GUICCIARDINI, Agnolo
Nacque a Firenze il 27 dic. 1525 da Girolamo di Piero e Costanza di Agnolo Bardi, deceduta pochi giorni dopo averlo dato alla luce: a lei era stata assegnata in dote Cusona, proprietà in Valdelsa, tra Poggibonsi e Certaldo, passata in eredità al marito e successivamente al G., che nel corso della sua vita vi soggiornò a lungo, apportandovi numerose migliorie e accrescimenti di poderi.
Fra le poche notizie certe relative alla giovinezza del G., è quella del suo discepolato con Piero Vettori, allora docente di lettere classiche allo Studio fiorentino, il quale, a distanza di molti anni, lo ricordava come "dottissimo nella lingua latina e nella greca" (Firenze, Biblioteca nazionale, Mss., VIII.40, c. 45r), senza dimenticare, dati i tempi, una scontata produzione poetica, peraltro andata interamente perduta. Nel 1541, giovanissimo, risulta fra i membri dell'Accademia Fiorentina, della quale, nel febbraio 1547 fu eletto console, carica, peraltro, subito rifiutata. Il 9 nov. 1544, per iniziativa dell'Accademia, venne rappresentata la commedia Il furto di Francesco D'Ambra e tra i "festaioli" (organizzatori e finanziatori dell'evento) figurava anche il Guicciardini.
Nel 1547 si unì in matrimonio con Contessina di Lorenzo Ridolfi, dalla quale ebbe numerosa prole. Il 15 marzo 1556, in conseguenza del decesso del padre, rimase a capo della casa, come da lui stesso puntualmente registrato (Firenze, Archivio Guicciardini, filza 27, f. 47, c. 118v). D'ora in avanti intensificò la sua attività commerciale e finanziaria, con traffici internazionali e come intermediario di iniziative altrui: il risultato fu un indubbio rafforzamento economico della famiglia, con una conseguente amplificazione d'immagine e un inevitabile allineamento su posizioni filomedicee (tra l'altro, nel 1565, aveva concesso al duca Cosimo I una porzione dei suoi orti, sopra la quale in circa un anno era stata costruita una parte del corridoio vasariano). A conferma di questa scelta politica, il G. ritenne di impegnarsi anche in ambito pubblico: già verso la fine degli anni Cinquanta il suo nome figurava in un elenco di personaggi affidabili per essere nominati "ambasciatori da negotii e per risedere e per fare oratione" (Arch. di Stato di Firenze, Carte Strozziane, s. 1, 13, n. 23). Il primo incarico diplomatico risale al dicembre 1559, quando fece parte dell'ambasciata d'obbedienza inviata al nuovo papa Pio IV. A distanza di un anno, fu chiamato da Cosimo a una missione delicata e importante: si trattava di recarsi nel più breve tempo possibile a Orléans, dove, il 5 dic. 1560, era improvvisamente deceduto il giovane re di Francia, Francesco II, primogenito di Enrico II e Caterina de' Medici. Nella relativa istruzione (Ibid., Mediceo del principato, 2634, cc. 636-637r) erano indicati due principali obiettivi: presentare le dovute condoglianze alla regina madre e offrire un concreto sostegno "per mortificare questa peste dell'eresia". Dai documenti superstiti emerge che il G. arrivò alla corte il 10 genn. 1561, insieme con Lorenzo Lenzi, vescovo di Fermo, al tempo vicelegato papale ad Avignone, per essere ricevuto il giorno seguente da Caterina e dal nuovo re Carlo IX (ibid., 487A, c. 663). Nel corso delle udienze successive, la regina, che in un primo momento poco caso aveva fatto alle offerte di aiuto di Cosimo, si mostrò più interessata e disponibile, tanto che il G. ritenne opportuno allargare il suo giro di consultazioni ad altri personaggi di prima grandezza, come il connestabile Anne de Montmorency, il duca Francesco di Guisa, il cardinale Carlo di Borbone e soprattutto Antonio di Borbone re di Navarra (i risultati di questi incontri furono trasmessi a Cosimo de' Medici il 13 febbraio, subito dopo il rientro del G. a Firenze (ibid., cc. 1056-1057). Nell'aprile 1566, insieme con altri cinque concittadini, si recò a Roma per l'ambasciata d'obbedienza presso il nuovo papa Pio V (ibid., 2536, cc. 89-90r), al cospetto del quale tenne un'orazione latina in nome del duca di Firenze e Siena (Firenze, Biblioteca nazionale, Mss., VIII.46, cc. 292-294r). Le sue capacità diplomatiche dovettero comunque riuscire gradite al duca, tanto è vero che, tramite il segretario Bartolomeo Concini, nella primavera del 1569, al G. venne avanzata la proposta di trasferimento a Roma in qualità di residente, offerta, peraltro, subito declinata dall'interessato.
Ragioni di salute ("io sono stato da più anni in qua travagliato molto spesso da catarro […] sì fieri trabocchi ho avuto alcune volte […] avendo spesso vertigini […] onde mi viene vietato il potere leggere o scrivere"), pericoli di aggravamento a causa dell'aria romana ("umidissima e catarrosissima"), non disgiunti da concreti problemi familiari ("trovandomi la moglie ancora giovane e che fra due mesi ha a partorire e sette figliuoli in casa"), sconsigliavano un prolungato allontanamento da Firenze, tanto più "che le donne hanno bisogno d'essere rette e che senza freno possono fare per la loro debolezza molti errori", per non parlare di un'altra preoccupazione, quella per i figli del cugino Agnolo di Iacopo, "esposti e intricati in mille liti" e per concludere con quella che forse era la vera ragione del diniego, "i traffichi e negozi mercantili e d'altri amici e parenti retti e sostenuti da me" (Firenze, Archivio Guicciardini, Legazioni e commissarie, XII, n. 20). Puntualmente ribadisce questa attività nel suo testamento: "advertendo detto testatore come esso ha più ragioni, compagnie, traffichi et negotii mercantili in vari e diversi esercitii nella città di Firenze, massimamente di battilori, arti di lana, tintori e uno traffico e ragione titolata lo scrittoio" (ibid., filza 37, n. 21).
Tuttavia, non per questo Cosimo de' Medici volle del tutto privarsi della collaborazione del G., così che, nel giro di due anni, il G. fu inviato due volte a Venezia (Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del principato, 2635, cc. 201-202): la prima (dicembre 1569) per comunicare ufficialmente al governo della Serenissima l'avvenuto rilascio del titolo granducale allo stesso Cosimo (ibid., 2635, c. 48r), la seconda (novembre 1571) per congratularsi della vittoria di Lepanto (ibid., 2635, c. 308r), alloggiando in entrambi i casi presso l'agente mediceo Cosimo Bartoli, nel sestiere di Dorsoduro.
Stando al resoconto inviato a Firenze (29 dic. 1569; ibid., 555, c. 27), nella circostanza della prima visita fu il doge in persona a compiacersi per "quello suo agumento di dignità, accompagnando i gesti coll'espressione delle parole e con molta dolceza"; dopo Lepanto, è ancora il doge, questa volta insieme con il Collegio, a ricevere il G., ad accoglierne i rallegramenti per l'esito favorevole dello scontro e a esternare la soddisfazione per "tutte l'opere facte da lei per le cose della Lega", per le navi, cioè, inviate da Firenze a sostegno della flotta cristiana (ibid., 567, cc. 87r, 109r).
Frattanto, nel marzo 1570, insieme con altri gentiluomini di corte, il G. aveva accompagnato Cosimo de' Medici a Roma per la cerimonia ufficiale di conferimento del titolo granducale, e sempre a Roma, nel 1572, dovrà tornare per recare le felicitazioni per l'ascesa al soglio pontificio di papa Gregorio XIII.
A parte questi compiti di politica estera, non mancarono al G. cospicui incarichi interni alla vita politico-amministrativa della città, a cominciare dalla sua nomina nel Senato fiorentino (i cosiddetti Quarantotto), risalente al luglio del 1565, da poco compiuti i quarant'anni, età minima per far parte del citato consesso. Inoltre, nel maggio dello stesso anno, era stato designato a succedere a V. Borghini in qualità di luogotenente dell'Accademia del Disegno (funzione ricoperta fino al dicembre 1570), con una delibera postillata da una curiosa nota autografa del duca: "perché sendo giovane sensato arà bisogno con il suo cervello a regolare li strani capricci di simili artefici" (ibid., 1687, c. 70v).
Tra le iniziative sostenute in favore dell'Accademia va registrata la ricerca di una sede più acconcia alle necessità dell'istituzione: fra le tre ipotesi proposte dal G. ("una parte delle stanze del giardino rincontro a San Marco […] un luogo dietro alla Sagrestia nuova di San Lorenzo […] il tempietto di Giulio Scala in via Laura a canto al monasterio di Cestello"), la scelta cadde su quest'ultima indicazione, con un preventivo di spesa di 200 scudi (Firenze, Archivio Guicciardini, Legazioni e commissarie, XII, c. 18).
Una volta esaurito questo mandato, il G. fu nominato, con Borghini e A. Benivieni, all'ufficio dei Deputati sopra i monasteri, nel cui ruolo rimase fino agli ultimi mesi di vita. In questo ambito, con particolare riferimento ai conventi femminili, come appare dalle lettere scambiate con Borghini, il G. dette prova di un'indubbia abilità, cercando costantemente di bilanciare le necessità del culto e della vita pratica delle religiose con le più generali esigenze del costume e della realtà politica cittadina. Tra le altre mansioni ufficiali, risulta la sua partecipazione ai seguenti magistrati: Ufficiali della grascia (1556), Otto di custodia (1557), Conservatori della giurisdizione e dominio (1565, 1575), Otto di pratica (1565), Capitani di Parte guelfa (1566, 1573), Consiglieri del duca (1568, 1573), Procuratori della Repubblica fiorentina (1568), Ufficiali dei pupilli (1570), Ufficiali dell'onestà (1572), Capi di guardia della misericordia (1572), Ufficiali del Monte (1573), Quattro Buonomini delle Stinche (1573). Infine, nell'aprile 1574, a suggello di un servizio più che decennale, insieme con Borghini, T. de' Medici e G. dei Nobili, fu tra i curatori delle esequie del granduca Cosimo I.
Il G. morì improvvisamente il 29 sett. 1581. Fu sepolto il giorno successivo nella chiesa di S. Felicita.
Stando a un cronista del tempo, la scomparsa del G. fu accompagnata da un grande cordoglio, così che fu "pianto da ciascuno per le buone qualità sue et per il desiderio che si è visto sempre in lui di giovare a tutti" (De' Ricci, pp. 349 s.). Dalle parole di un altro cronista anonimo, si avverte che i suoi ultimi anni furono forse segnati da rapporti non buoni con il nuovo granduca Francesco: "Morì Agnol Guicciardini uomo da bene et amante verso i poveri; era gran negoziante leal servo di casa Medici, stato ambasciatore in diversi regni. Venne la Veneziana [cioè Bianca Cappello], lo cavò di grazia al gran duca, e per questo addolorato si morì" (Cronica della città di Firenze, p. 43). Un ritratto del G. opera di Lorenzo dello Sciorina si trova presso la Galleria degli Uffizi.
Accanto alle sue primarie mansioni di uomo d'affari, di diplomatico e di pubblico amministratore, il G. mantenne nel corso della sua vita sempre vivi quegli interessi letterari che da giovane, come si è visto, gli avevano aperto le porte dell'Accademia Fiorentina. Più o meno dalla seconda parte degli anni Cinquanta, insieme con altri personaggi della sua generazione (I. Pitti, G. Cavalcanti, P. e A. Pucci, G. Mei), con il soprannome di Tito Graverotto, fece parte dell'Accademia del Piano, un consesso che niente aveva di ufficiale, orientato soprattutto verso iniziative ludico-ricreative, i cui documenti a tutt'oggi superstiti, connotati da una forma criptico-allusiva, sono stati talvolta interpretati - a dire il vero senza concreti riscontri - come una sorta di larvata opposizione al potere mediceo. Ancora, nel 1571, quando il granduca sollecitò il Borghini a proporgli una commissione incaricata di redigere le regole della lingua fiorentina (progetto che, tuttavia, non sortì effetto alcuno), tra i nomi indicati e conseguentemente approvati, c'era anche quello del G., del quale venivano evidenziati "buon giudizio, pratica e buone lettere" (Borghini, 1971, p. 9). Poco più tardi, tra il marzo del 1571 e l'aprile dell'anno successivo, una volta di più insieme con il Borghini (e con la collaborazione di B. Antinori e A. Benivieni), il G. fu chiamato a partecipare al gruppo di lavoro (i "deputati") che in quel giro di mesi avrebbero dovuto "rassettare" il Decameron, nella prospettiva dell'edizione che fu poi realizzata nel 1573: com'è noto, uno dei connotati fondamentali di questa iniziativa fu la collegialità del compito e il relativo anonimato, per cui resta impossibile stabilire quale sia stato il reale contributo offerto dal G. a un'impresa così significativa sia sul versante editoriale sia su quello, ancora più importante, della storia della letteratura. Comunque, in questa sfera di interessi, il contributo più significativo offerto dal G. fu in occasione della stampa della Storia d'Italia di suo zio Francesco, edita per i primi sedici libri nel 1561 (Firenze, L. Torrentino) e per i restanti quattro nel 1564 (Venezia, G. Giolito). Come è noto, poco prima di morire, nel fare testamento, Francesco Guicciardini, che peraltro niente aveva pubblicato in vita, aveva ordinato che gli imponenti materiali della sua impresa storiografica fossero dati alle fiamme: quelle carte, invece, furono in un primo momento custodite dalla moglie, poi divise tra i quattro fratelli Guicciardini, per approdare infine, in particolar modo quelle relative alla Storia, nelle mani di Girolamo, il minore dei fratelli, e padre di Agnolo. Poco più di dieci anni dopo, nel 1551, i primi a interessarsi alla pubblicazione del testo, che fino ad allora era circolato in forma manoscritta, furono i cugini Lodovico e Giovan Battista, allora residenti nel Paesi Bassi, che non furono in grado di portare a termine il loro progetto, non avendo una copia della Storia almeno fino al 1559, quando, cioè, ne erano venuti in possesso grazie a un esemplare manoscritto portato dal loro fratello Raffaele. Frattanto, forse anche per prevenire l'iniziativa dei cugini, a Firenze il G. ritenne opportuno di apprestare lui stesso la prima edizione della grande opera del suo illustre consanguineo, tra l'altro potendo utilizzare il più completo e affidabile codice della stessa (l'attuale Mediceo Palatino 166 della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze). Anche se a questo proposito mancano informazioni precise, pare certo che nel suo lavoro il G. sia stato affiancato da Borghini per la parte linguistica e da Concini per gli aspetti storico-politici: i tre revisori in breve tempo portarono a termine il loro compito, colmando le poche lacune lasciate dall'autore, sopprimendo taluni passi giudicati sconvenienti (soprattutto alcuni relativi ai Borgia) oppure offensivi o eccessivamente critici nei confronti della religione e della Chiesa. Nella dedicatoria al duca Cosimo de' Medici inserita nella stampa del 1561, il G. intese palesare al suo illustre interlocutore le ragioni che avevano sollecitato la sua edizione: in primo luogo la consapevolezza dell'importanza dell'opera e della personalità dell'autore, con il solo appunto che per giungere a un'"intera perfezione" sarebbe stato necessario un più "leggiadro et ornato parlare", carenza, questa, dovuta all'incompiutezza formale del testo, anche se, veniva aggiungendo il G., "ancora a molti uomini di buono giudizio sogliono parere belle molte figure non così ripulite et limate, ma che con qualche poco di naturale rozzezza et purità dieno segno d'antichità et di gravità". Pubblicando tre anni dopo gli ultimi quattro libri della Storia d'Italia, sempre dedicati a Cosimo de' Medici, lo stesso G. ribadiva i criteri che lo avevano guidato ("havendo havuto per obietto principale il non variare in parte alcuna i sensi, ma solo l'ordinare et comporre le parole che egli lasciò scritte più chiare et più pure che abbiamo saputo, senza aggiugnere o levare cosa alcuna"): al di là delle fondamentali questioni filologiche implicite in un'affermazione del genere e a prescindere da quelli che furono i concreti interventi esercitati sul testo, non si può non concludere che, in un modo o nell'altro, fu grazie al G. che la Storia guicciardiniana iniziò il suo straordinario viaggio, di lì a poco diffusa in tutto il continente in virtù di un gran numero di edizioni e traduzioni, e subito affermatasi come uno degli approdi di maggior prestigio della nostra storiografia e della nostra letteratura.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del principato, 487A, cc. 663r, 877r, 1056-1057; 497A, c. 1001r; 555, c. 27r; 566, c. 146r; 567, cc. 87r, 109r; 1687, c. 70v; 2634, cc. 636-637r; 2635, cc. 89-90r, 201-202; 2979, cc. 269r, 275r; Compagnia del Disegno, 24, cc. 13r, 17v, 27v; 25, c. 47r; Carte Strozziane, s. 1, 13, n. 23; 338, cc. 212r, 216, 217r, 219, 220r, 221r, 222r; Auditore dei benefici ecclesiastici poi Segreteria del regio diritto, 4896, cc. 194-195; Tratte (Intrinseci), 908; Londra, British Library, Add. Mss., 12607, cc. 289r, 291r, 293, 295, 297r, 299, 301r; Firenze, Archivio Guicciardini, Legazioni e commissarie, XII-XIII, filze 24, 27-28, 37, 76; Libri genealogici, 351; Libri di amministrazione, 43-49, 54, 125; Miscellanea III; Spogli di P. Guicciardini; Ibid., Biblioteca nazionale, Filze Rinuccini, 23, inserto 13, cc. 17r, 19r, 24r, 48r; Mss., VIII.46, cc. 292-294r; VIII.1393, cc. 113-114r, 118r, 125-126r, 127r, 128r; Poligrafo Gargani, 1042, n. 5254; 1043, nn. 12, 125; 1044, nn. 5, 9; Ibid., Biblioteca Marucelliana, Mss., B.III.52, cc. 3v, 39r; P.F. Assirelli, Carmina, Firenze 1597, cc. 11v, 20v, 24v; Cronica della città di Firenze dall'anno MDXLVIII al MDCLII, in Storie dei municipi italiani illustrate con documenti inediti da C. Morbio, IV, Milano 1838, p. 43; B. Arditi, Diario di Firenze e di altre parti della Cristianità (1574-1579), a cura di R. Cantagalli, Firenze 1970, p. 150; V. Borghini, Scritti inediti o rari sulla lingua, a cura di J.R. Woodhouse, Bologna 1971, p. 9; G. De' Ricci, Cronaca (1532-1606), a cura di G. Sapori, Milano-Napoli 1972, pp. 9, 34, 349 s.; L. Guicciardini, Descrittione di tutti i Paesi Bassi, a cura di D. Aristodemo, Amsterdam 1994, pp. 19, 23; V. Borghini, Lettera intorno a' manoscritti antichi, a cura di G. Belloni, Roma 1995, pp. XXIV-XXVI; B. Varchi, L'Hercolano, a cura di A. Sorella, I, Pescara 1995, p. 174 n.; D.M. Manni, Il Senato fiorentino, Firenze 1771, pp. XXIV, 64; A. Tosi, Tre lettere di A. G. mandato da Cosimo I a Venezia nel 1569, in Arte e storia, XXV (1906), pp. 138 s.; Id., A. G. a Venezia nel 1571, ibid., XXVI (1907), pp. 135-137; A. Legrenzi, Vincenzo Borghini. Studio critico, I, Udine 1910, p. 91; F. Niccolai, Pier Vettori (1499-1585), Firenze 1912, p. 110; R. Ridolfi, L'Archivio della famiglia Guicciardini, Firenze 1931, pp. 10, 16, 45-47, 108-110; P. Guicciardini, Cusona, Firenze 1939, pp. 119-121; V. Luciani, F. Guicciardini e la fortuna dell'opera sua, Firenze 1949, pp. 15, 395; P. Guicciardini - E. Dori, Le antiche case e il palazzo dei Guicciardini in Firenze, Firenze 1952, pp. 32, 43, 78; M. Del Piazzo, Ambasciatori toscani del principato, in Notizie degli Archivi di Stato, XII (1952), 1-3, pp. 59 s., 66, 70, 75, 80; R. Ridolfi, Vita di F. Guicciardini, Roma 1960, p. 435; R.A. Goldthwaite, Private wealth in Renaissance Florence, Princeton 1968, pp. 153 s.; M. Plaisance, Une première affirmation de la politique culturelle de Côme Ier: la transformation de l'Académie des "Humidi" en Académie Florentine, in Les écrivains et le pouvoir en Italie à l'époque de la Renaissance, a cura di A. Rochon, Paris 1973-74, I, p. 417; Id., Culture et politique à Florence de 1541 à 1551: Lasca et les "Humidi" aux prises avec l'Académie Florentine, ibid., II, pp. 163, 189; R. Ridolfi, Studi guicciardiniani, Firenze 1979, pp. 197-223; G. Spini, I primi tre libri sopra l'instituzioni de' greci e latini architettori, in Il disegno interrotto. Trattati medicei di architettura, a cura di F. Borsi et al., I, Firenze 1980, p. 39; J. Bryce, Cosimo Bartoli (1503-1572). The career of a Florentin polymath, Genève 1983, pp. 101 s., 110 s., 145; P. Innocenti, Il bosco e gli alberi, Firenze 1984, pp. 95 s.; Z. Wazbinski, L'Accademia medicea del disegno a Firenze nel Cinquecento. Idea e istituzione, Firenze 1987, p. 478; M. Stujt, I Commentari di Lodovico Guicciardini, in Lodovico Guicciardini. Actes du Colloque international, Bruxelles… 1990, a cura di P. Jodogne, Leuven 1991, p. 227; G. Chiecchi, "Dolcemente dissimulando". Cartelle laurenziane e "Decameron" censurato (1573), Padova 1992, pp. XIX s., 21 n., 41 n.; B. Richardson, Print culture in Renaissance Italy, Cambridge 1994, pp. 151, 175, 233; K.E. Barzman, The Florentine Academy and the early modern State. The discipline of disegno, Cambridge 2000, pp. 54, 57; D. Zanré, Ritual and parody in mid-Cinquecento Florence: Cosimo de' Medici and the Accademia del Piano, in The cultural politics of duke Cosimo I de' Medici, a cura di K. Eisenbichler, Aldershot 2001, pp. 191 s., 201; Vincenzo Borghini. Filologia e invenzione nella Firenze di Cosimo I, Firenze 2002, pp. 50 n., 52, 275, 358-364, 368, 371.