Inquinamento radioattivo, cioè presenza in una sostanza, che di per sé ne sarebbe priva, di radioelementi nocivi.
L’aumento della radioattività ambientale, dovuto alla produzione di un certo numero di radioisotopi artificiali (a seguito di prove di armi nucleari, eventuali incidenti a reattori nucleari, scarichi di rifiuti radioattivi), si ripercuote sulla catena alimentare che è la principale via di trasmissione dei radioisotopi dall’ambiente all’uomo. È per questa via infatti che i radioisotopi, attraverso l’assorbimento e la distribuzione negli organismi che fanno parte della catena alimentare, possono arrivare ad accumularsi nel corpo umano. L’anello più importante è costituito dagli animali erbivori destinati alla produzione alimentare, che, con le loro carni e specialmente con la secrezione lattea, trasferiscono all’uomo i radioisotopi assorbiti dai vegetali. I problemi posti dal passaggio di radioisotopi dall’ambiente all’uomo attraverso la catena degli alimenti sono diversi e molteplici, tenuto conto dell’esistenza di un fondo radioattivo naturale, rappresentato principalmente dalla presenza di elementi della famiglia dell’uranio e del torio, di 40K e di 14C. Fra i radioisotopi artificiali, i più importanti per la contaminazione dei cibi che entrano usualmente nell’alimentazione umana sono quelli che presentano un periodo di dimezzamento tale da consentire il passaggio nella catena alimentare e che possono essere assorbiti dall’organismo e trattenuti al livello di particolari organi e tessuti. A queste caratteristiche corrispondono soprattutto lo stronzio 90 e il cesio 137, con periodi di dimezzamento rispettivamente di 28 e 30 anni circa, che sono trattenuti al livello delle ossa e dei tessuti molli rispettivamente, e anche lo iodio 131, che, pur avendo periodo di dimezzamento relativamente breve (8 giorni), ha la caratteristica di concentrarsi notevolmente ed elettivamente nella tiroide.