Atti giuridici consistenti nella dichiarazione di volontà resa reciprocamente da due o più Stati, o altri soggetti internazionali, al fine di regolare i loro rapporti reciproci in una data materia. Nel diritto internazionale, la norma consuetudinaria pacta sunt servanda (i patti si devono rispettare) attribuisce infatti ai trattati l’effetto di porre norme giuridiche di contenuto corrispondente alla volontà dei contraenti. Pertanto, in tale ordinamento, i trattati sono fonte di produzione normativa, al pari della consuetudine, dalla quale derivano l’efficacia giuridica (ciò che, per una parte della dottrina, li configura come fonti di secondo grado).
A differenza della consuetudine, i trattati hanno effetto solo tra le parti (diritto internazionale particolare, o pattizio). Variamente denominati (trattato, accordo, convenzione, patto, carta, statuto, etc.), possono disciplinare qualsiasi materia, anche già regolata da norme consuetudinarie e in modo difforme da queste, vigendo nell’ordinamento internazionale il principio della derogabilità reciproca tra le fonti, con l’eccezione di alcune norme consuetudinarie imperative (Ius cogens. Diritto internazionale). Nella prassi, norme pattizie sono state effettivamente poste dagli Stati nelle materie più disparate, specie a partire dalla metà del 20° secolo, con l’intensificarsi della cooperazione internazionale.
Il diritto dei trattati. - La formazione e le vicende dei trattati sono disciplinate da regole consuetudinarie, codificate nella Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 1969, che si applica ai trattati conclusi in forma scritta tra Stati, e nella Convenzione di Vienna del 1986, relativa ai trattati tra Stati e organizzazioni internazionali e tra organizzazioni internazionali.
Formazione dei trattati. - In tema di stipulazione, vige il principio della libertà di forma (espressa o tacita; verbale o scritta, quest’ultima essendo, di fatto, prevalente).
La prassi consente una distinzione fra trattati in forma solenne e in forma semplificata. I primi presuppongono un procedimento in tre fasi: la negoziazione, il cui atto conclusivo è la firma dei plenipotenziari, implicante l’adozione del progetto di trattato; la ratifica, accettazione, o approvazione, mediante la quale le parti manifestano la volontà di obbligarsi in base al trattato; lo scambio o deposito degli strumenti di ratifica, con cui ogni contraente porta a conoscenza degli altri il suo consenso. Per i trattati in forma semplificata (tra cui lo scambio di note), la firma dei plenipotenziari esprime invece, senza ulteriori atti, la volontà di stipulare.
La scelta del procedimento di stipulazione dipende generalmente dal diritto interno: in Italia, la Costituzione prevede l’autorizzazione del Parlamento a stipulare certe categorie di trattati (art. 80) e indica nel Capo dello Stato l’organo competente per la ratifica, previa, se occorra, l’autorizzazione parlamentare (art. 87, 8° comma).
I trattati si perfezionano nel momento in cui il consenso è reso reciprocamente noto tra i contraenti; l’entrata in vigore, a partire dalla quale i trattati esplicano efficacia, può essere tuttavia differita a un momento successivo (termine iniziale) o subordinata al verificarsi di un dato evento (condizione sospensiva).
Nel caso di trattati multilaterali, è consentito a ogni contraente apporre riserve, tendenti a escludere l’obbligatorietà nei suoi confronti di determinate clausole, o a stabilirne l’interpretazione (cosiddette dichiarazioni interpretative), purché dette riserve non siano vietate dal trattato o incompatibili con il suo oggetto e il suo scopo (art. 19 e seguenti della Convenzione di Vienna del 1969).
Interpretazione, applicazione e modifica dei trattati. - Una volta in vigore, il trattato è obbligatorio tra le parti.
La sua interpretazione spetta, individualmente, agli Stati contraenti; frequenti sono, peraltro, le clausole relative all’interpretazione collettiva, o demandata a organi internazionali, talora giurisdizionali. Nell’interpretare è da preferire il metodo oggettivo, che attribuisce ai termini del testo il significato ordinario, nel loro contesto, e alla luce dell’oggetto e dello scopo del trattato (art. 31 della Convenzione di Vienna).
La modificazione dei trattati (emendamento, revisione) presuppone il consenso dei contraenti; non è necessaria l’unanimità, ma le modifiche accettate solo da alcune parti lasciano immutato il trattato nei rapporti con le altre parti (art. 39 e seguenti della Convenzione di Vienna).
Invalidità dei trattati. - Sono cause d’invalidità: la violazione manifesta di una norma interna di importanza fondamentale sulla competenza a stipulare; l’errore; il dolo; la corruzione del rappresentante dello Stato; la violenza, fisica o morale, esercitata sul rappresentante dello Stato; la violenza (uso o minaccia dell’uso della forza armata) nei confronti dello Stato; la contrarietà a una norma di ius cogens (artt. 46-53 della Convenzione di Vienna).
Le prime quattro cause d’invalidità possono essere invocate solo dallo Stato il cui consenso è viziato e sono sanabili per acquiescenza (invalidità relativa); le tre ultime sono invece invocabili da qualsiasi contraente e insanabili (invalidità assoluta).
Estinzione e sospensione dei trattati. - L’estinzione dei trattati, ossia la cessazione degli effetti, può verificarsi sia rispetto a tutte le parti, sia – per i trattati multilaterali – rispetto solo ad alcune parti. Ne sono causa: lo spirare del termine finale o il verificarsi di una condizione risolutiva previsti dal trattato; l’abrogazione espressa (accordo abrogativo) o tacita (stipulazione di un trattato successivo incompatibile); la denuncia o recesso, manifestazione della volontà di un contraente di porre fine al trattato, ammessa, in certi casi, anche se non prevista nel trattato; la violazione di norme sostanziali (inadimplenti non est adimplendum); l’impossibilità sopravvenuta dell’esecuzione; il mutamento fondamentale delle circostanze esistenti al momento della stipulazione (rebus sic stantibus); la contrarietà a una norma di ius cogens sopravvenuta (artt. 54-64 della Convenzione di Vienna).
Alcune di tali circostanze, se temporanee, operano quali cause di sospensione dell’applicazione del trattato. La sospensione è altresì l’effetto normalmente prodotto sui trattati dalla guerra, ma il punto non è pacifico nella prassi e in dottrina; il principio, poi, non vale certamente per i trattati la cui applicazione presuppone giustappunto l’esistenza di un conflitto armato (Diritto umanitario).
Adattamento del diritto interno al diritto internazionale