storicismo Movimento filosofico che, a partire dalla metà del 19° sec., ha posto l’accento sull’irriducibilità della conoscenza storica a leggi universali e necessarie, come quelle tipiche delle scienze naturali, giungendo, nei suoi esiti più rappresentativi, a proclamare la superiorità della conoscenza storica su quella delle altre discipline, in quanto solo tale conoscenza sarebbe capace di cogliere gli aspetti individuali e i valori che costituiscono l’essenza più profonda della vita e della realtà spirituale, e in particolare, il suo continuo mutare, il suo irriducibile dinamismo.
Il termine compare saltuariamente in Novalis e più di frequente nella prima metà del 19° sec., ma solo alla fine del secolo assume il senso poi codificato da opere come quella di E. Troeltsch (Der Historismus und seine Probleme, 1922) e F. Meinecke (Die Entstehung des Historismus, 1936) per indicare una concezione della storia in contrasto sia con la filosofia romantica e idealistica della storia, sia con l’equiparazione positivistica delle scienze umane alle scienze della natura.
Nato in seguito al grande sviluppo degli studi storici nella Germania del secondo Ottocento, lo s. annovera tra i suoi maggiori rappresentanti W. Dilthey, M. Weber, G. Simmel, O. Spengler e, in certa misura, i neokantiani della scuola del Baden, H. Rickert e W. Windelband. Suo obiettivo fu soprattutto di dare una fondazione gnoseologica alla conoscenza storica, avvertita come un tipo di conoscenza sui generis, interessata a eventi individuali, unici e irripetibili, e quindi radicalmente diversa da quella degli eventi naturali, di tipo essenzialmente nomologico, oggetto delle scienze naturali.
Grande rilievo ha avuto in questa prospettiva la distinzione diltheyana tra Naturwissenschaften («scienze della natura») e Geisteswissenschaften («scienze dello spirito»), le prime basate sull’Erklären, lo spiegare causalmente, le altre sul Verstehen, il comprendere ermeneuticamente, una forma di conoscenza le cui categorie di scopo, valore, significato, diverse da quelle della conoscenza del mondo naturale, sono desunte dalla vita. Gli obiettivi metodologici dello s. avrebbero trovato la loro maggiore espressione in Weber, la cui opera è in larga misura un tentativo di conciliazione tra i due tipi di conoscenza radicalmente separati (anche sul piano ontologico) da Dilthey. In Italia B. Croce elaborò una concezione storicistica, distinta da quella dello s. tedesco, in cui tutta la realtà è concepita come storia, nel senso di un radicale immanentismo. Per l’insistenza sul legame tra i valori e la situazione storica in cui essi emergono e si realizzano, lo s. è stato talvolta considerato una forma di relativismo (in questa direzione va soprattutto la teoria delle Weltanschauungen di Dilthey, con la quale veniva messa in discussione la validità assoluta di ogni singola forma di vita, religione o filosofia). Attraverso la fenomenologia husserliana e l’ontologia heideggeriana lo s. è stato in parte ripreso dalla filosofia ermeneutica (in particolare da H.G. Gadamer), che ha posto al centro della conoscenza storica il linguaggio come dimensione nella quale soltanto la verità si manifesta storicamente in modo sempre nuovo e irripetibile.
Un significato completamente diverso dai precedenti ha attribuito al termine s. K.R. Popper (The poverty of historicism, 1944-45), che ha designato con esso l’insieme delle dottrine (materialistiche, evoluzionistiche, idealistiche) che concepiscono la storia umana come uno sviluppo necessario retto da proprie leggi, sulla base delle quali sarebbe prevedibile il suo corso futuro, e volto alla realizzazione di scopi che travalicano le azioni e gli obiettivi dei singoli individui. In quest’accezione il termine è stato applicato da Popper soprattutto alla filosofia della storia di G.H.F. Hegel e alle concezioni dialettiche del marxismo, a suo avviso basate su errori logici e responsabili di giustificare teoreticamente il totalitarismo politico.