Strumento ottico per l’osservazione di oggetti posti a grande distanza. Il termine è sinonimo di telescopio; nella pratica, si chiamano c. i telescopi rifrattori, cioè quelli nei quali l’obiettivo è costituito da una o più lenti, riservandosi la qualifica di telescopio agli strumenti riflettori, costituiti cioè da uno specchio.
Il primo c. fu costruito nei Paesi Bassi, al principio del 17° sec., dagli occhialai Hans Lippersheim e Zaccaria Janssen; si conserva ancora il documento (1608) col quale gli Stati generali dei Paesi Bassi accolsero la domanda di brevetto presentata da Lippersheim. La notizia giunse anche a G. Galilei, che in base alle vaghe notizie ricevute costruì un primo c. (1609), e poi altri, che utilizzò per osservare il cielo. Al c. di Galilei fu dato, dall’Accademia dei Lincei, il nome di telescopio.
I primi c. del 17° sec. erano tutti di scarse qualità ottiche, sia per la qualità del vetro utilizzato sia per l’imperfetta lavorazione, responsabili di forti aberrazioni, in particolare quella cromatica. Per rimediare, almeno in parte, a questi inconvenienti, si scelse di aumentare considerevolmente la distanza focale degli obiettivi, costruendo imponenti c. lunghi alcune decine di metri per aperture di pochi centimetri. Solo verso la metà del 18° sec. si trovò il modo di costruire c. con obiettivi e oculari acromatici. In tal modo i c. astronomici poterono essere ricondotti a proporzioni ragionevoli, con una lunghezza focale dell’obiettivo pari a 15-20 volte il suo diametro. Successivamente le dimensioni dei c. sono andate sempre crescendo, sino alla fine del 19° sec., culminando nel c. dell’osservatorio Yerkes, presso Chicago, entrato in servizio nel 1897, con obiettivo a due lenti, di 102 cm di diametro e 19,3 m di distanza focale. Esso è tuttora il gigante dei c. astronomici, visto che nel 20° sec. è stata abbandonata la costruzione di lenti aventi tale grandezza e ci si è orientati verso i telescopi riflettori.
Un c. si compone di due sistemi di lenti: un obiettivo Ob e un oculare Oc (fig. 1). Ob è un sistema convergente corretto costituito da due o più lenti e forma di un oggetto lontano AB un’immagine A'B' reale, capovolta, ridotta. Oc forma dell’immagine obiettiva un’immagine virtuale, A''B'', notevolmente ingrandita e osservabile dall’occhio. Essendo l’oggetto molto lontano, A'B' cade nel piano focale posteriore dell’obiettivo, che coincide con il piano focale anteriore dell’oculare. L’oculare funziona, nei riguardi dell’immagine fornita dall’obiettivo, A'B', come una lente d’ingrandimento, in modo che l’immagine A''B'' risulta diritta rispetto ad A'B' e quindi capovolta rispetto all’oggetto. Avere immagini capovolte degli oggetti osservati non costituisce un inconveniente se lo strumento è un c. astronomico, mentre, nei c. terrestri, destinati cioè ad aiutare la visione di oggetti non celesti, occorre che le immagini fornite all’occhio siano diritte rispetto agli oggetti. Per ottenere il raddrizzamento delle immagini, si può usare come oculare una lente divergente Oc (c. di Galilei; fig. 2), posta opportunamente tra l’obiettivo Ob e il punto dell’asse ottico ove Ob formerebbe l’immagine A'B' dell’oggetto AB; oppure, secondo un’idea dovuta originariamente a I. Porro, si ricorre a prismi opportunamente disposti tra obiettivo e oculare (c. a prismi, o prismatico; fig. 3).
L’ingrandimento visuale di un c., astronomico o terrestre che sia, vale a dire il rapporto tra l’angolo α' sotto il quale l’occhio vede l’immagine data dall’oculare e l’angolo α sotto il quale l’occhio nudo vedrebbe l’oggetto, risulta pari al rapporto tra la distanza focale dell’obiettivo, fob, e quella dell’oculare, foc: di qui l’opportunità, se si vogliono forti ingrandimenti, di usare obiettivi di grande distanza focale e oculari di piccolissima distanza focale. D’altra parte, la luminosità dell’obiettivo dipende dall’apertura numerica, cioè dal rapporto tra diametro utile e distanza focale, così, un obiettivo di distanza focale grande, per essere soddisfacentemente luminoso deve avere un diametro utile che sia grande in proporzione. Tutto ciò comporta notevoli difficoltà costruttive, che obbligano a limitare la distanza focale a 15-20 volte il diametro dell’obiettivo; ne discende la regola empirica secondo la quale l’ingrandimento massimo ottenibile con un c. è dato, all’incirca, dal triplo del diametro utile dell’obiettivo, espresso in millimetri.
C. anallattico Particolare tipo di c. distanziometrico nel quale il primo fuoco del sistema obiettivo, vertice dell’angolo parallattico, cade in un punto fisso dell’asse ottico. C. cercatore Piccolo c. astronomico avente modesto ingrandimento e campo relativamente ampio. Applicato ai telescopi astronomici in modo che il suo asse ottico sia parallelo a quello dello strumento principale, serve a semplificare e accelerare l’operazione di puntamento del telescopio. C. collimatore C. usato per individuare una visuale o una linea di mira (da qui l’altra denominazione di c. di mira) e quindi applicato ad armi da fuoco, strumenti di misurazione, fotocamere ecc. È dotato di un reticolo filare posto nel piano in cui si forma l’immagine data dall’obiettivo in modo che il centro di esso sia sull’asse ottico.
C. diastimometrico (o distanziometrico) C. atto alla misurazione indiretta della distanza di punti del terreno. È sostanzialmente un c. collimatore il cui reticolo a (fig. 4) è costituito da tre fili orizzontali equidistanti e da un filo verticale, il cui incrocio con il filo centrale orizzontale determina la linea di mira. Sul punto del terreno, P, di cui si vuol determinare la distanza, viene alzato un regolo graduato b (stadia); detta l la lunghezza del tratto di stadia, con centro in C, che si vede tra i due fili estremi del reticolo, h la distanza tra i fili in questione, f la distanza focale dell’obiettivo, e indicato con F il fuoco anteriore di questo, si ricava FC=lf/h. Il rapporto f/h è una costante costruttiva del c., detta costante diastimometrica, nota per ogni strumento.
C. equatoriale C. astronomico con montatura equatoriale, tale cioè che possa ruotare intorno a un asse parallelo a quello della rotazione terrestre, per compensare con un unico movimento il moto di rotazione apparente di un astro sulla volta celeste.
C. meridiano C. astronomico collimatore con montatura meridiana, il quale, potendo ruotare intorno a un asse orizzontale, individua linee di mira giacenti sempre nel piano meridiano. Serve per determinare l’istante del passaggio di un astro al meridiano (da qui l’altro nome di c. dei passaggi) e quindi per determinare l’ascensione retta dell’astro, pari al tempo siderale del passaggio, oppure, viceversa, per determinare il tempo siderale se l’ascensione retta dell’astro è nota.
C. panoramico Tipo di periscopio (➔) a c., particolarmente usato come c. di puntamento, che offre il vantaggio di poter ruotare la visuale tutt’intorno pur restando fisso l’oculare.
C. di puntamento C. collimatore, terrestre, usato per il puntamento delle armi da fuoco. Tale c. è spesso accoppiato a un intensificatore elettronico di immagine, che ne consente anche l’uso notturno.
C. spezzato Disposizione usata per poter osservare comodamente con un c. collimatore oggetti anche prossimi allo zenit (fig. 5): a è l’obiettivo, b un prisma a riflessione totale che devia i raggi di 90° verso l’oculare c.
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