, l’art. 27, co. 2, della Costituzione afferma che «l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva». Tale principio risponde a due esigenze fondamentali: affermare la p. di innocenza e prevedere la custodia cautelare prima dell’irrevocabilità della sentenza. L’imputato, infatti, non è assimilato al colpevole fino al momento della condanna definitiva. Ciò comporta il divieto di anticipare la pena, mentre consente l’applicazione delle misure cautelari. Secondo la Corte costituzionale (sent. 124/1972) questa disposizione va interpretata nel senso che l’imputato non deve essere considerato né innocente, né colpevole, ma soltanto «imputato». Tale regola è meglio precisata nell’art. 6, co. 2, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in base alla quale «ogni persona accusata di un reato è presunta innocente sino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata». Sulla base di questo principio, l’onere di provare la reità dell’imputato incombe sulla pubblica accusa, rappresentata nel processo dalla figura del pubblico ministero; mentre alla difesa spetta il compito di provare l’esistenza di fatti favorevoli alla propria tesi. In altre parole non è compito dell’imputato dimostrare la propria innocenza, che deve essere, appunto, presunta, bensì dell’accusa dimostrare la sua colpevolezza. Posta la p. di innocenza, per poter dichiarare pubblicamente che un individuo è colpevole è quindi necessaria la prova, oltre ogni ragionevole dubbio, che quell’individuo è il responsabile del reato, dimostrando che è stato proprio lui a cagionarlo: l’obiettivo di punire chi ha colpevolmente causato l’evento non può essere raggiunto se (anche) causalità e colpevolezza non sono provate al di là di ogni ragionevole dubbio. Nelle ipotesi in cui la prova manchi, sia insufficiente o contraddittoria, il giudice emetterà sentenza di assoluzione.
Nella teologia cattolica, peccato di p. è quello che consiste nel riporre nell’uomo la capacità di raggiungere la salvezza eterna, senza il soccorso della grazia. Si oppone alla virtù della speranza.