Logico e filosofo statunitense (Akron, Ohio, 1908 - Boston, Massachusetts, 2000). Partito dalla critica della teoria dei tipi per mostrarne l'eliminabilità in un lavoro di perfezionamento e di semplificazione del simbolismo messo a punto da Russell e Whitehead, il contributo di Q. si è poi allargato a un generale ripensamento del quadro filosofico dell'empirismo logico che aveva accompagnato la nascita di questo simbolismo. Tra i maggiori filosofi analitici, ha influenzato in vario modo, attraverso il celebre Gedankenexperiment della traduzione radicale e la sua concezione olistica del significato e delle teorie scientifiche, molti dei rappresentanti della filosofia statunitense di orientamento analitico-pragmatista (D. Davidson, H. Putnam, D.C. Dennett).
Dopo avere studiato a Harvard con C.I. Lewis e A.N. Whitehead, vi insegnò («tutor of philosophy» dal 1936 al 1941, professore associato di filosofia dal 1941 al 1948, ordinario di filosofia dal 1978, anno dal quale fu professore emerito della medesima università). Tra i maggiori e più influenti esponenti della filosofia analitica, fu profondamente influenzato sia dal pragmatismo di J. Dewey e C. I. Lewis sia dal neopositivismo, a cui si avvicinò attraverso il contatto con R. Carnap. Inizialmente interessato ai fondamenti della matematica (nel cui ambito propose una soluzione per il paradosso di Russell), legò poi il suo nome a una famosa critica a quelli che ha considerato i «due dogmi dell'empirismo», cioè la distinzione tra asserzioni analitiche e asserzioni sintetiche, e il riduzionismo, sui quali era in larga misura basata l'epistemologia neopositivistica. Le sue obiezioni all'analiticità derivarono innanzitutto dall'impossibilità di darne una definizione non circolare: il concetto di analiticità, cioè vero per significato, presuppone quello di sinonimia, mentre questo, a sua volta, non è definibile indipendentemente dall'analiticità. L'insostenibilità della distinzione analitico-sintetico deriva inoltre anche dalla critica al riduzionismo, la tesi cioè che ogni asserzione sia associata a un insieme di esperienze che la verificherebbero o falsificherebbero. A questa concezione, tipica dell'immagine neopositivistica della scienza, Q. contrappose una visione olistica secondo cui le teorie scientifiche sono connesse all'esperienza solo globalmente e non asserzione per asserzione, il che renderebbe vano ogni tentativo di delimitare in modo non ambiguo una classe di asserzioni strettamente empiriche distinte da una classe di asserzioni analitiche. Di qui la tesi epistemologica, nota come «tesi Duhem-Quine» in quanto originariamente avanzata da P. Duhem, secondo cui non è possibile sottoporre a controllo empirico un'ipotesi scientifica isolata, ogni procedura di controllo riguardando una porzione più o meno ampia della teoria a cui l'asserzione appartiene e lasciando così un ampio margine di scelta nella correzione della teoria nel caso di esperimenti falsificanti. Sulle stesse basi Q. estese le sue obiezioni anche alla più generale nozione di significato, di cui, attraverso l'esperimento mentale della traduzione radicale, mise in evidenza il carattere di postulazione ingiustificata: ogni asserzione è significante soltanto all'interno della totalità del linguaggio cui appartiene, e non in virtù di un'entità mentale o platonica a essa associata. Da ricordare inoltre il suo criterio di «impegno ontologico» (ontological commitment), secondo il quale ciò che una data teoria (scientifica, logica o matematica) asserisce esistere può essere determinato soltanto guardando ai valori delle variabili di quantificazione della teoria opportunamente formalizzata e non a eventuali presupposti metafisici. Nonostante le rilevanti obiezioni all'epistemologia neopositivistica e l'orientamento decisamente pragmatico, Q. non mise mai in discussione il fisicalismo, la tesi cioè che la struttura vera e ultima della realtà sia quella studiata dalla fisica, a cui dovrebbe essere ricondotta anche la psicologia. Sostenitore di un naturalismo integrale (in cui si dichiara seguace di Dewey), concepì inoltre la teoria della conoscenza come parte della scienza naturale, in particolare della psicologia comportamentistica, pervenendo alla proposta di una «epistemologia naturalizzata». Tra le opere: Mathematical logic (1940; 3a ed. 1962), Methods of logic (1950; 2a ed. 1959, trad. it. 1960), From a logical point of view (1953; trad. it. Il problema del significato, 1966), Word and Object (1960; trad. it. 1970), Set theory and his logic (1963), The ways of paradox and other essays (1966; trad. it. 1975), Ontological relativity and other essays (1969; trad. it. 1986), Philosophy of logic (1970; trad. it. Logica e grammatica, 1981), The roots of reference (1974), Theories and things (1981), Quiddities (1987; trad. it. Quidditates, 1991), Pursuit of truth (1990; 2a ed. 1992). Da ricordare inoltre la sua autobiografia The time of my life (1985). Numerose sono le raccolte di saggi sulla filosofia di Q.; si ricorda qui The philosophy of W. V. Quine, a cura di L. E. Hahn e P. A. Schilpp, 1986.