ADRIATICO (I, p. 553)
Il problema dell'Adriatico, dal 1938 ai nostri giorni, oscillò tra due fasi, che furono il riflesso dei mutamenti nell'equilibrio continentale e marittimo europeo. Si passò da una sistemazione "orizzontale", concretatasi; in una stretta collaborazione italo-germanica e dominata da interessi prevalentemente europei, a un ordine "verticale", sorto dopo il crollo militare delle potenze medio-europee, governato da esigenze extra-continentali e collegato alle necessità di una politica mondiale.
La politica italo-germanica di mutua cooperazione, bilanciata sopra il tacito reciproco riconoscimento di libertà d'azione in sfere formalmente ben definite (nel continente a favore della Germania, nell'ambito mediterraneo e marittimo a vantaggio dell'Italia), di fronte all'oscurarsi dei rapporti internazionali, doveva precisarsi entro uno schema politico e militare, irrevocabile ed esplicito, di incalcolabili conseguenze. In questo quadro il problema adriatico, se non assunse una posizione preponderante, diventò uno dei poli di quella sfortunata politica mediterranea, nella quale si volle porre l'interesse esclusivo della vita italiana. E l'interesse italiano nell'Adriatico diventò anche più imperativo, non tanto per il contrasto con le tradizionali posizioni e prerogative delle due nazioni occidentali (Inghilterra e Francia) nel Mediterraneo, quanto sotto lo stimolo dell'alleato, quando l'espansione tedesca giunse al Brennero con l'occupazione dell'Austria e si estese nel settore orientale e sudorientale. Le conseguenze di queste iniziative tedesche, in parte realizzate e in parte in processo di realizzazione, furono assai gravi non solo per l'equilibrio generale europeo, suscitando sospetti e fermenti nelle potenze occidentali e nell'URSS, ma anche nel seno stesso della cooperazione italo-germanica.
La conquista dell'Etiopia non aveva assicurata all'Italia la preminenza mediterranea; l'avventura spagnola era stata un successo apparente; l'accordo anglo-italiano (16 aprile 1938) aveva partorito un compromesso di carattere sospensivo, piuttosto che una stabile sistemazione. La posizione dell'Italia nel Mediterraneo restava sempre precaria, e conseguentemente quella adriatica incerta e contrastata dalla pressione slava sopra l'altra sponda e dalla diffidenza greca.
L'annessione dell'Austria alla Germania e la minaccia berlinese contro l'integrità cecoslovacca, non mancarono di ripercuotersi immediatamente sopra l'equilibrio adriatico: dal punto di vista politico l'avanzata tedesca verso il sud poteva minacciare il preponderante interesse marittimo italiano entro la cooperazione italo-germanica; nei riguardi economici, i mutamenti territoriali troncavano la corrente di traffico dell'hinterland triestino con le regioni centroorientali, divergendola verso i porti del nord, e particolarmente verso Amburgo. Fu la paralisi del porto di Trieste, la quale ebbe conseguenze incalcolabili, non sanate dagli sforzi di consolidare l'intesa italo-germanica con un rafforzamento militare (Patto d'acciaio del 22 maggio 1939), né dalla politica d'intesa italo-iugoslava, patrocinata dal conte G. Ciano e dal ministro M. Stojadinovič, né dall'occupazione dell'Albania, compiuta dal governo italiano nella presunzione di assicurarsi un pegno nell'eventualità di una possibile infiltrazione tedesca.
In realtà l'annessione dell'Albania all'Italia (aprile 1939) non modificò sensibilmente l'equilibrio politico ed economico generale europeo, né quello particolare dell'Adriatico, sia per la scarsa disponibilità di risorse naturali del paese, sia per il suo debole valore strategico come posizione offensiva e difensiva.
In effetti, il dominio marittimo mediterraneo, riservato, nel Patto d'acciaio, all'Italia, era soffocato dal prepotere tedesco sempre più invadente ed intollerante; la preminenza adriatica, rivendicata all'Italia, era illusoria, dopo che l'importanza politica ed economica di quel mare era stata svuotata di molta parte del suo contenuto. Lo scoppio della seconda Guerra mondiale parve maturare il piano di conquista territoriale sulla sponda orientale, dalla Croazia alla Dalmazia, al Montenegro, alla Grecia, come parte integrante dello "spazio vitale mediterraneo", garantito all'Italia dal patto italo-germanico.
La fallacia del programma fu assai presto sottolineata dall'avverso sviluppo politico e militare degli avvenimenti. La solidità delle conquiste fu pregiudicata dagli sfavorevoli risultati dell'azione militare italiana in Grecia; l'efficacia delle annessioni fu definitivamente compromessa dal diretto intervento tedesco nel settore riservato all'azione italiana. Fu questo il primo passo che preparò, col progressivo capovolgimento delle fortune militari italo-germaniche, anche lo spostamento dell'asse di equilibrio europeo in senso verticale. L'invadente totalitarismo tedesco e il precisarsi delle sfere politiche e militari degli Alleati portarono all'annullamento delle previsioni italiane. Il mare Adriatico attraverso questo processo diventò prima un mare tedesco, base d'operazione del piano militare germanico, poi limite di confine tra sfere anglo-sassone e slava, in prosecuzione della linea continentale dell'Adriatico al Baltico, ben precisato negli accordi di Jalta e di Potsdam del febbraio e agosto 1945. La disfatta militare nazifascista, distruggendo i vani sogni d'imperialismo, apriva l'adito a più dolorosa ma più positiva realtà, riproponendo il problema dell'equilibrio etnico-politico-economico dell'Adriatico nei suoi termini più naturali tra i rivieraschi dell'una e dell'altra sponda, non senza l'intervento d'influenze estranee assai più remote. Il conflitto italo-iugoslavo nell'Adriatico, scaturito dalla soluzione militare della seconda Guerra mondiale, non sta in funzione diretta degli opposti bisogni (sotto un certo aspetto anche complementari) dei più prossimi interessati, bensì delle prospettive di un mondo più ampio, di cui viene ad essere quasi riflesso e strumento. La sistemazione territoriale adriatica con la salvaguardia degli interessi italiani e greci identificantisi con gli interessi anglo-sassoni, con il ristabilimento dell'indipendenza albanese e con la ricostituzione della grande Iugoslavia sotto l'influenza russa, con la creazione del territorio libero di Trieste come area neutra tra le due sfere, non ha contribuito a chiarire e migliorare l'assetto e la funzione adriatica, sì da eliminare le cause di attrito e da avvantaggiare l'attività economica. La paralisi dei centri maggiori di irradiazione, Trieste, Fiume, Venezia, diretta conseguenza del disordine politico-amministrativo-economico che travaglia il rispettivo retroterra, lungi dal permettere una politica di attiva operosità, sarà sempre suscettibile di incidenti pericolosi e rappresenterà, fino a quando non si sia ripristinata una stabile normalità, una minaccia costante all'equilibrio adriatico.
Operazioni durante la seconda Guerra mondiale. - Durante la seconda Guerra mondiale non si sono avute azioni belliche d'importanza nell'Adriatico, perché era pericoloso per gli Alleati cimentarsi in quella profonda insenatura cosparsa all'intorno di aeroporti italo-tedeschi. Le esperienze dello Skagerrak e di Capo Teulada avevano dimostrato che nessuna flotta, per quanto potente, poteva tenere con vantaggio il mare senza l'appoggio di un'adeguata forza aerea. Gli Alleati pertanto si trovarono in una condizione d'insanabile inferiorità fino a quando le coste italo-balcaniche rimasero sotto il controllo dei loro nemici. Dopo l'8 settembre la situazione mutò radicalmente in Adriatico, ma gli Anglo-americani non assunsero ugualmente l'iniziativa di azioni navali di grande respiro, perché, ai fini della campagna d'Italia, superflue, e, ai fini di un'offensiva nei Balcani, impossibili, a causa dell'impegno, preso coi Russi alla conferenza di Teherān (28 novembre-1° dicembre 1943), di non intraprendere azioni di sbarco in grande nella penisola balcanica.
Non rimane perciò che accennare ai varî episodî, i quali, senza coordinazione operativa fra di loro, si svolsero nel più interno dei nostri mari in tempi e specchi d'acqua diversi. Dopo le operazioni per la conquista dell'Albania (v. in questa App.), la guerra contro la Grecia (v. in questa App.) non ebbe gravi riflessi sul mare Adriatico, salvo l'intensificazione dei trasporti navali (furono affondati 2 trasporti) ed aerei con l'Albania. In seguito alle operazioni di guerra contro la Iugoslavia da parte delle potenze dell'Asse, tutte le coste fra Fiume e la Boiana, occupate nella seconda quindicina dell'aprile 1941, passarono sotto il controllo italiano, mentre le isole dalmate venivano occupate da modeste spedizioni navali.
Dopo l'annuncio dell'armistizio dell'Italia con gli Alleati (8 settembre 1943), furono abbandonate tutte le coste orientali dell'Adriatico. I comandi delle basi marittime di Valona e Teodo nella baia di Cattaro ebbero ordine dal comando del gruppo di armate di Tirana di cedere ai Tedeschi le batterie costiere e ogni arma pesante: l'isola di Saseno ebbe ordine di non opporsi ai Tedeschi ove intendessero occuparla, ma di limitarsi a gettare in mare il munizionamento. Tutto il personale poté raggiungere Brindisi su imbarcazioni locali e su altre giunte da Cefalonia e Corfù. A Durazzo, essendo stato interrotto il traffico proprio nei giorni precedenti all'armistizio per la presenza di sommergibili inglesi nelle vicinanze, rimasero all'ormeggio due cacciatorpediniere, navi ausiliarie e numerosi piroscafi. Ma nonostante gli accordi avendo i Tedeschi tentato di entrare nel recinto portuale, il 10 mattina il nostro presidio dovette aprire il fuoco contro di loro, che però ebbero rapidamente il sopravvento.
In Albania i Tedeschi assunsero la veste di liberatori, ma la loro posizione cominciò a vacillare con lo sbarco dei Britannici sul confine meridionale a fine settembre 1944, e venne naturalmente travolta dall'occupazione di Tirana e Durazzo, compiuta da truppe albanesi il 21 novembre dello stesso anno.
A Zara il 9 settembre 1943 giunse da Pola la cannoniera Aurora, già yacht del capo del governo, che si ormeggiò alla banchina. Sopraggiunti i Tedeschi la cannoniera riuscì a filare e a dirigersi a tutta forza verso il passo di Sette Bocche: raggiunta dalle cannonate ebbe avarie e feriti, ma poté continuare. Alle 4 del giorno 11 presso Ancona, rintracciata da due Mas, fu silurata e affondata. I Mas proseguirono verso Venezia, dove presso l'uscita del Lido incontrarono il cacciatorpediniere Sella che, silurato, affondò alle 18 del giorno 11 settembre 1943. Dal comando del dipartimento di Venezia il 9 settembre, subito dopo la comunicazione Badoglio, partirono ordini ai comandi dipendenti (Trieste, Pola, Fiume, Ancona) perché tutte le navi pronte a partire lasciassero al più presto i porti, portandosi a sud del parallelo di Ancona: e le non pronte si autoaffondassero. Fra le navi salvatesi il Saturnia, con gli allievi ufficiali dell'Accademia navale che da Livorno si era da tempo trasferita al Lido, le navi scuola Colombo e Vespucci, mentre il Vulcania, che doveva imbarcare gli allievi ufficiali di complemento, s'incagliò a Brioni. I sovrani d'Italia col maresciallo Badoglio e il ministro de Courten, imbarcatisi a Pescara, raggiunsero Brindisi con la torpediniera Baionetta.