tossicodipendenza Condizione caratterizzata dall’incoercibile bisogno di far uso continuato di sostanze psicotrope in senso lato, senza alcun riguardo per il danno che ne deriva. A seconda che si faccia uso abitualmente di una sola droga o di più droghe, si parla rispettivamente di monotossicodipendenza e di politossicodipendenza. Il concetto di t. è particolarmente complesso e la sua stessa delimitazione da condizioni affini pone problemi non facili; per es., la differenza tra consumo abituale e consumo coatto di droga è tutt’altro che netta; lo stato d’intossicazione cronica, requisito specifico delle t. tradizionalmente intese, non è costante e non può considerarsi elemento caratterizzante. Prova di questa incertezza definitoria può essere considerata la raccomandazione da parte del Comitato degli esperti dell’OMS di sostituire i due termini, t. e abitudine, con quello di farmacodipendenza; denominazione che, a differenza di quella di t., non implica giudizi morali e che contribuisce a far considerare la t. una malattia sociale da prevenire e curare e non un vizio da reprimere. Ha anche il vantaggio di evidenziare la vastità del problema, di includere fra le condotte tossicodipendenti l’alcolismo cronico e di fornire un utile punto di riferimento per i provvedimenti generali da adottare nella lotta a questa complessa forma di dipendenza.
Le droghe che più frequentemente ricorrono nelle condotte tossicodipendenti sono: a) i narcotici naturali, semisintetici o sintetici come l’oppio nelle sue differenti preparazioni, i suoi costituenti naturali (morfina, codeina), gli analoghi semisintetici (eroina, deidrocodeinone) o sintetici (metadone, meperidina, pentazocina) per il loro effetto sullo stato di coscienza, sul tono dell’umore (di solito nel senso dell’euforia, talora in quello della disforia) e sulla soglia del dolore; b) gli ipnotici, barbiturici o no, i tranquillanti minori e lo stesso alcol, per l’effetto euforizzante e rilassante; c) gli psicostimolanti, come l’anfetamina e la cocaina, che esaltano il tono dell’umore e della cenestesi e talora l’attività creativa, ma che possono aumentare l’aggressività e indurre, o favorire, lo sviluppo di stati allucinatori e paranoidei; d) gli allucinogeni propriamente detti, come la dietilammide dell’acido lisergico (LSD; ➔ lisergico, acido), la mescalina, la psilocibina, i derivati della triptamina e i preparati della canapa indiana ad alto contenuto di principi attivi, per l’attività derealizzante che promuovono; e) un gruppo eterogeneo di sostanze che si trovano in commercio per gli usi più disparati (etere, benzina, trielina, solventi per aeromodellismo), che hanno effetto inebriante e ai quali può essere associata la marijuana, che differisce dagli altri prodotti della canapa indiana per il basso contenuto di principi attivi. I gruppi c, d ed e vengono inclusi secondo un modello che può non essere di dipendenza.
A orientare un soggetto verso l’uso della droga concorrono fattori molteplici. In passato, quando il problema delle t. non aveva le dimensioni attuali, si è data prevalentemente importanza alle caratteristiche farmacodinamiche della droga e alla predisposizione individuale, rintracciabile in un particolare tratto del carattere o in una disarmonica organizzazione della personalità (personalità isteriche, disforico-impulsive). Successivamente ha preso maggiore considerazione il contesto socio-culturale, così come è andato gradualmente strutturandosi; in effetti è difficile non mettere in rapporto l’odierno consumo di droga con quelle tendenze che K.Z. Lorenz (Die acht Todsünden der zivilisierten Menschheit, 1973), al di fuori di ogni riferimento al problema in argomento, ha indicato come caratteristiche della società contemporanea: l’esigenza della gratificazione immediata, lo spostamento dei concetti di felicità e gioia in quello di piacere, la svalutazione dello sforzo, il rifiuto del dolore; per contrapposto, è interessante aggiungere che il motivo della riduzione al minimo del contributo personale, che è alla base dell’illusione di poter conseguire con mezzi artificiali situazioni interiori che altrimenti richiederebbero una severa disciplina di vita, ha un supporto di indubbio valore letterario nella teorizzazione del diritto a una droga ‘innocua ed economica’ propugnato da A.L. Huxley in The doors of perceptions, nel 1954, e pertanto ben prima della rivolta giovanile.
L’accostamento alla droga può essere suggerito dalle condizioni contingenti più disparate, tra cui la non accettazione degli aspetti ingrati della realtà; l’intolleranza al dolore fisico o a quello morale; l’evasione da sentimenti di inferiorità, di noia, di vuoto esistenziale in un’atmosfera di euforia e di espansività; l’intento di superare inibizioni intralcianti il lavoro professionale; la ribellione ai valori tradizionali di una società competitiva e come tale giudicata negatrice del sentimento di fraternità; la ricerca di esperienze nuove, decisamente irreali, ricche di simboli, nella speranza, o nella pretesa, di raggiungere una migliore conoscenza del proprio Io (cosiddetto ‘effetto psichedelico’ degli allucinogeni) ecc.
Contatti ripetuti o abituali con la droga, se intervallati da periodi di sobrietà privi di inconvenienti e di una certa durata, non costituiscono t., ma, piuttosto, un comportamento ad alto rischio di tossicodipendenza. La condizione di dipendenza giunge a maturazione attraverso il concorso di fattori d’ordine psicologico e d’ordine farmacologico o biologico, che agiscono sinergicamente, integrandosi e potenziandosi reciprocamente, quasi saldandosi in un meccanismo patogenetico in cui può essere difficile, soprattutto nei casi avanzati, sceverare con sicurezza quanto spetti a ciascuno dei due fattori: le dizioni di uso corrente di dipendenza psichica e dipendenza biologica o farmacologica hanno un significato più descrittivo che rigidamente interpretativo. La dipendenza psichica è riferibile, tra l’altro, a elementi suggestivi di varia natura e al carattere gratificante dell’esperienza. La dipendenza biologica è legata prevalentemente alle specifiche proprietà delle singole sostanze e all’interferenza che esse, in varia misura, esercitano sulle attività neurochimiche e su quelle neurovegetative; un ruolo particolare vi ha l’assuefazione (➔), probabilmente dovuta a un incremento dei poteri detossicanti dell’organismo e a una diminuita risposta delle cellule nervose alla droga, che, riducendo l’intensità e la durata dell’effetto gratificante, è di per sé stessa un invito ad aumentare le dosi e la frequenza delle assunzioni. L’assuefazione non interviene sempre: è notevole per la morfina e per l’eroina; sembra talora mancare nell’abuso di marijuana, di LSD e di anfetaminici; è sostituita dal fenomeno inverso dell’ipersensibilità nell’abuso di cocaina, con conseguenze pratiche preoccupanti per la possibile esplosione di stati allucinatori e paranoidei per dosi dal soggetto ritenute ‘modeste’.
Nel tossicodipendente, la brusca interruzione o la drastica riduzione dell’uso di droga suscita una sindrome da astinenza, che regredisce o scompare subito dopo la somministrazione, che può costituire intervento di pronto soccorso, della droga abituale o di un’altra sostanza farmacologicamente affine. La sindrome da astinenza ha caratteristiche cliniche differenti a seconda della sostanza in questione e del grado d’intossicazione raggiunta. Si manifesta con particolare gravità nella morfinomania e nell’eroinomania, nelle quali decorre con intenso malessere generale, irrequietudine ansiosa, brividi di freddo, vampe di calore, orripilazione, sudorazione, mialgie, disturbi dell’apparato digerente (nausea, vomito e diarrea), ambascia precordiale, dispnea, tachicardia, lipotimie e tendenza al collasso. Nella t. da barbiturici, da tranquillanti minori e nell’alcolismo cronico si hanno ansia, insonnia e, anche, accessi convulsivi e confusione mentale che può sfociare in un delirium tremens, che nel caso dei barbiturici e dei tranquillanti minori solo eccezionalmente può raggiungere particolare gravità, mentre nell’alcolismo cronico, se non s’interviene con cure adatte, la prognosi è più severa; nella t. da psicostimolanti la sindrome da astinenza di solito ha lineamenti modesti, limitata come è, nella maggioranza dei casi, ad apatia, ipersonnia e bulimia; possono verificarsi, però, stati depressivi con pulsioni suicide.
Nelle t. da morfina e da eroina la dipendenza, sia psichica sia farmacologica, può assumere proporzioni particolarmente notevoli: il bisogno sempre più intenso di droga può dominare il comportamento del malato che vive quasi esclusivamente per la droga e per procacciarsela non bada ai mezzi, che possono anche essere delittuosi. Parallelamente alla degradazione etica della personalità, spesso si osserva un decadimento somatico, alla cui instaurazione concorrono altri fattori: l’azione tossica delle impurità dovute alla rozzezza dei metodi di lavorazione e quella delle sostanze con cui i trafficanti tagliano la droga; la pericolosità delle tecniche di assunzione; gli abusi collaterali (alcol, tabacco) e gli errori alimentari di vario genere; la scarsa consapevolezza igienico-sanitaria, che si traduce in una elevata morbilità per malattie infettive, compreso l’AIDS (➔). All’azione diretta dello stupefacente è invece attribuibile la patologia polmonare (polmonite ab ingestis, atelectasia polmonare, edema polmonare acuto) che ricorre con una certa frequenza negli eroinomani e che è riportabile all’azione deprimente esercitata dal narcotico sui centri del respiro e sul riflesso della tosse e a quella sulla liberazione di istamina a livello del polmone. Frequenti tra i morfinomani e gli eroinomani sono le pulsioni suicide e gli accidenti da iperdosaggio (overdose); questi ultimi possono dipendere sia dalla variazione della tolleranza, sia dalla fortuita assunzione di una dose superiore a quella abituale o che tale si riteneva: le crisi da iperdosaggio di eroina sono particolarmente preoccupanti perché caratterizzate dalla brusca insorgenza di un grave attacco di edema polmonare. L’abuso protratto, per anni, di cocaina può ingenerare uno stato di torpore psichico, di apatia e non raramente l’esplosione di una psicosi allucinatoria, disturbi che regrediscono nel giro di qualche mese con la cessazione dell’abuso.
Trattamento degli accidenti da iperdosaggio e temporaneo divezzamento dall’uso della droga sono di esecuzione relativamente facile. Per i primi, se si riesce a intervenire tempestivamente, l’accorto uso di farmaci che bloccano l’azione del tossico (antagonisti) di solito risolve la crisi in tempi brevi; per il divezzamento si interviene con presidi somatici di varia natura intesi a ovviare ai disturbi da astinenza e ai danni provocati sul comportamento. Ben diverso discorso si deve fare per il problema a lungo termine del consolidamento definitivo del divezzamento. Questo obiettivo è stato affrontato con ottiche differenti: con metodi prevalentemente repressivi oppure con programmi improntati a notevole permissività; puntando ora al completo affrancamento del tossicodipendente dalla droga, ora, più modestamente, al suo riequilibrio sociale e consentendogli un uso controllato del tossico o di un suo analogo meno pericoloso, nella speranza di eliminare così il mercato illecito, altamente dannoso per il tossicodipendente e per la società nel suo complesso, perché terreno di coltura di contagio, di attività degradanti e di crimini al tempo stesso. Nessuna di queste differenti modalità di approccio ha dato risultati che possano dirsi soddisfacenti. Anche i trattamenti autoritari (ergoterapici, psicoterapici e riabilitativi) in istituzioni chiuse e i programmi permissivi tendenti a stabilizzare l’assunzione di eroina su livelli modesti si sono rivelati negativi. I programmi imperniati sulla sostituzione dell’eroina con un analogo meno tossico (metadone o d-1,6-dimetilammino-4-4-difenil-3-eptanone idrocloridrato), a parte alcuni aspetti criticabili e se attuati con valide precauzioni e integrati da una generosa e puntuale azione di sostegno psico-sociale, sono riusciti a impedire l’emarginazione del tossicodipendente e a far diminuire i crimini collegati con il mercato della droga. Le critiche concernono: la mancata eliminazione della farmacodipendenza, che è solamente spostata da una sostanza all’altra, e il conseguente persistere di una condizione di servitù, di cui pubbliche istituzioni non dovrebbero essere artefici; il non raro sfruttamento di queste ultime come zona di parcheggio di eroinomani in difficoltà di approvvigionamento; lo sviluppo collaterale del mercato clandestino del metadone e di tossicodipendenze primitive da questa sostanza. I trattamenti esclusivamente psicoterapici hanno l’inconveniente di essere accettati da un’esigua percentuale di malati e pertanto il loro contributo complessivo è scarso. I risultati migliori si registrerebbero nelle comunità terapeutiche, per buona parte gestite da ex-tossicodipendenti, dove, però, non sempre all’affrancamento della droga e all’attività lavorativa si accompagna la completa risocializzazione: il soggetto ‘guarito’, infatti, tende a rimanere nell’ambito protettivo della comunità o nella sua orbita produttiva. La modestia dei risultati raggiunti pone il quesito se il problema delle t. sia stato affrontato in tutta la sua ampiezza e con il necessario respiro, se l’opera di prevenzione abbia investito con l’opportuna azione d’informazione, di chiarificazione e di contestazione tutti i presupposti, immediati e futuri, delle condotte tossicodipendenti.
Nell’ambito del rapporto di lavoro, il trattamento della t. è regolato in Italia dalla l. 309 /1990. Tale normativa prevede, in particolare, per i lavoratori appartenenti a determinate categorie, destinate a mansioni che comportano rischi per la sicurezza, l’incolumità e la salute dei terzi (categorie che vengono individuate con decreto del ministro del Lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il ministro della Salute), che l’assenza di t. sia accertata, presso strutture pubbliche, attraverso un controllo precedente l’assunzione in servizio e, in seguito, mediante controlli periodici. Qualora sia accertato lo stato di t., il datore di lavoro è tenuto a far cessare al lavoratore l’espletamento della mansione che comporta rischi per la sicurezza, l’incolumità e la salute dei terzi. La legge riconosce, inoltre, il diritto alla conservazione del posto di lavoro per i soggetti in stato di t., per un periodo non superiore a tre anni, durante la sospensione delle prestazioni lavorative dovuta all’esecuzione di un trattamento riabilitativo.
Per la disciplina giuridica relativa alla fabbricazione, detenzione e spaccio delle sostanze ➔ stupefacente.