alimentazione
I gruppi umani si alimentarono attingendo alle risorse esistenti in natura (caccia e raccolta) per tutti i lunghi millenni del Paleolitico. Processi di intensificazione e selezione portarono alla cosiddetta «rivoluzione neolitica» (ca. 10.000 anni fa), cioè alla produzione di cibo mediante allevamento e agricoltura. La produzione di cibo decuplicò il numero di persone sostentabili su una data estensione di territorio, ma aumentò il lavoro umano e la dipendenza dai fattori climatici. Le varie civiltà antiche adottarono specie (animali e vegetali) diverse: il Vicino Oriente privilegiò cereali e ovini (poi diffusi nel Mediterraneo e in Europa), mentre la Cina privilegiò riso e suini, l’America precolombiana il mais. Più in dettaglio, la zona mediterranea si differenziò da quella egiziana e mesopotamica nei dolcificanti (fichi/miele/datteri), nell’olio (oliva/sesamo), nelle bevande (vino/birra). Talvolta, anche in una stessa civiltà, le differenze apparvero complicate da fattori culturali, simbolici identitari, come avvenne per es. in ambito indù, dove i processi di innalzamento dello status castale comportarono spesso l’abbandono della dieta carnivora. I procedimenti di conservazione rimasero abbastanza stabili per tutto il periodo pre-classico. Lo sviluppo di tali sistemi e l’evoluzione degli scambi, capaci di modificare le abitudini alimentari di una data regione, non hanno impedito che in molte zone e in varie epoche si registrasse una penuria cronica aggravata talvolta da crisi letali, dette carestie. Proprio perché carente, l’a. disponibile era molto disuguale a seconda delle persone e delle circostanze. Le ricerche storiche hanno mostrato queste difficoltà millenarie, sia con calcoli di rendimento per ettaro dei cereali sia, nei tempi moderni, con statistiche di produzione e di consumo, che si fanno più precise a partire dalla fine del sec. 18°. Se questi calcoli sono esatti, i Paesi dell’Europa occidentale dovevano essere allora malnutriti come quelli che oggi soffrono di sottoalimentazione. Le stesse ricerche mettono in luce che, salvo eccezioni (in particolare regioni dove si esercita la pesca), quanto più una popolazione era sottoalimentata, tanto più la sua a. era di tipo vegetale. In poco meno di due secoli circa la percentuale di calorie animali nel pasto giornaliero è aumentata dal 16,7% (1781-90) al 45,1% (1965-66). Questo legame tra quantità e qualità si spiega e si misura: per produrre una caloria animale si impiegano circa 7 calorie vegetali. I progressi registrati nel settore agrario a partire dagli anni Sessanta del Novecento hanno consentito di aumentare le produzioni e le disponibilità al consumo di derrate alimentari sia nei Paesi sviluppati sia, in misura minore, nei Paesi in via di sviluppo, cosicché è stato possibile far fronte all’accresciuta domanda dovuta all’aumento delle popolazioni. Tuttavia, le forti disuguaglianze fra le due realtà socio-economiche del pianeta sussistono tuttora, in particolare per gli alimenti di più elevato valore economico e nutrizionale. Inoltre sono ancora diffuse malattie da carenza, a cui si aggiungono nei Paesi sviluppati malattie da eccesso di cibo.