GIUDICE (dal Iat. iudex; fr. juge; sp. juez; ted. Richter; ingl. judge)
Per giudice, in senso stretto, s'intende una persona o un insieme di persone chiamate a definire un processo mediante una decisione avente forza giuridica. Ma la stessa parola è stata ed è usata anche con significati più larghi e imprecisi.
In ogni caso si fa distinzione fra giudice e arbitro: il primo suppone l'esistenza di norme a cui deve obbedire conformandovi la decisione; il secondo, invece, può non seguire la regola del diritto quando sia autorizzato dalle parti a decidere come amichevole compositore (art. 20 cod. proc. civ.). Nel linguaggio giuridico per arbitro s'intende chi è chiamato a giudicare dalla volontà delle parti interessate, derivando da questa volontà, anziché dall'attribuzione di una pubblica funzione, il potere di decidere. Talora sono chiamati arbitri dei veri giudici istituiti dallo stato con funzioni di natura giurisdizionale; in questi casi la parola "arbitro" assume un significato improprio; ma è da rilevare che il legislatore qualifica gli organi giurisdizionali come arbitri solo quando attribuisce loro, in modo eccezionalmente esteso, il potere di far uso dell'equità.
Altra distinzione che va rilevata è quella tra "giudice" e "magistrato", poiché per magistrato s'intende una persona rivestita di un'elevata funzione pubblica, che può essere non solo giudiziaria, ma anche amministrativa; ogni giudice è quindi magistrato, ma vi sono anche magistrati che non sono giudici. E affinché il concetto di giudice, intesa questa parola nel suo preciso e ristretto significato giuridico, rimanga esattamente determinato, bisogna distinguere fra "giudice" e "organo giurisdizionale" o "tribunale" (nel senso generico di organo giurisdizionale), che talora con lo stesso termine di "giudice" viene indicato. L'espressione "organo giurisdizionale" o "giudiziario" viene usata in due sensi, o per indicare il vasto e vario insieme di organi mediante i quali lo stato esercita il potere giudiziario, o per indicare singolarmente alcuno degli organi facenti parte di questo insieme. Ogni singolo organo giurisdizionale ha (meno che in periodi di civiltà affatto primitiva) una struttura complessa; è formato, cioè, da più organi minori o secondarî, ciascuno dei quali è caratterizzato dalla natura delle attività che deve svolgere in relazione con quella che devono svolgere gli altri, affinché l'organo giurisdizionale svolga la sua funzione. Questi organi secondarî, se si considerano dal punto di vista della natura dell'attività che sono destinati a compiere e da cui ricevono la fisionomia loro propria, sono sempre eguali in ogni organo giudiziario, benché possa variare il loro nome, la loro costituzione e anche la forma della loro attività, e cioè: a) uno è destinato a compiere gli atti prevalentemente materiali (funzione di esecuzione) e viene chiamato usciere, messo, ufficiale giudiziario, ecc.; b) uno è destinato prevalentemente a provvedere alla conservazione, all'ordine e alla documentazione di tutto ciò che si riferisce ai processi e in genere all'attività dell'organo giurisdizionale (funzione di documentazione o certificativa) e viene chiamato cancelliere, segretario, ecc.; c) uno, infine, è destinato a svolgere prevalentemente le attività necessarie per la direzione (funzione di direzione) e per la decisione dei processi (funzione di decisione). Quest' ultimo organo minore, cui è attribuita quell'attività decidente che costituisce la ragione dell'esistenza dell'intero organo giurisdizionale, è quello che si dice, in senso stretto e preciso, il "giudice"; esso può essere formato da una sola persona fisica (giudice singolo o unico) e allora cumula le due funzioni di direzione e di decisione; oppure può essere formato da più persone fisiche (giudice collegiale) e allora in esso si distingue, caratterizzato da suoi particolari poteri, un capo (presidente) a cui appartiene la funzione di direzione, mentre al collegio, compreso il suo capo, appartiene la funzione di decisione.
Nel caso di organo giudicante composto di più persone, può avvenire che una o più di queste debbano giudicare soltanto circa i fatti della causa (questione di fatto) e le altre debbano decidere sull'applicazione della legge ai fatti (questione di diritto); quando ciò avviene, si distingue un giudice del fatto e un giudice del diritto, formanti insieme un unico organo decidente che emette una decisione unica. Può anche avvenire che il giudice del fatto e il giudice del diritto costituiscano due organi separati ed emettano decisioni separate ma tra loro coordinate. Così avveniva secondo il sistema processuale romano delle formulae, secondo il quale la questione di diritto veniva risoluta in iure dal magistrato (praetor), la questione di fatto, veniva decisa poi in iudicio da un altro organo giudiziario (iudex, arbiter) che condannava o assolveva secondo che riteneva veri o no i fatti cui era stata subordinata l'attuazione pratica della decisione del magistrato. Con il sistema processuale della extraordinaria cognitio le attribuzioni di giudicare sul fatto e sul diritto vennero riunite in un unico organo giudicante. In seguito nessun sistema processuale ha adottato la separazione dei due giudizi facendo precedere la decisione sul diritto alla decisione sul fatto. Non infrequentemente, invece, nei tempi passati e negli attuali, si sono avuti e si hanno sistemi processuali con organi giudicanti formati da giudici del fatto e da giudici del diritto, i quali ultimi hanno il compito di emettere la decisione applicando il diritto ai fatti accertati dai primi; tali gli organi giudiziarî funzionanti con giurati. Vi sono pure sistemi processuali che regolano la revisione delle sentenze impugnate anche con l'istituzione d'organi competenti solo nei limiti della questione di diritto; tale la corte di cassazione.
Quando gli organi giudicanti sono formati da più persone, può darsi che alcune di queste assumano funzioni speciali: in considerazione di queste i giudici vengono diversamente qualificati, e abbiamo così il giudice relatore, che ha l'incarico di riferire al collegio sul processo da decidere; il giudice delegato, che ha l'incarico di compiere alcuni atti (mezzi istruttorî, liquidazioni di spesa, ecc.) in rappresentanza del collegio di cui fa parte; il giudice estensore, che ha l'incarico di redigere la sentenza deliberata dal collegio, ecc.
I giudici, nel senso di organi giudicanti, vengono classificati secondo varî criterî: a) secondo l'indole della materia a cui si riferiscono i processi la cui decisione è a essi attribuita: giudici civili, penali, amministrativi, corporativi, ecclesiastici, ecc.; b) secondo l'indole e l'ampiezza della giurisdizione: giudici ordinarî e speciali, e tra i giudici speciali si qualificano privilegiati quelli per cui la natura speciale della giurisdizione dipende, anziché dalla materia, dalla qualità delle parti nei processi; c) secondo che spetta, o no, la funzione di giurisdizione necessaria per giudicare un dato processo, si distingue tra giudice competente e incompetente; d) secondo la sede in cui viene esercitato l'ufficio, si distinguono giudici stabili (se agiscono sempre nella stessa sede) e ambulanti (se agiscono in sedi diverse dove si recano periodicamente o quando occorra); e) secondo la gerarchia, si distinguono fra giudici inferiori e giudici superiori, e secondo il grado di giurisdizione si distinguono giudici di primo grado, di secondo grado o d'appello, di terzo grado (tribunali di terza istanza o, se la terza istanza è limitata alla questione di diritto, cassazione). Inoltre i giudici, più particolarmente nel senso di persone fisiche formanti organi giudicanti, si classificano: a) secondo i limiti del tempo per cui è attribuito l'ufficio, in giudici permanenti e giudici temporanei; b) secondo la cultura presupposta dalla nomina, in giudici togati (se la nomina avviene in considerazione o anche in considerazione della cultura giuridica) e giudici popolari; c) secondo la professione, in giudici di carriera (appartenenti alla carriera giudiziaria) e onorarî; d) secondo il sistema di nomina, in giudici impiegati (funzionarî nominati e stipendiati dallo stato), elettivi, sorteggiati.
Sono questioni delicate e gravi quelle che concernono la preferibilità di giudici unici o collegiali, togati o popolari, stabili o ambulanti, impiegati stipendiati dallo stato o onorarî o retribuiti dalle parti mediante sportulae, e altre simili. Nell'attuale legislazione italiana, come in quasi tutte le legislazioni contemporanee di paesi civili, i giudici togati prevalgono fortemente sui giudici popolari. Il personale giudicante degli organi della giurisdizione ordinaria italiana è costituito da impiegati stipendiati dallo stato (così il personale giudicante delle preture, dei tribunali e delle corti d'appello e di cassazione), meno il personale degli uffici di conciliazione che è formato da giudici popolari non retribuiti con stipendî. Anche negli organi di giurisdizioni speciali i giudici togati e impiegati prevalgono sui giudici popolari e onorarî, pur essendo questi ultimi chiamati a far parte di non pochi di tali organi.
Quanto alla composizione degli organi giudicanti, il legislatore preferisce il sistema del giudice unico per i tribunali inferiori (conciliatore, pretore), mentre preferisce il sistema del giudice collegiale per i tribunali di grado elevato sia per l'importanza della competenza sia per l'attribuzione di giurisdizioni di secondo grado o cassazione (tribunale, corte d'appello, cassazione).
Bibl.: Ch. Lécrivain, s.v. Iudex, in Daremberg e Saglio, Dict. des antiquités grecques et romaines; A. Steinwenter, s.v. Iudex, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl.: G. Rotondi, s. v. Giudice delegato, in V. Scialoja, P. Bonfante, R. De Ruggiero, Dizionario di diritto privato, Milano 1923; L. Rossi, La funzione del giudice nel sistema della tutela giuridica, Roma 1924.