Logico e filosofo del linguaggio (Vienna 1889 - Cambridge, Inghilterra, 1951). Interruppe gli studî d'ingegneria iniziati all'univ. di Manchester, per dedicarsi alla matematica e ai suoi fondamenti logici; nel 1912 seguì a Cambridge i corsi di B. Russell. Dopo la prima guerra mondiale, a cui partecipò come ufficiale austriaco, si dedicò all'insegnamento elementare (1920-26); tornò quindi (1929) a Cambridge, dove nel 1939 divenne professore di filosofia, ma si dimise nel 1947, per dedicarsi agli studî. Si era naturalizzato inglese nel 1938. Il pensiero di W. ha attraversato essenzialmente due fasi: l'una, quale si esprime nel Tractatus logico-philosophicus (1922; trad. it. 1954); l'altra, corrispondente al suo magistero a Cambridge, che trova espressione nelle opere postume Philosophische Untersuchungen (1953; trad. it. 1967), Bemerkungen über die Grundlagen der Mathematik (1956; trad. it. 1971), The blue and brown books (1958; trad. it. 1983), Zettel (1967; trad. it. 1986), Philosophische Grammatik (1969; trad. it. 1990), Bemerkungen über die Philosophie der Psychologie (1980; trad. it. 1990). La prima fase ha come tema fondamentale l'indagine sulla natura del linguaggio e sulla sua capacità di raffigurare la realtà. Il linguaggio considerato da W. è quello idealmente perfetto e unico, la cui struttura rispecchierebbe la struttura essenziale della realtà. La sua costituzione poggia, secondo W., sul fondamento delle proposizioni elementari o atomiche, corrispondenti ai fatti semplici, cioè ai dati sensibili immediati. La scienza quindi sarebbe costituita dalla totalità di siffatte proposizioni elementari con significato empirico; invece le proposizioni della logica formale e della matematica pura, non avendo significato empirico, sarebbero pure tautologie, "pseudo-proposizioni", e risulterebbero dalla trasformazione dei segni linguistici. Le proposizioni della filosofia tradizionale, non riconducibili né alle proposizioni elementari di significato empirico, né a quelle logico-matematiche, sono dette pseudo-proposizioni "senza senso (sinnlos)", anzi "insensate" (unsinnig). La filosofia viene allora concepita da W. non più come dottrina, ma come attività, che avrebbe il compito di esplorare la struttura logica di quanto è detto, per es., in una certa dottrina scientifica, e di mostrare la corrispondenza di proposizioni elementari e fatti semplici. Poiché siffatta corrispondenza non si può esprimere, ma solo mostrare, il Tractatus conclude al silenzio: "Sopra ciò di cui non si può parlare, bisogna tacere". Di qui la dichiarazione finale di W.: chiunque fosse riuscito a comprenderlo doveva ritenere le sue affermazioni prive di senso. La seconda fase segna un avvicinamento di W. alle tendenze proprie della scuola inglese ispirate da G. E. Moore, e quindi l'abbandono di alcune idee fondamentali del Tractatus, principalmente la considerazione del linguaggio idealmente unico e perfetto, a favore del linguaggio ordinario o quotidiano. Denunciando come visione semplicistica e riduttiva quella del linguaggio-nomenclatura, del nome-etichetta biunivocamente collegato a un oggetto (delineata nel Tractatus), W. è ormai interessato solo all'infinita complessità degli usi del linguaggio e agli aspetti pragmatici della comunicazione. Al posto di un'analisi logica del linguaggio legata alla nozione basilare di proposizione elementare viene introdotta ora quella di gioco linguistico. Come si possono immaginare una quantità di giochi (per es., quelli da tavolino, gli scacchi, ecc.), ciascuno con le sue regole e la sua logica interna, così si possono costruire i più svariati giochi linguistici (a prescindere dalla loro effettiva esistenza), fornendo per ciascuno di essi l'insieme delle regole cui obbediscono. Sbaglierebbe comunque chi volesse cercare nell'infinita varietà dei giochi linguistici i tratti comuni, le caratteristiche generali, l'essenza del linguaggio; ogni gioco è diverso dall'altro e solo parzialmente raffrontabile. È dunque un'inammissibile ontologizzazione del linguaggio quella che rende possibile porre problemi intorno all'essenza di qualcosa. Il significato delle frasi non è più ora da ritrovarsi in una qualche teoria della corrispondenza nome-oggetto, ma va piuttosto riportato all'uso che ne fa il parlante all'interno di un determinato gioco linguistico. Il problema del linguaggio come totalità, che era stato al centro della riflessione del Tractatus, è così vanificato; il linguaggio si decompone nella miriade dei giochi linguistici. L'attività del filosofo diviene, in questa prospettiva, in ultima analisi, un'attività di paziente chiarificazione, nello sforzo di risolvere, additando le confusioni linguistiche che li hanno determinati, i tradizionali problemi metafisici, e in questo senso acquista una funzione terapeutica. Importanti, da questo punto di vista, le riflessioni wittgensteiniane sui termini mentalistici (credenza, desiderio, intenzione, aspettativa, ecc.) e sulle asserzioni psicologiche, volte a denunciare la confusione linguistica che si celerebbe sotto il tradizionale dualismo mente-corpo e la psicologia mentalistica e introspettiva che ne costituisce l'esito. Se l'influenza del Tractatus era stata notevole, specie per quanto riguarda gli inizî del Circolo di Vienna (in particolare sul pensiero di M. Schlick), l'insegnamento di W. a Cambridge ebbe un impatto ancora più ragguardevole, soprattutto in area anglosassone, promuovendo importanti sviluppi filosofici (v. filosofia analitica), nonostante il fatto che le più recenti e plausibili interpretazioni storiografiche volte a ricostruire nella sua globalità la riflessione di W. abbiano sicuramente evidenziato l'unilateralità dell'interpretazione tradizionale (in chiave appunto di filosofia analitica) del pensiero wittgensteiniano, ponendo invece l'accento sulla complessità della sua matrice originaria legata, sia dal punto di vista degli interessi epistemologici che di quelli più generalmente culturali, alla tradizione mitteleuropea e specificamente viennese del suo tempo (con particolare riguardo all'importanza della dimensione etica, centrale in W. come nel suo contemporaneo K. Kraus).