WILLAERT, Adrian (Adriano, Adriaan). – Nacque intorno al 1490 nei pressi di Roeselare, nelle Fiandre occidentali (e non a Bruges, come si è lungamente creduto, sulla scorta di François Sweerts, Athenae Belgicae sive Nomenclator infer. Germaniae scriptorum, Antverpiae 1628, p. 104); soltanto di recente il dato, dopo annose controversie, è stato corroborato da approfondite ricerche (Aerbeydt, 1999, 2000, 2004). Primogenito di Denis, che fu poi scabino a Roeselare, ebbe cinque fratelli e sorelle (Jooris, Maria, Catharina, Joanna, Antoon)
Da giovane avrebbe studiato giurisprudenza a Parigi: così risulta dalle parole che Gioseffo Zarlino gli attribuisce nelle sue Dimostrationi harmoniche (Venezia, Francesco dei Franceschi, 1571, p. 8). Il contatto con Jean Mouton, membro della cappella reale di Francia sotto Luigi XII e Francesco I, avrebbe suscitato nel giovane fiammingo l’interesse per la composizione (p. 89). Dal 1515 fu al servizio degli Este in Ferrara. Dapprima lavorò per il cardinal Ippolito I, che l’aveva forse scritturato in Roma per mezzo di un agente. Nel 1517 accompagnò in Ungheria il porporato, dal 1487 arcivescovo titolare di Esztergom; alla di lui morte (1520), «Adriano cantore» fu assunto dal fratello, Alfonso, terzo duca di Ferrara. Mantenne i rapporti con la casa d’Este anche dopo che, nel 1527, ebbe preso servizio a Venezia. Lo conferma la circostanza che nell’aprile 1562 il quinto duca, Alfonso II, in visita di Stato in laguna, volle recarsi al capezzale di Willaert, già molto malato.
Le opere di Willaert si riscontrano assai precocemente in manoscritti polifonici italiani del secondo decennio del Cinquecento, come il cod. Medici (Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Mss. acquisti e doni, 666) e il cod. Rusconi (Bologna, Museo internazionale e biblioteca della Musica, Q.19), e in collettanee a stampa edite da Ottaviano Petrucci (1519) e da Andrea Antico (dal 1520). Una sua composizione, apparsa in una collettanea databile al 1526 – il duo enigmatico Quid non ebrietas dissignat?, su un passo delle Epistulae di Orazio (I.5, 16-20) –, è stata oggetto di accesi dibattiti nel Cinquecento, e di nuovo nel Novecento: vi viene percorso l’intero circolo delle quinte, talché l’accordo conclusivo, notato come una settima, vuol essere propriamente intonato come ottava. Come riferì Giovanni Spataro nel 1524, il brano procurò non lievi grattacapi ai cantori della cappella di Leone X. La fortuna delle opere di Willaert in Roma dovette comunque essere contrastata. Da un aneddoto riferito da Zarlino si apprende che Willaert, in visita nella cappella papale, assisté a un’esecuzione del suo mottetto Verbum bonum et suave (composto non dopo il 1519): ma quando i cantori, convinti d’aver cantato un’opera di Josquin Despreés, ebbero appreso che il vero compositore era invece lui, «mai più lo volsero cantare» (Le istitutioni harmoniche, Venezia, [Pietro da Fino], 1558, p. 346).
Il 12 dicembre 1527 Willaert, per intercessione del doge Andrea Gritti, fu assunto come maestro di cappella nella basilica ducale di S. Marco, succedendo a Petrus de Fossis e Pietro Lupato (Luppato). Tenne il posto fino alla morte. Ebbe talmente tanti discepoli, sia fiamminghi sia italiani, che gli storici della musica ne parlano come di una ‘scuola di Willaert’. Per decreto dei procuratori di S. Marco, uno degli allievi, Baldassare Donato, fu incaricato di far copiare le messe e i vespri di Willaert in codici appositi e altresì di vigilare che il maestro si dedicasse assiduamente alla composizione (come risulta da un documento del 5 dicembre 1547; in Ongaro, 1986, pp. 88-90, 332 s.).
Nella seconda metà degli anni Trenta Willaert si ammogliò con una tale Susana, citata nei testamenti (non risultano figli nati dal matrimonio). A due riprese ritornò in patria, nelle Fiandre. Nel 1542 visitò tra l’altro la città di Bruges, e in quell’occasione compose il mottetto Laus tibi, sacra rubens a cinque voci in onore del Sacro Sangue, venerato in una cappella cittadina. Il secondo viaggio, nel 1556-57, sarebbe dovuto durare pochi mesi, ma Willaert prolungò il soggiorno, a quanto pare per malattia.
Morì il 7 dicembre 1562 in Venezia, al termine di una lunga infermità. Da vari documenti risulta che la sua salute era cagionevole. Redigette svariati testamenti (dal 1549 in poi), in cui si lamenta tra l’altro della podagra; tra gli esecutori testamentari compaiono Marc’Antonio Cavazzoni e Zarlino.
Già in vita Willaert fu celebrato in numerosi encomi poetici e prosastici. È ben nota l’epistola in cui il letterato Andrea Calmo ne loda la musica, «destilà a sete lambichi [...], proprio a la condition de l’aurum potabilem» (Lettere, a cura di V. Rossi, Torino 1888, pp. 199). La sua dipartita fu cantata in almeno cinque lamenti musicali: nel 1564 in due «greghesche» di Andrea Gabrieli e di Alvise Harout, nipote del musicista (figlio della sorella Joanna) e cantore in S. Marco; nel 1566 in un mottetto di Cipriano de Rore; e nel 1567 in due madrigali di Giovanni Battista Conforti e di Lorenzo Benvenuti.
L’importanza storico-musicale di Willaert è immensa. Fu tra i sommi polifonisti nella generazione che si colloca tra la scomparsa di Josquin Després (1521) e il pieno rigoglio di Orlando di Lasso e Giovanni Pierluigi da Palestrina dopo la metà del secolo. Coltivò pressoché tutti i generi allora in uso, e seppe imprimere loro un notevole impulso. Le sue opere sono documentate in primis da edizioni a stampa, tutte apparse in Venezia, perlopiù presso Antonio Gardano (Gardane; di seguito si citeranno soltanto gli altri editori e tipografi). Compose relativamente poche messe; la raccolta più cospicua è il Liber quinque missarum dedicato ad Alessandro de’ Medici, duca di Firenze (Marcolini, 1536): consta integralmente di messe ‘ad imitazione’, che attingono ed elaborano soggetti melodici desunti da mottetti di autori collegati alla corte francese di Luigi XII (Mouton tra gli altri). A un’epoca più avanzata appartiene la Missa Mittit ad virginem, tramandata in manoscritto, che sviluppa il materiale dell’omonimo mottetto, incluso nella di lui Musica nova (1559). Il grosso degli inni uscì nella Hymnorum musica secundum ordinem Romanae ecclesiae excellentissimi Adriani Wilart ac aliorum authorum a quattro voci (Girolamo Scotto, 1542), disposta secondo il calendario liturgico. Gli inni – condotti vuoi alternatim (ossia alternando strofe polifoniche a strofe in canto piano) vuoi a tessuto polifonico continuo – sono perlopiù condotti in forma di canone e si basano sulle melodie gregoriane corrispondenti. I sacri e santi salmi [...] a uno choro et a quatro voci (1555) sono destinati ai vespri delle feste maggiori. La raccolta I salmi appertinenti alli vesperi [...] parte a versi et parte spezzadi, da cantare a uno e a due cori (1550), accosta composizioni di Willaert e di Jachet da Mantoa (Jacques Colebault).
La maggior parte dei mottetti di Willaert è raggruppata in quattro libri, di cui i primi tre apparsi nel 1539 per i tipi veneziani degli Scotto: la Musica quatuor vocum (quae vulgo motecta nuncupantur) [...] liber primus; i Motetti [...] libro secondo a quattro voci; e la Musica quinque vocum [...] liber primus (ristampa Scotto del 1550). Il quarto libro, Musicorum sex vocum... liber primus, uscì nel 1542 da Gardano (il quale peraltro nel 1545 procurò una riedizione fortemente riveduta dei due libri a quattro). I testi dei mottetti sono tratti dal Libro dei salmi, da antifone, sequenze e inni, ma anche da passi evangelici e da componimenti poetici latini di soggetto profano. Nei mottetti della prima ora, apparsi in collettanee degli anni Venti e Trenta, l’influsso di Mouton si avverte nel contrappunto imitativo, nella condotta delle voci a coppie e nei floridi melismi che adornano l’enunciato verbale. A partire dai tre libri del 1539, le sezioni in imitazione stretta si alternano a passi di contrappunto più sciolti, mentre il testo viene perlopiù declamato sillaba per sillaba. In alcuni brani Willaert ricorre alle tecniche del ‘soggetto cavato’, dell’intreccio con un cantus firmus dato, e dell’ostinato.
Il vertice della produzione mottettistica di Willaert è consegnato alla già citata Musica nova del 1559, una copiosa raccolta di 27 mottetti e 25 madrigali a organico variabile, da quattro a sette voci. Da vari documenti risulta che, prima d’essere pubblicati, i brani contenuti nel libro, composti una ventina d’anni prima, avevano goduto di una certa circolazione in una ristretta cerchia di mecenati ed estimatori (come i fuorusciti fiorentini Ruberto Strozzi e Neri Capponi), compositori (come Donato, Perissone Cambio e Girolamo Parabosco) e teorici (cfr. Owens - Agee, 1989). Spiccano in particolare i registri vocali gravi, il contrappunto assai fitto e serrato, la cura riposta nell’osservanza della prosodia.
I primi madrigali di Willaert videro la luce a partire dal 1534, dapprima in miscellanee editoriali veneziane intestate a Philippe Verdelot, poi via via in altre collettanee. Il testo è trattato sillabicamente, ciascun verso è suggellato da una cadenza, l’ordito polifonico è tessuto perlopiù in omofonia (ossia per scansioni accordali): sono caratteristiche che palesano l’influsso dello stile di madrigalisti ‘fiorentini’ come Verdelot e Jacques Arcadelt (a Willaert venne peraltro attribuita una Intavolatura de li madrigali di Verdelotto da cantare et sonare nel lauto, Ottavio Scotto, 1536). Qual dolcezza giamai | di canto di sirena|Qual dolcezza giamai | di canto di sirena, in apertura della collettanea Le dotte et eccellente compositioni de i madrigali a cinque voci (Girolamo Scotto, 1540), è un encomio poetico rivolto alla cantante Polissena Pecorina: costei, consorte di un fuoruscito fiorentino, ebbe poi un ruolo di spicco nella genesi della Musica nova (pare che ne avesse posseduto il manoscritto, prima di venderlo ad Alfonso d’Este nel 1554; cfr. Newcomb, 1973). Quanto al novello stile madrigalistico sbocciato nel corso del quinto decennio, esso toccò il vertice proprio nella Musica nova: la seconda metà del libro consta di una fastosa collana di sonetti, tutti di Francesco Petrarca (salvo uno, dialogato, di Panfilo Sasso: Quando nascesti, Amor? – Quando la terra); i primi ventun madrigali sono articolati in due parti, una per le quartine, l’altra per le terzine. In seno alla Musica nova i madrigali, nel ricorso programmato a determinati ‘tipi’ tonali, distribuiti secondo un piano coerente, e nel compatto tessuto polifonico, rappresentano un ben calibrato pendant, quanto a contenuto e stile, rispetto ai mottetti nella prima metà del libro.
Willaert dilatò da tre a quattro voci l’organico standard delle villanelle, un genere strofico di provenienza napoletana di cui avevano dato precoce testimonianza in Venezia i due libri di Canzoni villanesche di Giovanni Domenico Del Giovane da Nola (Girolamo Scotto, 1541). Affidò inoltre la melodia principale al tenore, dal che scaturirono risorse melodiche e armoniche fin lì inesplorate. Il grosso di queste composizioni è incluso nelle Canzone villanesche alla napolitana... a quatro voci (due edizioni, Scotto 1544 e Gardano 1545, e varie ristampe), che contengono anche una presunta «Canzone di Ruzante» (Zoia zentil, che per secreta via). Quanto alle chansons francesi, Willaert ne aveva composte fin da quando studiava con Mouton. Accanto a canzoni a tre voci di piglio più popolaresco, in voga alla corte di Luigi XII, produsse anche chansons intessute di imitazioni in canone, come quelle dei Motetti novi e chanzoni franciose a quatro sopra doi (Venezia, Andrea Antico, 1520); e di canoni lardellò anche le chansons a cinque e sei voci (raccolte in miscellanee parigine del 1560 e del 1572, ma in qualche caso già apparse in collettanee degli anni Venti-Quaranta).
Nel campo della musica strumentale impresse nuovo impulso all’evoluzione di un genere, il ricercare, che se in origine si atteneva a modelli vocali, ben presto se ne emancipò e venne a costituirsi come repertorio strumentale autonomo: lo si osserva in particolare nella collettanea intitolata Musica nova accommodata per cantar et sonar sopra organi et altri strumenti (Andrea Arrivabene, 1540), cui concorsero anche Giulio Segni, Parabosco e Girolamo Cavazzoni, e nelle Fantasie recercari contrapunti a tre voci di M. Adriano et de altri autori appropriati per cantare et sonare d’ogni sorte di stromenti (1551), con brani di Rore, Antonio Barges e Cavazzoni.
Tanto in vita quanto in morte Willaert venne celebrato e ricordato in trattati di teoria musicale. Ancora i fratelli Claudio e Giulio Cesare Monteverdi, nella polemica «Dichiaratione» pubblicata in appendice agli Scherzi musicali (Venezia 1607), lo additavano come il culmine insuperato della cosiddetta «prima prattica», quella «che versa intorno alla perfetione de l’armonia, cioè che considera l’armonia non comandata ma comandante, e non serva ma signora de l’oratione» (in opposizione a una «seconda prattica», coltivata dai compositori moderni, che viceversa assoggetta la struttura musicale all’osservanza delle parole). La codificazione più autorevole, efficace e durevole della dottrina di Willaert la offrì Zarlino, dal 1541 suo discepolo, nelle citate Istitutioni harmoniche del 1558: in particolare le tecniche contrappuntistiche del canone e della imitazione su cantus firmus vi vennero illustrate sulla scorta di esempi desunti dalle opere di Willaert. Ancora nel Settecento padre Giovanni Battista Martini adduceva due suoi salmi come esempi didattici nel volume primo del suo Esemplare o sia Saggio fondamentale pratico di contrappunto sopra il canto fermo (Bologna, circa 1775, pp. 119-121, 211 s.).
L’unico ritratto noto e accertato è la xilografia che figura sul retrofrontespizio della Musica nova. In varia epoca ne furono tratti dipinti oggi conservati presso il Museo della Musica di Bologna, l’Università di Lipsia, il Conservatorio di Napoli e il Kunsthistorisches Museum di Vienna (cfr. riassuntivamente Bianconi, 2018, pp. 151 s.).
Opere. Adriani Willaert opera omnia, a cura di H. Zenck et al., s.l. 1950; Adrian Willaert and his circle: canzone villanesche alla napolitana and villotte, a cura di D.C. Cardamone, Madison (Wis.) 1978; Adrian Willaert: the complete five and six-voice chanson, a cura di J.A. Bernstein, New York-London 1992. L’elenco delle opere, unitamente a una copiosa bibliografia, si legge in J.A. Owens et al., Willaert, Adrian, in The new Grove Dictionary of music and musicians, XXVII, London-New York 2001, pp. 389-400, e in W. Horn, Willaert, Adrian, in Die Musik in Geschichte und Gegenwart, Personenteil, XVII, Kassel 2007, coll. 943-965.
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