La distinzione tra una disposizione e una norma riflette la dialettica tra legislazione e interpretazione (lex e interpretatio, secondo la terminologia utilizzata dai giuristi medioevali) o, per dirla in altri termini, tra il «diritto astratto» e il «diritto concreto», secondo O. Bähr, ovvero ancora, secondo una distinzione formulata da Pound, tra il «diritto nei libri» e il «diritto in azione».
In linea di massima, per disposizione si intende la proposizione normativa (o enunciato) contenuta in un testo e per norma ciò che risulta a seguito dell’attività interpretativa di una disposizione. Questa problematica, anche se risalente addirittura al periodo del ius commune (da cui il noto brocardo «in claris non fit interpretatio»), è stata affrontata dalla dottrina giuridica italiana con particolare attenzione a partire dagli anni cinquanta del Novecento, attraverso il ricorso alla distinzione tra «testo» e «norma». Secondo una parte della dottrina, fortemente influenzata da una visione giuspostivistica tendente ad enfatizzare il testo scritto, a scapito dell’attività interpretativa, e a ridurre l’ermeneutica a un’attività meramente passiva e dichiarativa della c.d. volontà del legislatore, ad una disposizione non avrebbe potuto non corrispondere che una e una sola norma e tale norma si sarebbe trovata già contenuta nel testo stesso. Tuttavia, a partire dalla fondamentale analisi di V. Crisafulli, si è fatta strada la consapevolezza che tra una disposizione e una norma non vi sia un parallelismo perfetto: ad una norma, infatti, possono corrispondere più disposizioni (tale è il caso, ad esempio, quando si parla di un «combinato disposto della disposizione X e della disposizione Y»), così come, d’altro canto, ad una disposizione possono corrispondere norme diverse, alcune delle quali anche incompatibili tra loro, per arrivare addirittura al caso-limite dell’esistenza di «norme senza disposizioni» (come, secondo lo stesso Crisafulli, le norme consuetudinarie e, soprattutto, i principi).
La distinzione tra disposizioni e norme ha poi assunto un’importanza fondamentale con l’istituzione della Corte costituzionale: è stato infatti osservato che oggetto del sindacato di legittimità costituzionale sono non sempre le disposizioni, quanto proprio le norme: di tale mutamento sono espressione eminente le c.d. sentenze interpretative (di accoglimento e di rigetto) e tutte le nuove tipologie di sentenze (manipolative, additive, sostitutive ecc.), le quali – andando ben al di là della concezione di H. Kelsen del giudice costituzionale come di un legislatore negativo – incidono per l’appunto, non sul testo delle disposizioni legislative, ma soltanto sul loro significato.