In accezione ampia, la concorrenza si connota situazione di mercato con ampia libertà di accesso all’attività d’impresa, possibilità di libera scelta per gli acquirenti (in particolare, i consumatori) e, in generale, la possibilità per ciascuno di cogliere le migliori opportunità disponibili sul mercato, o proporre nuove opportunità, senza imposizioni da parte dello Stato o vincoli imposti da coalizioni d’imprese. La tutela della concorrenza è realizzata mediante una serie di norme, genericamente definite come norme antitrust, che disciplinano i rapporti tra imprenditori e consentono un regolare svolgimento dei rapporti concorrenziali.
Le legislazioni antimonopolistiche. - Le legislazioni antimonopolistiche moderne si strutturano intorno al convincimento che la concorrenza effettiva sia presupposto essenziale per garantire e promuovere il progresso economico. Tuttavia, la concorrenza effettiva non è un meccanismo naturale e il riconoscimento della libertà di concorrenza non basta ad assicurare, in concreto, l’instaurasi di dinamiche competitive, poiché, in molte circostanze, può essere più conveniente per le imprese instaurare tra loro rapporti collusivi (di aumento dei prezzi, di ripartizione del mercato, etc.) che non rapporti competitivi. Per questa ragione, le legislazioni antimonopolistiche moderne presuppongono il riconoscimento e la tutela della libertà di concorrenza (“concorrenza in senso soggettivo”, intesa come libertà di iniziativa economica, garantita, nel sistema giuridico italiano, dall’art. 41 Cost), ma si strutturano in una serie di divieti per comportamenti, individuali o collettivi, in grado di alterare il buon funzionamento del mercato (“concorrenza in senso oggettivo”).
La prima legge antitrust moderna (Sherman Act) è stata emanata negli Stati Uniti nel 1890, allo scopo di vietare le condotte cartellistiche e i tentativi di monopolizzazione del mercato. A questo primo corpo di norme si sono aggiunti, nel 1914, il Clayton Act, a disciplina dei fenomeni di concentrazione tra imprese, e il Federal Trade Commission Act, che sanziona condotte genericamente definite come “unfair” e si applica parallelamente allo Sherman Act. La differenza tra lo Sherman Act e il Federal Trade Commission Act è di natura e di scopo: alla natura penalistica dei divieti antitrust sanciti nel primo, e al conseguente carattere punitivo del controllo antitrust realizzato in applicazione di queste norme, si contrappone una forma di controllo amministrativo delle condotte e un intervento antitrust che privilegia l’aspetto correttivo-ripristinatorio.
In Europa, un sistema di controllo antitrust unitario è stato adottato solo nel 1957, con l’inserimento nel Trattato di Roma di norme specifiche a tutela della concorrenza e incentrate sulla disciplina delle intese restrittive, degli abusi di posizione dominante e degli aiuti di Stato (Concorrenza. Diritto dell’Unione europea). Nel 1989, con un apposito Regolamento (4064/1989/CEE, poi sostituito dal Regolamento 139/2004/CEE, attualmente vigente) si è introdotta una disciplina specifica per il controllo antitrust delle operazioni di concentrazione.
Gli Stati membri hanno adottato, in alcuni casi già prima dell’entrata in vigore del Trattato di Roma, proprie leggi antitrust nazionali, il cui contenuto riflette, per formulazione originaria o per adeguamento successivo, i precetti antitrust europei. In generale, oggi tutti gli Stati ad economia di mercato sono dotati di una disciplina antitrust.
Le fattispecie antitrust nel diritto interno. - La disciplina antitrust italiana (l. 287/1990) riprende quasi integralmente quella europea. Le fattispecie rilevanti per il diritto interno sono le stesse descritte nel diritto europeo della concorrenza (fanno eccezione solo gli aiuti di stato, disciplinati soltanto a livello comunitario) e la loro disciplina è sostanzialmente coincidente, in conseguenza della formulazione stessa dei precetti, in larga parte identici alle norme europee corrispondenti, e della regola interpretativa speciale, fissata nell’art. 1 co. 4 della l. 287/1990, che impone di interpretare ed applicare il diritto interno in conformità al diritto vivente europeo.
Le fattispecie rilevanti sono: intese restrittive, abusi di posizione dominante e concentrazioni di imprese.
Le intese illecite consistono in accordi, pratiche concordate o decisioni di associazioni di imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare la concorrenza nel mercato nazionale. L’illiceità dell’intesa può essere esclusa quando risultino soddisfatte tutte le condizioni elencate all’art. 4 l. 287/1990. Le intese illecite sono nulle ad ogni effetto.
Il divieto di abuso di posizione dominante mira, invece, a sanzionare le condotte anticompetitive realizzate dall’impresa o dalle imprese dotate di significativo potere di mercato (abuso di posizione dominante individuale, nel primo caso; abuso di posizione dominante collettiva, nel secondo). Sono abusive le condotte finalizzate ad ottenere profitti sovracompetitivi o altri benefici non realizzabili in una situazione competitiva (abusi di sfruttamento) o ad impedire l’ingresso o la sopravvivenza nel mercato di operatori concorrenti (abusi di impedimento).
Le concentrazioni tra imprese, invece, non sono di per sé vietate, ma sono sottoposte a una procedura di controllo antitrust preventivo che può sfociare nel divieto per le imprese di realizzare l’operazione notificata quando risulta che questa possa creare o rafforzare una posizione dominante nel mercato.
L’applicazione delle norme antitrust nazionali. - La competenza a vigilare sull’applicazione della disciplina antimonopolistica in Italia è attribuita ad un’autorità amministrativa indipendente, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM). Le funzioni che tale autorità svolge e i poteri che esercita sono diversi a seconda che si tratti di operazioni di concentrazione o di intese e abusi di posizione dominante. Nel primo caso, l’autorità sottopone l’operazione notificata a un controllo preventivo che può concludersi con un provvedimento di autorizzazione piena e incondizionata dell’operazione stessa, di autorizzazione condizionata al rispetto di certe prescrizioni imposte dall’Autorità, ovvero di divieto di realizzazione dell’operazione. Nel secondo caso, invece, l’autorità, riscontrata un’infrazione alle norme antitrust, impone alle imprese di porre fine alla condotta lesiva, eventualmente prescrivendo anche specifiche misure comportamentali o strutturali necessarie per ripristinare il funzionamento concorrenziale del mercato, e, nei casi più gravi, irroga sanzioni amministrative.
L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato è competente ad applicare in via decentrata anche le norme antitrust europee. In questo caso, regole specifiche sovrintendono al coordinamento tra autorità nazionale e Commissione.
La violazione di norme antitrust può dar luogo anche ad azioni civili promosse davanti alle Sezioni Specializzate in materia di impresa presso il Tribunale o la Corte d'Appello.
Concorrenza. Diritto dell’Unione europea