Arnese per fumare costituito, nella forma diffusa nei paesi occidentali, da una testa, all’interno della quale viene ricavato un piccolo recipiente tondeggiante, detto fornello, nel quale arde il tabacco, da una cannuccia (cannello) posta all’estremità inferiore della testa, che forma con quest’ultima un unico pezzo, e un da un bocchino, collegato al cannello, attraverso il quale si aspira il fumo (v. fig.). In genere il cannello e il bocchino sono di materiali diversi.
L. Frobenius ha stabilito per l’Africa una suddivisione delle p. in tre tipi estendibile a tutto il mondo. Al 1° tipo appartengono le p. a forno, consistenti in un monticello di terra con un canale a due aperture, di cui il fumatore si serve stando sdraiato sulla terra. Questa forma, assai antica, è tipica dell’Africa centrale. Diffuso un po’ ovunque è il 2° tipo, la p. a cornetto, per lo più in foglia di banano: tipica della Nuova Guinea è la grande p. cilindrica di bambù usata da più fumatori a turno. Al 3° tipo, a fornello perfezionato, appartiene la p. della cultura occidentale: fu assai diffusa nell’America precolombiana e in molte culture indiane d’America (denominata calumet dai francesi nel 17° sec.). Nel mondo musulmano, è largamente usata la p. ad acqua (➔ narghilè).
Le materie più usate nella fabbricazione delle p. sono: l’ambra e la sepiolite (schiuma di mare) per quelle più pregiate; la radica e particolari legni (ciliegio, bosso, ebano); l’argilla per le p. comuni; le corna di bufalo, l’avorio, la celluloide. Le p. di schiuma di mare, per es., si ricavano tagliando con la sega circolare pezzi di questo minerale in modo che abbiano grossolanamente la forma della p.; i pezzi tagliati vengono poi posti in acqua per rammollire la schiuma stessa e per ottenere quindi la forma definitiva con più facilità. Dopo aver fatto asciugare il pezzo, si può procedere a ricavare il fornello e il condotto servendosi di un trapano. La lucidatura si esegue immergendo l’oggetto in cera vergine, che chiude i pori, e sfregando con un miscuglio di calce, grasso e bianco d’ossa. In alcuni casi si procede poi alla colorazione per conferire alla p. un colore scuro: ciò si ottiene immergendola in un bagno caldo di cera, olio di oliva e nicotina. Per le p. di legno si utilizza di preferenza la radice (radica) dell’Erica arborea, di color bruno rossastro se tagliata di recente, rosso bruno dopo lunga esposizione all’aria, particolarmente abbondante in Italia, nei boschi della Toscana, dell’Umbria, della Calabria. La radice viene fatta bollire per circa 12 ore per eliminare eventuali parassiti, arrestare la crescita del legno e fissarne il colore naturale; il ciocco viene quindi tagliato in senso verticale o in senso orizzontale; si procede poi allo sbozzo secondo la forma che si vuole ottenere, alla formazione del fornello e del condotto, alla lucidatura.
Segno diacritico usato in alcuni sistemi di traslitterazione e di trascrizione e in alcuni alfabeti (soprattutto quelli slavi di tipo latino), sovrapposto o, più raramente, sottoposto o collocato a destra della lettera, in alto, a indicare articolazioni particolari di vario genere. Nella maggior parte dei casi serve a indicare un’articolazione palatale o palatoalveolare.
Nella slavistica è usata anche per indicare una vocale e lunga ‹ě› dello slavo comune.