qualificativi, aggettivi
Gli aggettivi qualificativi sono la maggior parte degli ➔ aggettivi e formano al tempo stesso una lista che può essere illimitatamente arricchita. Hanno le seguenti proprietà:
(a) in funzione di ➔ attributo, modificano il significato del nome, del quale specificano delle qualità (1);
(b) come aggettivo predicativo, modificano il significato della frase (2) (➔ predicato, tipi di):
(1) un lago profondo
(2) il lago è profondo
Fino all’Ottocento, l’aggettivo qualificativo era considerato una sottoclasse del nome (Serianni 1989: 191; Scarano 1999: 3), sicché si distinguevano il «nome sostantivo» (il nome) e il «nome aggettivo» (l’aggettivo).
Le caratteristiche che l’aggettivo qualificativo attribuisce al referente possono riguardare tutte le qualità con cui questo si può descrivere o specificare (Dixon 1977; Russo 2009). In particolare si tratta delle seguenti qualità.
(a) Qualità oggettive e inerenti:
(i) dimensione: rettangolare, ovale, triangolare, grande, piccolo, lungo, alto, corto, profondo;
(ii) età: sedicenne, ottantenne, nuovo, vecchio, giovane;
(iii) colore: nero, bianco, rosso;
(iv) proprietà fisiche: duro, morbido, pesante, umido, ruvido, forte, pulito, caldo, aspro;
(v) collocazione o origine geografica: alpino, meridionale, mediterraneo, ecc.
Per distinguere le proprietà inerenti da quelle non-inerenti consideriamo l’aggettivo vecchio che, se usato nella posizione postnominale, con alcuni nomi, esprime una proprietà inerente al referente (3 a.), mentre in posizione prenominale può indicare una proprietà non inerente al referente:
(3)
a. un amico vecchio
b. un vecchio amico
Secondo Russo (2009: 36) in (3 b.) «vecchio descrive lo status dell’amicizia piuttosto che dell’individuo». In base a questo ragionamento, si può dire che vecchio non è inerente in (3 b.), ma ha la funzione di classificare piuttosto che specificare una proprietà del referente, a cui serve invece in (3 a.).
(b) Qualità astratte, inerenti o non-inerenti:
(i) inerenti, come l’appartenenza etnica, nazionale, geografica: arabo, curdo, svedese, italiano, europeo;
(ii) non-inerenti, come qualità intellettuali o morali e stati d’animo, qualità soggettive, giudizi di valore: buono, cattivo, orrendo, perfetto, reale, strano, bizzarro, singolare, necessario, cruciale, importante, fortunato, geloso, felice, gentile, intelligente, crudele, fiero, generoso, confuso, entusiasta, ecc.
Un’importante sottoclasse degli aggettivi qualificativi è formata dagli aggettivi che esprimono una relazione che il nome intrattiene con un’altra entità: una scuola statale «una scuola dello Stato» (➔ relazione, aggettivi di; Russo 2009).
A differenza di altri aggettivi (come quelli dimostrativi o possessivi; ➔ dimostrativi, aggettivi e pronomi; ➔ possessivi, aggettivi e pronomi), gli aggettivi qualificativi sono, come si è detto, una classe aperta, visto che la varietà di concetti che esprimono è teoricamente infinita. I nuovi aggettivi qualificativi si possono raggruppare secondo la struttura morfologica:
(a) aggettivi primitivi formati da radice + flessione;
(b) aggettivi alterati, formati da prefisso + radice o radice + suffisso;
(c) aggettivi derivati:
(i) deverbali: formati da suffisso + radice del participio passato o presente del verbo;
(ii) denominali/relazionali/di relazione, derivati da un aggettivo o da un nome;
(d) aggettivi composti: aggettivo+aggettivo, aggettivo+nome.
Tra le proprietà che distinguono gli aggettivi qualificativi possiamo anche notare che essi spesso hanno un contrario (4) e possono essere soggetti a variazione di grado (vedi oltre):
(4)
a. alto ~ basso
b. magro ~ grasso
c. certo ~ incerto
Gli aggettivi relazionali (un’analisi dettagliata in Russo 2009) non si prestano invece a variazioni di grado ( *la scuola molto statale / *una scuola statalissima), come anche gli aggettivi ➔ etnici, gli aggettivi geografici e di colore (vedi oltre).
Gli aggettivi qualificativi italiani sono raggruppabili in classi in base alla loro uscita e flessione. Per le proprietà di tali classi morfologiche ➔ aggettivi. Alcuni aggettivi qualificativi rimangono invariati sia nel genere che nel numero (Serianni, 1989: 197-198), come gli aggettivi formati con il prefisso anti- + nome (► variabili e invariabili, parole):
(5)
a. se non fossero state necessarie le terapie anti-rigetto richieste nel primo periodo dopo il trapianto, la paziente avrebbe potuto lasciare l’ospedale già dopo 48 ore («La Repubblica» 19 luglio 2009)
b. anche se il ministro non ha in mente provvedimenti concreti anti-cravatta negli ospedali, il suo riferimento è una direttiva britannica del 2006 («La Repubblica» 15 luglio 2010)
c. ... fasce anti-cellulite che bruciano la pelle al posto del grasso («La Repubblica» 14 luglio 2010)
Gli aggettivi formati da anti- + aggettivo, invece, sono provvisti di flessione:
(6)
a. accusare le deboli e inefficaci Nazioni Unite, creatura americana, di essere una “Spectre” planetaria anti-americana decisa a indebolire il dollaro come valuta del mondo e rinnegare addirittura una parola sacra, “il capitalismo” («La Repubblica» 23 maggio 2010)
b. Il Texas riscrive i libri di storia. “Nazioni Unite anti-americane” («La Repubblica» 23 maggio 2010)
Gli aggettivi di colore (➔ colore, termini di) non hanno flessione di numero o genere quando l’intensità del colore è specificata (si vedano anche gli aggettivi marrone, amaranto, ecc.; Serianni 1989: 197):
(7)
a. In soggiorno non trovò nessuno, solamente un vestito blu, elegante e nuovo, disteso a fianco di una camicia rosa chiaro perfettamente stirata (Giordano 2008: 147)
b. A blocchi di tre estraeva i pesanti volumi di una delle enciclopedie dell’avvocato, con la rilegatura verde scuro e il dorso dorato (Giordano 2008: 72)
Alcuni aggettivi hanno flessione per numero ma non per genere, come l’aggettivo incinta (per altri casi di questo tipo cfr. Serianni 1989: 197). Tradizionalmente si dice che tale aggettivo rimanga sempre femminile e che la forma maschile si possa usare solo in modo scherzoso, come si vede anche dall’uso delle virgolette in (10):
(8) L’incredibile storia che arriva dagli Stati Uniti ricorda vagamente il film «Junior» con Arnold Schwarzenegger e Danny DeVito, dove il primo rimane “incinto” a causa di un eccezionale quanto fantascientifico esperimento di fecondazione artificiale («Corriere della sera» 26 marzo 2008)
Ciononostante, tale aggettivo si trova al maschile, se riferito a una persona transgender (di sesso maschile dal punto di vista giuridico, femminile dal punto di vista biologico):
(9)
a. Era una donna, ora è un trans “incinto”. Dall’Oregon l’incredibile storia di Thomas Beatie, transgender al quinto mese di gravidanza («Corriere della sera» 26 marzo 2008)
b. L’uomo incinto ha partorito una bambina. Thomas Beatie, il transgender che aveva fatto molto parlare di sé negli ultimi mesi, ha dato alla luce una bambina domenica («La Repubblica» 3 luglio 2008)
La forma maschile dell’aggettivo qualificativo incinta si trova anche nella frase predicativa accanto a quella femminile (10):
(10)
a. Thomas Beatie, il “transgender”, primo uomo al mondo ad essere rimasto “incinto”, ha partorito una bambina («La Stampa» 4 luglio 2008)
b. È stata la moglie Nancy, 45 anni – che non poteva più avere figli perché aveva subito un’isterectomia – ad aiutare (Thomas) Beatie a rimanere incinta («La Repubblica» 3 luglio 2008)
Alcuni aggettivi qualificativi possono, al plurale, tanto rimanere invariati quanto accordarsi in numero col nome: tra questi, bilingue, monolingue, plurilingue e multilingue. Secondo il DOP (2008) e Setti (2008), questi tre aggettivi andrebbero trattati come uniforme, multiforme e monocorde, cioè come aggettivi della seconda classe, uscenti in -e al singolare e in -i al plurale. Tuttavia, accanto alla forma plurale flessa, uscente in -i, si trova nell’uso anche la forma invariata del plurale, uscente in -e (11) e in -a (12), sebbene tale uso sia sentito da molti come improprio o addirittura erroneo:
(11) Porta Venezia, la Darsena, il Giambellino, l’Ortica, angoli multilingue della città («La Repubblica» 14 marzo 2010)
(12) Maneri distingue i giornali multilingue, proiettati all’integrazione e letti anche dalla comunità italiana, e quelli monolingua, preferiti da chi vuole sentire aria di casa («La Repubblica» 12 maggio 2010)
Molte delle caratteristiche espresse dall’aggettivo qualificativo possono essere soggette a variazione di grado. Tali variazioni, che in sé sono infinite, trovano però riflesso in soli tre gradi grammaticali:
(a) il grado positivo, che è la forma ‘neutra’ dell’aggettivo: un amico simpatico (cioè «non più simpatico degli altri»);
(b) il grado comparativo (di minoranza o di maggioranza; ➔ comparativo, grado), che paragona la qualità in questione così come si presenta in più entità: un amico più simpatico (di un altro amico), un amico meno simpatico (di un altro);
(c) il grado ➔ superlativo, che esprime il massimo livello della qualità: un amico simpaticissimo, l’amico più simpatico (di tutti).
Particolarmente degni di attenzione sono gli aggettivi che, per via del loro significato ‘non graduabile’ oppure del loro stretto rapporto col nome che modificano, non sono suscettibili di variazione di grado. In questo gruppo troviamo:
(a) gli aggettivi di relazione che stabiliscono una relazione tra il nome testa del ➔ sintagma nominale e il nome da cui sono derivati: scolastico, statale, automobilistico, dantesco;
(b) gli aggettivi etnici e geografici: piemontese, russo, ecc. Tali aggettivi possono avere variazione di grado solo in contesti iperbolici e scherzosi: questo romanzo è russissimo; due vini davvero piemontesissimi;
(c) alcuni aggettivi il cui significato è preciso o ‘puntuale’ o ‘statico’ o che indicano uno stato irreversibile: incinta, morto, irrevocabile, finito. Va da sé che anche tali aggettivi, come quelli etnici e geografici, possono avere gradi diversi in contesti iperbolici: non è morto ma mortissimo!; una storia finitissima.
Va notato che con quasi si può ottenere una certa gradazione con gli aggettivi derivati (tipi a e c), perché in quel caso lo stato descritto dall’aggettivo non è completo (a) o compiuto (c).
Tra gli aggettivi che non hanno variazione di grado vi sono anche quelli che non possono trovarsi in posizione prenominale (§ 6).
In italiano, come in altre lingue romanze (➔ lingue romanze e italiano), l’aggettivo qualificativo può stare prima o dopo il nome e la scelta è determinata da molti fattori (sintattici, funzionali, semantici, pragmatici, fonologici e lessicali).
L’aggettivo qualificativo si colloca più spesso dopo il nome, sia nella ➔ lingua parlata che in quella letteraria. Le proporzioni delle due posizioni risultano essere le seguenti (Scarano 2000: 5 tab. 4): nel parlato l’aggettivo qualificativo è postnominale nel 76,45% dei casi; nello scritto nel 76,1%. Inoltre c’è una differenza qualitativa tra il parlato e lo scritto nell’uso della posizione prenominale: nel parlato la posizione prenominale è usata soprattutto in espressioni fisse, mentre nello scritto tale posizione costituisce una scelta stilistica (Scarano 2000: 5).
In quanto segue sono esposti i fattori che determinano la posizione dell’aggettivo, in ordine di importanza.
Dal punto di vista sintattico, la posizione postnominale è quella più produttiva. Ciò si vede dal fatto che, quando l’aggettivo qualificativo ha un complemento, l’aggettivo deve seguire il nome (Nespor 1988: 426):
(13)
a. una musica piacevole / una piacevole musica
b. una musica piacevole da sentire / *una piacevole da sentire musica
I tentativi di spiegare sintatticamente la posizione dell’aggettivo qualificativo (e di altri tipi di aggettivi) rispetto al nome sono numerosi. Per un approfondimento si vedano: Alisova (1967), Giusti (1991; 1995) sul romeno e alcune lingue scandinave; Giorgi & Longobardi (1991); Cinque (1994); Dimitrova-Vulchanova & Giusti (1998), sulle lingue balcaniche; Valois (1991) sul francese; Larsson (1994); Laenzlinger (2000 e 2004) per una prospettiva tipologica.
Ha avuto risonanza la proposta di Cinque (1994), secondo cui la posizione degli aggettivi si spiega assumendo che la struttura interna del sintagma nominale sia gerarchica. In termini semplificati, si può dire che tale gerarchia riflette la semantica degli aggettivi (le caratteristiche esaminate sopra nel § 2), partendo dal significato denotativo/inerente/oggettivo, che occupa la posizione più a destra della struttura fino ai rami più alti in cui si trovano gli aggettivi di significato più soggettivo o non inerente. La successione sarebbe dunque la seguente: ordinale > cardinale > commento soggettivo > evidenziale > grandezza > lunghezza > altezza > velocità > profondità > larghezza > temperatura > umidità > età > forma > colore > nazionalità / origine > materiale
Ecco un esempio di questi ordinamenti:
(14) voglio comprare la bella grande palla rossa che ho visto in vetrina
In (14) grande è prenominale ed è gerarchicamente più basso di bello, perché è più inerente di bello e meno soggettivo; rossa è gerarchicamente più basso di grande perché è denotativo. La palla è rossa da tutti i punti di vista, se il suo colore è quello; grande invece è relativo al paragone di altre palle e di altre esperienze del parlante.
In italiano la posizione postnominale dell’aggettivo è quella non marcata (Nespor 1988: 433). Ciò significa che un aggettivo in posizione postnominale ha significato denotativo e letterale: alcuni aggettivi che denotano aspetti fisici o inerenti del nome lo seguono quasi sempre, ma anche altri aggettivi per un motivo o per un altro si trovano solo dopo il nome. Questi sono:
(a) gli aggettivi di relazione;
(b) gli aggettivi etnici e geografici;
(c) gli aggettivi non graduabili il cui significato è preciso o ‘puntuale’ o ‘statico’ o che indica uno stato irreversibile: incinta, morto, irrevocabile, finito:
(15)
a. *una morta persona
b. *una finita storia
Nondimeno, gli aggettivi deverbali possono trovarsi prima del nome quando non sono intesi letteralmente:
(16) Mentre noi corravam la morta gora,
dinanzi mi si fece un pien di fango
(Dante, Inf. VIII, 31-32)
(17) e mi sovvien l’eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e ’l suon di lei
(Giacomo Leopardi, “L’infinito”, in Canti, vv. 11-13)
Un aggettivo in posizione postnominale delimita, entro la classe di entità definita dalla testa del sintagma, una sottoclasse più ristretta. La sua funzione è perciò restrittiva (Alisova 1967). Quando l’aggettivo precede il nome, invece, il suo significato ha una sfumatura descrittiva. In taluni casi, lo stesso aggettivo cambia semantica secondo la posizione che occupa (Nespor 1988):
(18)
a. famiglie numerose [= famiglie di molti componenti]
b. numerose famiglie [= molte famiglie]
In (18 a.) numeroso delimita il nome famiglie, attribuendogli la qualità d’essere composto di molti membri; in (18 b.) l’aggettivo, in posizione pronominale, funziona da quantificatore (➔ quantificatori).
In accordo con la struttura informativa della frase in italiano (➔ dato / nuovo, struttura), quando l’informazione espressa dall’aggettivo è presentata come data (19) o come sfondo (20), l’aggettivo precede il nome; quando invece è presentata come nuova, l’aggettivo segue (Vincent 1986):
(19) [l]a lugubre immagine presentava davvero una certa affinità con quella del pilota che conduceva alla Villa la chiatta dal carico invisibile (Capriolo 1991: 17)
(20) Denis non rispose. Era girato di spalle, in piedi, al centro di un grande tappeto. Mattia si avvicino al suo amico (Giordano 2008: 101)
Anche la lunghezza dell’aggettivo riveste importanza per la sua collocazione: alcuni aggettivi si trovano in posizione prenominale in quanto sono brevi, come lieve, che occorre raramente dopo il nome:
(21) e Linda ascoltava in silenzio e faceva lievi cenni d’assenso (Capriolo 1991: 31)
(22) Quelle finestre sempre schermate, come occhi ai quali un invincibile torpore impedisse di sollevare le palpebre, ispiravano a Walter un senso di abbandono accompagnato da una lieve tristezza (Capriolo 1991: 67)
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