In filosofia, per ricostruire l’analisi della nozione di f. nella storia del pensiero filosofico, si deve risalire al 17° sec., alla distinzione tra ‘verità di ragione’ e ‘verità di f.’. T. Hobbes distingue due specie di conoscenza, la conoscenza di f. e la conoscenza della conseguenza di un’affermazione dall’altra. La prima non è altro che senso e memoria ed è conoscenza assoluta; l’altra è chiamata scienza ed è condizionale. Come Hobbes, anche G. Leibniz e D. Hume individuano la sfera delle verità di f. nell’esperienza. Le verità di f. sono per Leibniz contingenti, quelle di ragione necessarie e il loro contrario è impossibile. Per Hume della verità di f. è possibile sempre il contrario, poiché non implica mai contraddizione: essa è concepita dallo spirito con la stessa facilità e chiarezza che se fosse conforme alla realtà. La distinzione tra verità di f. (contingenti) e verità di ragione (necessarie) rimane valida anche per I. Kant.
La nozione di f. come dato oggettivo dell’esperienza, criterio di validità delle scienze sperimentali, caratterizza tanto il positivismo ottocentesco quanto le forme successive di empirismo, intrecciandosi spesso con la riflessione della filosofia della scienza sul ruolo dell’osservazione empirica nelle teorie scientifiche. Così, in una sostanziale ripresa della concezione di Hume, R. Carnap distinse tra proposizioni empiriche (o fattuali) e proposizioni analitiche (in cui sarebbero incluse anche le verità logiche). Le difficoltà interne a questa distinzione, poste originariamente in rilievo da W.V.O. Quine, e la storia successiva del neoempirismo condussero a una erosione della nozione di f. come dato oggettivo indipendente da assunzioni teoriche e puro risultato dell’osservazione empirica. Già P. Duhem all’inizio del 20° sec. aveva osservato che il f. è il risultato di un’interpretazione compiuta per il tramite degli strumenti e della terminologia propri di una teoria scientifica. Questa tesi, articolata soprattutto nella seconda metà del 20° sec. da filosofi quali N.R. Hanson, T. Kuhn, I. Lakatos, P.K. Feyerabend, ha condotto a riconoscere la implausibilità della distinzione, su cui per molti versi ancora si attardava il neoempirismo, tra asserzioni di fatto e asserzioni teoriche.