Pronome di 1ª persona, usato cioè dalla persona (o cosa personificata) che parla quando si riferisce a sé stessa. Sia nel linguaggio della filosofia e psicologia sia nell’uso corrente, designa la personalità umana, l’uomo in quanto ha coscienza di sé stesso.
Nella filosofia moderna, il pronome io, sostantivato, diviene oggetto di riflessione filosofica con Cartesio che fa dell’Io che pensa (cogito) la conoscenza «prima e certissima» che si presenta all’intelletto con evidenza tale da porsi necessariamente come vera, il primo principio indubitabile emerso dalla crisi del dubbio. Tale Io è per Cartesio innanzi tutto coscienza, ma anche res cogitans, sostanza pensante. Dalla critica alla concezione sostanzialistica cartesiana prende avvio la riflessione di J. Locke per cui l’Io è la semplice coscienza del molteplice sensibile, e di D.Hume che, più radicalmente, lo riduce a un fascio di percezioni in perpetuo fluire. In I. Kant l’Io, in quanto «io penso», diventa una funzione trascendentale che unifica il molteplice dell’intuizione spazio-temporale ed è distinto dall’Io come fenomeno empirico, oggetto della psicologia. Muovendo dalla concezione kantiana, J.G. Fichte, F. Schelling e G.W.F. Hegel procedono a una assolutizzazione dell’Io trascendentale, il quale diventa così attività pura e spontanea dello spirito umano che pone sé stessa come principio della coscienza e dei suoi contenuti rappresentativi, da lei stessa a sé opposti come Non-Io. L’Io, così inteso, assume il valore di un principio primo incondizionato dell’intera scienza filosofica. Come reazione a tali sviluppi idealistici si delineano diverse posizioni: quella di E. Husserl che, richiamandosi all’Io penso kantiano, tenta, attraverso il metodo dell’epochè, di conseguire «l’ego assoluto» o centro funzionale ultimo di qualsiasi costituzione; quelle esistenzialistiche, che fanno dell’Io una condizione esistenziale umana che non può superare l’orizzonte della soggettività empirica, come accade in S. Kierkegaard, o, come sostiene M. Heidegger, «l’ente che io sono in quanto sono in un mondo»; infine, la posizione radicale di F. Nietzsche, per il quale l’Io è una finzione, il mero risultato dell’azione di forze eterogenee (desideri e volizioni) che non si lasciano ridurre a un unico, identico principio.
Il concetto di io, riferito al sentimento della connessione di tutte le esperienze psichiche, è il più immediato contenuto di coscienza. Eliminato dall’ambito della psicologia sperimentale (indirizzo behavioristico), è diventato attuale in relazione ai problemi della personalità e della motivazione, anche se spesso come ‘immagine di sé’.
In S. Freud il concetto di io è ancorato alla dinamica del fatto psichico. L’Io è un’area o un’istanza della struttura psichica ed è in opposizione all’Es. Mentre Freud aveva inteso l’Io come originato dall’Es e come mediatore tra l’Es e la realtà, in psicanalisi si parla anche di apparati congeniti dell’Io (P. Federn, H. Hartmann, E. Kris, D. Rapaport), cui viene così riconosciuta una più larga autonomia. Si deve ad A. Freud lo sviluppo della teoria dei meccanismi di difesa, in cui l’Io è rappresentato come la parte decisiva della psiche.
Come dal lato esperienziale, così anche da quello funzionale, l’Io si rivela come una realtà assai complessa e Freud fu indotto a distinguere dall’Io il Super-Io come un’istanza particolare che sovrasta l’Io e rappresenta l’ideale, la morale, la ‘coscienza’.
Non si può stabilire il momento preciso in cui ha origine l’Io. La percezione del proprio corpo, che si rivela verso la fine del primo anno di vita, il riconoscimento della propria immagine allo specchio, l’uso del pronome io, l’opposizione, sono le prime manifestazioni che consentono una individuazione dello sviluppo dell’Io. Il concetto di individuazione in C.G. Jung può essere inteso come momento conclusivo della formazione dell’Io, o, meglio, del sé (➔). Secondo A. Adler l’identificazione dell’Io è il processo con cui si acquisisce l’autoconsapevolezza, cioè l’interiorizzazione dell’essere-Io soggetto.