Nel diritto processuale penale, si definisce così quella di non doversi procedere o di assoluzione. Quella di non doversi procedere si limita a statuire su aspetti processuali che precludono un accertamento nel merito della vicenda storica; per tale motivo viene definita una sentenza meramente processuale. In particolare, le formule conclusive della sentenza di non doversi procedere sono: sentenza di non doversi procedere perché l’azione penale non doveva essere iniziata o non deve essere proseguita (per es., carenza della condizione di procedibilità prevista dalla legge per quella determinata fattispecie incriminatrice o mancanza, insufficienza o contraddittorietà della relativa prova), o per estinzione del reato (morte del reo, amnistia ecc.).
Il secondo tipo di sentenza di p., quella cioè di assoluzione, contiene, invece, un vero e proprio accertamento nel merito che il giudice ha sviluppato mediante la raccolta del materiale probatorio. Essa è, pertanto, idonea a fondare l’efficacia del giudicato nei processi civili, amministrativi e disciplinari in base agli art. 652-654 c.p.p. Sotto il profilo formale, un aspetto comune a entrambi i tipi di p. è la formula terminativa, una sorta di riassunto della motivazione della decisione che il giudice deve pronunciare. Tali formule sono tassativamente previste dalla legge agli art. 529-31 c.p.p. e devono essere precisate dal giudice nel dispositivo. Le formule terminative della sentenza di assoluzione seguono un’autentica gerarchia che inizia da quelle più favorevoli all’imputato e termina con quelle meno favorevoli: a) assoluzione perché il fatto non sussiste, ossia per mancanza dell’elemento oggettivo (la condotta, l’evento e il nesso di causalità); b) assoluzione perché l’imputato non ha commesso il fatto: il fatto sussiste sotto il profilo oggettivo, ma è stato commesso da persona diversa dall’imputato; c) assoluzione perché il fatto non costituisce reato: il fatto sussiste nei suoi elementi oggettivi ed è stato commesso dall’imputato, tuttavia non integra un illecito penale per mancanza dell’elemento soggettivo, o per la sussistenza di una causa di giustificazione; d) assoluzione perché il fatto non è previsto dalla legge come reato: la vicenda storica non rientra in alcuna fattispecie incriminatrice né sotto il profilo oggettivo, né sotto quello soggettivo; e) assoluzione perché il reato è stato commesso da una persona non imputabile o non punibile per un’altra ragione: il fatto è stato commesso ed è penalmente rilevante, ma l’imputato non è punibile in concreto (per es., perché minore degli anni 14, per infermità, per immunità ecc.). Queste formule assolutorie devono essere applicate non solo in mancanza di prove sulla reità dell’imputato, ma anche in caso di insufficienza o contraddittorietà delle stesse.
Con la sentenza di p., sia di non doversi procedere sia di assoluzione, il giudice ordina la liberazione dell’imputato in stato di custodia cautelare e dichiara la cessazione delle altre misure cautelari personali eventualmente disposte. Nell’ipotesi di assoluzione per un reato perseguibile a querela con le formule il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso, il giudice condanna il querelante al pagamento delle spese del procedimento anticipate dallo Stato e alla rifusione delle spese, nonché al risarcimento del danno a favore dell’imputato assolto e dell’eventuale responsabile civile. Il codice di procedura penale ha considerato che l’imputato ha interesse a ottenere l’assoluzione nel merito perché questa formula è certamente più vantaggiosa rispetto a quella di non doversi procedere. In tale prospettiva l’art. 129, co. 2, c.p.p. impone al giudice l’obbligo di pronunciare sentenza di assoluzione, anche quando ricorre una causa di estinzione del reato, se «dagli atti risulta evidente» l’innocenza dell’imputato per uno dei motivi sopra indicati.
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Dalla non considerazione di colpevolezza ex art. 27, comma 2, cost. alla regola dell'oltre il ragionevole dubbio di Vincenzo Garofoli