Sindrome di a. Complesso di fenomeni osservabili in tossicodipendenti bruscamente privati del farmaco che è oggetto di conclamata dipendenza (narcotici, analgesici, neurofarmaci, eroina ecc.). I sintomi, che hanno durata, intensità e gravità variabile a seconda del tipo di farmaco e del grado della dipendenza, consistono in malessere, lacrimazione, sudorazione, midriasi, insonnia, anoressia e, nel caso dei barbiturici, tremori e convulsioni.
Rinuncia deliberata e volontaria a determinati cibi o bevande alcoliche, o ai piaceri sensuali per obbedienza a principi morali o religiosi. Presso i primitivi l’a. si spiega sia con la credenza nella sacralità di cui si ritiene in tutto o in parte carico un animale o un vegetale, sicché il cibarsene è pericoloso per l’individuo, sia con la credenza nell’impurità (altro aspetto della sacralità) dell’animale o vegetale stesso, onde l’astenersene è condizione all’acquisto della purità rituale, necessaria per compiere determinate azioni o in circostanze gravi e implicanti un pericolo (caccia, pesca, guerra; gravidanza e allattamento; lutto ecc.), e particolarmente per gli atti del culto, specie le iniziazioni. Nelle religioni superiori e nelle filosofie religiose, l’a. tende ad acquistare un carattere di pratica ascetica, valevole in sé e per sé e come mezzo per rendere più facile il compimento di altre pratiche ascetiche.
Tale carattere ha l’a. nel cristianesimo dove non sussiste più alcun concetto dell’impurità di certi cibi; l’a. dalla carne è invece imposta come esercizio di mortificazione e penitenza, in unione con il digiuno o no, in determinati tempi. Nell’Islam vige il divieto del vino e delle bevande alcoliche (comune ad altre religioni), del maiale e del sangue.