AGAPE (ἀγάπη "amore, carità")
Era una istituzione caritatevole del cristianesimo antico, fiorente soprattutto nei secoli III e IV, che consisteva in una cena, alla quale qualche membro facoltoso invitava in casa sua i poveri e specialmente le vedove della comunità, sotto la presidenza di un vescovo, e in sua vece di un prete o diacono, che ne regolava il buon andamento secondo le norme stabilite. In questo senso e con questo nome l'agape esisteva già ai tempi di Tertulliano, il quale ce ne fa nel suo Apologetico (cap. 39) una viva descrizione. È certo però che le sue origini risalgono agl'inizî stessi del cristianesimo; ma per qual via e da qual punto preciso sia venuta, non tutti convengono.
L'opinione più comune e meglio fondata è che l'agape provenga dal banchetto sacro detto κλάσις τοῦ ἄρτου o fractio panis (Atti, II, 42, 46; cfr. Luca, XXIV, 35; Didachè, IX, 3; XIV,1), al quale sulla sera, in qualche casa privata, i primitivi cristiani di Gerusalemme prendevano parte, in stretta comunione tra loro e con grande allegrezza; o, il che forse è lo stesso, dalla "cena del Signore" (κυριακόν δεῖπνον o coena dominica), che nelle chiese dei gentili, come a Corinto (I Corinzî, XI, 20 segg.), si celebrava la sera della domenica, ed era così chiamata perché intesa come una ripetizione della cena celebrata dal Signore con gli apostoli la sera avanti la sua passione. La forma, nell'uno e nell'altro caso, era in fondo la stessa del banchetto in uso presso gli ebrei la sera del venerdì, al principio, cioè, della festa del sabato, detto kiddush; il quale cominciava con la benedizione di un pane, fatta da chi presiedeva alla mensa, e la distribuzione di esso tra i commensali; seguitava poi con varî altri cibi comuni, e si chiudeva di nuovo con la benedizione e la distribuzione di un calice di vino. Essenzialmente però il banchetto cristiano differiva dall'ebraico, per ciò che il pane e il vino, sul quale era pronunziata la benedizione, ossia la preghiera di lode e di ringraziamento a Dio (ὁ εὐχαριστηϑεὶς ἄρτος, Giustino, Apol., I, 65.5), era consacrato nel corpo e nel sangue di Gesù, in memoria della sua morte e della sua resurrezione. Questa parte, propriamente detta eucharistia dalla preghiera di ringraziamento, conferiva un carattere religioso e sacro a tutto il rimanente, che dal canto suo aggiungeva la nota d'intimità fraterna e di carità verso i membri più bisognosi della chiesa, e quindi propriamente dicevasi agape; sebbene talora l'uno e l'altro nome sia stato adoperato indifferentemente per tutto il rito nel suo complesso (Giuda, 12; Ignazio, Rom., 7, 3; e Smyrn., 7, 1; 8, 2), facendo dimenticare le antiche denominazioni di fractio panis e di cena dominica. Nei primi tempi, in conformità dell'uso giudaico, le due parti andavano congiunte, in modo che, come nelle chiese fondate da S. Paolo (secondo sembra apparire da I Cor., XI, 25), la consacrazione del pane si faceva in principio e quella del vino in fine del banchetto, il quale così rimaneva come racchiuso in mezzo alla celebrazione dell'eucaristia. Ma poi, riunita la consacrazione del vino a quella del pane, tutta l'eucaristia è stata celebrata o in principio del banchetto, come appare dalla Didachè (capp. 9 e 10) e dalle Costituzioni e Canoni d'Ippolito, ovvero alla fine, come è nella versione etiopica delle Costituzioni d'Ippolito. Per questi due ultimi modi, l'eucaristia e l'agape, sebbene congiunte insieme, sono venute a trovarsi l'una semplicemente accanto all'altra, di guisa che si faceva più facile il separarle. Ad una effettiva separazione si venne allorquando, cresciuto grandemente il numero dei fedeli, non fu più possibile tenere un banchetto generale di tutta la comunità religiosa; onde l'eucaristia, quale offerta comune della chiesa, fu unita al servizio religioso della mattina, consistente nella lettura dei libri sacri e nella predicazione, e l'agape fu riservata alla sera, quale atto di carità dei singoli nelle loro case verso i poveri. Questa separazione naturalmente si compì in diversi tempi secondo i diversi luoghi. A Roma era già avvenuta circa il 150 (Giustino, Apol., I, 65-67). Nell'Africa non è chiaro se fosse già avvenuta quando Tertulliano faceva la descrizione dell'agape nell'Apologetico; ai tempi di S. Cipriano (Epist., 63, 16), oltre la messa comune del mattino, la sera si celebravano agapi particolari, che, come prima, cominciavano con la celebrazione della eucaristia.
Contrariamente a questa ricostruzione dello sviluppo storico dell'agape e alla sua primitiva unione col banchetto eucaristico, alcuni pochi (da molti anni mons. Batiffol, e recentemente, sebbene dubitante, K. Völker) vogliono che l'agape abbia percorso la sua via indipendentemente dall'eucaristia, e che abbia piuttosto tratto le sue origini dalle mense imbandite, al tempo degli apostoli, sotto la direzione dei diaconi, alle vedove della comunità (Atti, VI, 1 segg.). Anch'essi insistono sul testo famoso di S. Paolo, perché, dicono, l'apostolo ammoniva appunto i Corinzî di non congiungere la cena dominica con un banchetto profano; il che non è esatto, perché egli non proibiva che alcuni portassero dei cibi da casa loro, ma voleva solo che aspettassero, per mangiarli, la riunione generale dei fedeli, affinché tutti potessero godere dei cibi messi in comune (I Cor., XI, 33)
L'agape separata dall'eucaristia presto decadde, e specialmente quando, dopo Costantino, la sua celebrazione fu trasportata dalle case private nelle pubbliche basiliche. Contro gli abusi che ne vennero, presero delle gravi misure i concilî di Laodicea (343-44), di Orléans (533) e il quinisextum (Costantinopoli, 692); finché a poco a poco essa venne a sparire, e fu sostituita da altri modi di praticare la carità pubblica e privata.
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