interrogativi, aggettivi e pronomi
La classe delle parole interrogative comprende aggettivi (tecnicamente, determinanti) e pronomi (tecnicamente, sostituti del nome) usati nelle interrogazioni dirette e indirette.
Le domande parziali o aperte (che non hanno cioè come risposta sì o no; ➔ interrogative dirette) possono essere introdotte anche da avverbi interrogativi (➔ avverbi) come dove (per interrogare sul luogo), quando (per interrogare sul tempo), quanto (per interrogare sulla quantità), come (per interrogare sul modo), perché (per interrogare sulla causa, sul motivo o sul fine).
Si dà di seguito un prospetto degli interrogativi usati in italiano per rivolgere una domanda:
In particolare:
(a) tutte le forme elencate possono essere usate sia in funzione di soggetto che di complemento, diretto o indiretto;
(b) che, quale e quanto possono avere valore di determinanti e di pronomi, chi è solo pronome (lo stesso per che cosa);
(c) che è invariabile, chi e quale sono variabili solo rispetto al numero, quanto lo è rispetto al genere e al numero.
Come aggettivi, che e quale sono solitamente considerati sinonimi: entrambi interrogano sulla qualità (1 e 2, in cui i due interrogativi sono parafrasabili come «di che genere, di che tipo, di che natura», ecc.) o sull’identità del referente (3, in cui si chiede il nome di una persona; 4, in cui si chiede l’anno di nascita), animato (2 e 3) o inanimato (1 e 4):
(1) che/quali programmi hai?
(2) con che/quali uomini hai a che fare?
(3) di che/quale politico parli?
(4) in che/quale anno sei nato?
In alcuni casi la domanda è ambigua, può vertere cioè tanto sulla qualità quanto sull’identità. La richiesta espressa da (5), ad es., può essere sia generica sul tipo di libri (romanzi, saggi, ecc.), sia specifica sui titoli dei libri preferiti (eventualmente individuati all’interno di una serie):
(5) che/quali libri ti piacciono?
Nei casi analizzati, in cui i due aggettivi sono effettivamente intercambiabili, l’unica differenza riguarda la frequenza d’uso: nelle interrogative dirette, e più in generale nella lingua parlata, che è più comune di quale, considerata un’alternativa di registro più elevato. Va tuttavia sottolineato che, anche nelle domande dirette, la scelta tra che e quale può essere legata a fattori semantici: la domanda (6) a., formulata col che, può vertere sia sulla qualità, sia sull’identità; la stessa domanda formulata con quali – (6) b. – ha valore di richiesta di specificazione dell’identità:
(6) a. che libri hai letto quest’estate?
b. quali libri hai letto quest’estate?
a meno che non s’inserisca una perifrasi esplicativa (ampliamento possibile anche con che):
(6) c. quale/che genere/tipo di libri hai letto quest’estate?
In alcuni casi, la scelta tra che e quale è legata a fattori distribuzionali: se in (7) a. si possono usare entrambi gli interrogativi, in (7) b. è d’obbligo quale:
(7) a. che/quali programmi hai?
b. quali sono i tuoi programmi?
Anche collocazioni particolari possono imporre la scelta di uno dei due interrogativi: come in (8), ove quale è inglobato nella locuzione per quale motivo (equivalente a perché), o in (9), in cui quale è integrato in un’espressione idiomatica:
(8) per quale motivo non sei venuto?
(9) qual buon vento ti porta?
Si noti in (8) l’uso della forma tronca qual davanti a consonante: tipico, oltre che delle espressioni idiomatiche, dell’uso poetico (come «qual negligenza ...?», in Dante, Purg. II, 121). Più frequente nell’uso comune il ➔ troncamento davanti a vocale; a tal proposito va ricordato che qual non ha mai l’➔apostrofo, neppure quando si riferisca a un sostantivo femminile:
(10) qual è il tuo amico / la tua amica?
Come pronome, quale ha un valore diverso da che: interroga sull’identità di un referente tra referenti della stessa natura (umani o inanimati):
(11) quale vuoi?
Può essere seguito da un complemento partitivo che specifica il tipo di referente:
(12) quale dei miei libri vuoi?
Quanto interroga sulla quantità di un referente e si usa al singolare con nomi di massa (13 a.; ➔ massa, nomi di), al plurale con nomi numerabili (14 a.); quando è usato come pronome – (13) b. e (14) b. – richiede la particella ne:
(13) a. quanto pane vuoi?
b. quanto ne vuoi?
(14) a. quanti soldi hai?
b. quanti ne hai?
In alternativa al clitico, col pronome possiamo trovare un complemento partitivo:
(15) quanti di voi vogliono venire?
Quanto ha una forma elisa che si usa davanti a vocale o davanti a h:
(16) a. quant’è?
b. quant’hai speso?
Si noti che in queste frasi, in cui il nome (denaro) è sottinteso, quanto ha valore di ➔ neutro. Lo stesso dicasi per domande ellittiche concernenti il tempo come (17). In (18) quanti ha il valore di «che giorno del mese è?»:
(17) quanto ci metti?
(18) quanti ne abbiamo oggi?
Sono specializzati nell’uso pronominale chi e che cosa (dove che funziona come determinante del nome cosa); entrambi interrogano sull’identità di un referente (umano nel primo caso, inanimato nel secondo):
(19) chi cerchi?
(20) che cosa vuoi?
Che cosa può essere anche ridotto a cosa, forma frequente soprattutto nell’Italia settentrionale (21 a.). Nel resto d’Italia è più frequente l’uso del semplice che come pronome neutro (21 b.):
(21) a. cosa vuoi?
b. che vuoi?
Si noti che chi può essere usato con riferimento a un referente singolare (22 a.) o plurale (22 b.), indifferentemente maschile o femminile:
(22) a. chi è quel signore / quella signora?
b. chi sono quei signori / quelle signore?
La mancanza di forme distinte per il soggetto e il complemento diretto fa sì che in alcune frasi l’interpretazione di chi sia ambigua: (23), ad es., può essere interpretata sia come «qualcuno ha incontrato Maria: chi è?», sia come «Maria ha incontrato qualcuno: chi è?»:
(23) chi ha incontrato Maria?
L’ambiguità può essere risolta col ricorso a una dislocazione (24 a.; ➔ dislocazioni), se si vuole attribuire a chi il ruolo di soggetto, o alla topicalizzazione (24 b.), se chi ha il ruolo di oggetto:
(24) a. chi l’ha incontrata, Maria?
b. Maria, chi ha incontrato?
Chi e che possono esser rafforzati da mai e, nel linguaggio colloquiale (o volgare), da diamine, diavolo, cavolo, cazzo, ecc.:
(25) chi/che sarà mai?
(26) chi diavolo credi di essere?
Gli interrogativi possono comparire, oltre che in interrogative dirette, anche in interrogative indirette (27 e 29; ➔ interrogative indirette), rette da verbi di domanda, e in frasi dubitative, rette da verbi esprimenti dubbio, indecisione e simili (28 e 30):
(27) mi chiedo che cosa sia successo
(28) non so a chi fare affidamento
(29) sono indeciso su quale scegliere
(30) dimmi quanti soldi hai
Possono essere usati inoltre in frasi esclamative (cristallizzate o quasi; ma quale è meno frequente e di registro elevato; ➔ esclamative, formule):
(31) guarda che hai combinato!
(32) a chi lo dici!
(33) quante me ne hai fatte passare!
(34) quale gioia averti con noi!
Che nelle frasi esclamative può essere reduplicato con valore intensivo:
(35) che bravo che sei!
Gli eventuali aggettivi e participi riferiti a che e a (che) cosa si accordano al maschile singolare:
(36) che mi racconti di bello?
(37) non so che cosa sia accaduto
Gli eventuali aggettivi e participi riferiti a chi si accordano col genere e numero del referente:
(38) ragazze, chi di voi è arrivata per prima?
Che può essere usato come rafforzativo nelle interrogative dirette:
(39) che? stai dando la colpa a me?
Può entrare inoltre nella locuzione non so che (usata con valore di aggettivo o di nome):
(40) deve averti raccontato non so che storia
(41) un / quel certo non so che di ineffabile
Citiamo inoltre una serie di costrutti infinitivi (➔ infinito) con il che interrogativo: avere a che fare (42), avere di che ... (43), esserci di che ... (44):
(42) non ho niente a che fare con lui
(43) hai di che mangiare per una settimana
(44) non c’è di che lamentarsi
Nel dialogo si ricorre anche al frammento di enunciato che?, quando non si è capito quello che è stato detto.
Quanto e chi possono essere usati anche come pronomi doppi, ovvero come relativi che funzionano contemporaneamente anche da antecedenti dimostrativi: in (45) quanto equivale a «quello che», in (46) chi equivale a «colui il quale»:
(45) è quanto hai da dirmi?
(46) chi vuol esser lieto sia.
Il sistema italiano degli interrogativi continua quello latino, con alcune perdite e alcuni aggiustamenti (Rohlfs 1968: 198 segg., da cui sono tratti gli esempi che seguono; Tekavčić 1972: 221 segg.).
Chi non risale al pronome interrogativo latino quis ma all’aggettivo interrogativo quī, confusosi con quis in epoca tarda, anche a causa dell’instabilità della s finale. Che sembra continuare l’interrogativo e indefinito neutro latino quid.
Nella lingua antica si usava anche la forma obliqua cui nel senso dell’odierno chi, preceduta da preposizione in funzione di complemento indiretto («per cui t’à così distructo ... Amore?», Dante, Vita nuova, II; «a cui ricovro?», Torquato Tasso, Ger. Lib. IV, 73, v. 2), o senza preposizione con valore di possessivo («cui figliuolo?», Giovanni Boccaccio, Dec. V, 7).
Nell’italiano antico sono frequenti anche le forme ridondanti chi è (colui) che, che è quel che, parallele al francese qui est-ce qui?, qu’est-ce que?
Quanto continua il latino quantus. Va ricordato che il latino per l’interrogazione di quantità possedeva anche l’invariabile quot «quanti di numero?», che non si è conservato (forse a causa della facile confusione con quod). Non ha avuto continuatori neppure uter «quale tra due?».
Quale continua il latino qualis ma con uno spostamento di significato: in latino voleva dire «che genere di?», serviva cioè a interrogare sulla qualità o sulla natura della persona o della cosa cui il nome si riferiva, e non sull’identità, come in italiano.
Nell’italiano antico quale si trova usato anche come equivalente di chi («Apri li occhi e riguarda qual son io», Dante, Par. XXIII, 46). Nella lingua antica è attestato inoltre il plurale quai (che alterna con quali nella Commedia).
L’italiano antico aveva un interrogativo specializzato per le domande sulla qualità: chente (forse derivato dalla locuzione tardo-latina quid genus o quid genitus «che genere di»), con significato avverbiale di come («chente è la forma del mondo?», Brunetto Latini, La Rettorica XXV). Chente si trova usato anche con che e verbo al congiuntivo con valore di «qualsiasi» («chente che la mia vita si sia», Pietro Bembo, Asolani I, 25).
Rohlfs, Gerhard (1968), Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, Torino, Einaudi, 1966-1969, 3 voll., vol. 2° (Morfologia) (1a ed. Historische Grammatik der italienischen Sprache und ihrer Mundarten, Bern, A. Francke, 1949-1954, 3 voll., vol. 2º, Formenlehre und Syntax).
Tekavčić, Pavao (1972), Grammatica storica dell’italiano, Bologna, il Mulino, 3 voll., vol. 2º (Morfosintassi).