AGORÀ (gr. ἀγορά)
Antichità. - È nel mondo omerico l'assemblea dei liberi che si riunisce per udire le deliberazioni dei capi; talora, per decidere. È convocata, in guerra dai capi degli eserciti, in pace dai principi; gli argomenti di ciò che dev'esser comunicato all'agorà, o da essa deciso, sono preventivamente preparati dal consiglio dei geronti, che sembra avere avuto rispetto ad essa, nei tempi eroici, l'ufficio che nell'età storica aveva in Atene la βουλή rispetto all'ἐκκλησία (cioè un ufficio probuleutico). Tranne i Ciclopi, tutti i popoli omerici hanno la loro ἀγορά, compresi i Lestrigoni (Odyss., X, v. 114), giganti incivili, che infilano come pesci i compagni di Ulisse e li mangian crudi.
Più tardi il nome di agorà rimase solo alle assemblee dei gruppi minori che vivevano nell'interno dello stato con uffici e organi simili: tribù (ϕυλαί), demi (δῆμοι), ecc.; e la parola agorà passò invece a significare il luogo, nel quale l'assemblea di solito si radunava, e, quindi, il centro materiale della città, una piazza in cui sboccavano le principali arterie della città e dove sorgevano in gran numero edifici pubblici e sacri.
L'agorà, considerata in questo ultimo senso di "piazza, mercato", è il centro della vita economica della città; i rivenduglioli (κάπηλοι) vi drizzan le loro baracche e fanno i loro piccoli affari sotto la sorveglianza di magistrati che vigilano sulla qualità della merce (ἀγορανόμοι), e di altri che controllano pesi e misure (μετρονόμοι), gente di solito fisicamente infelice, costretta a fare un mestiere poco redditizio e spregiato; barbieri e profumieri attendono al lavoro e offron nelle loro botteghe allegra ospitalità a chi è in vena di chiacchierare. Le diverse località della piazza sono indicate dai venditori che vi risiedono, disposti e raggruppati, secondo la loro merce. Vi è così il luogo del cacio fresco (εἰς τὸν χλωρὸν τυρόν), il luogo delle pentole (εἰς τὰς χύτρας), ecc. Nei punti di maggior traffico siedono i banchieri (τραπεζῖται) davanti alle loro tavole, dove sono accumulati monete, registri, documenti e pegni preziosi; li circonda una folla di uomini d'affari e di curiosi, fra i quali anche Socrate andava in cerca di discepoli e di contraddittori. La grande piazza è il luogo in cui tutti si ritrovano: basta cercare un poco. La gente di campagna, per non smarrirsi, si riunisce in punti determinati, con una consuetudine che dura per molte generazioni, e di cui si tien conto anche in documenti ufficiali. Il massimo del movimento e dell'affollamento si ha fra le nove e le dodici del mattino, (πληϑούσην ἀγορᾶς); in quell'ora nell'agorà di Atene si aggiravano circa ventimila persone. La vita varia e agitata che vi si vive, come attira la gente attiva, richiama anche in gran numero gli sfaccendati, che perdono il tempo curiosando e spettegolando; le sonatrici di flauto (αὐλητρίδες), che, sotto i vigili occhi degli ἀστυνόμοι posti dalla legge a guardia contro le loro richieste eccessive, vendono abilità musicale e amore; i sicofanti, che fiutano processi e mettono a prezzo il proprio silenzio. Di uno di costoro leggiamo (Dem., Contro Arist., § 52): "si aggira per l'agorà, come una vipera o uno scorpione, col pungiglione pronto a ferire, piombando ora in un punto, ora in un altro, sempre in cerca di qualcuno a cui contestare le malefatte ed estorcere, col timor del processo, del denaro". Aristofane pensava che nell'agorà non s'imparasse niente di buono, e nelle Nubi consigliava al giovane costumato di tenersene lontano; lontane, di regola, ne eran tenute anche le donne da bene; né è colpa dello storico, che ha il dovere di essere indiscreto, se rileva dalle fonti che talvolta le signore maritate di Atene se la intendevano ugualmente coi vagheggini, di cui non v'era penuria nell'agorà, per mezzo delle vecchie serve, che andavano al mercato a fare spese e a portare ambasciate amorose. Ci spieghiamo per ciò la prudenza dei mariti ateniesi, che di regola si recavano personalmente a far le provviste, cosa che ad Atene non pareva sconveniente, o ne incaricavano uno schiavo (ἀγοραστής).
L'agorà è il centro, oltre che economico, anche morale e sacro della città; nell'agorà si organizza il popolo, quando ricorrono le grandi feste religiose, e di là partono le processioni solenni. (Nelle Panatenaiche, per esempio, la processione partiva dal Leocorion, nell. agorà, per giungere all'Acropoli). Chi è fuori legge o sotto il peso di una grave accusa o di una condanna infamante, come non può entrare in un tempio, così deve evitare i luoghi sacri dell'agorà. Solo il cittadino nel pieno possesso dei diritti politici e civili vi sta da padrone; il forestiero vi è tollerato: non può esercitarvi il commercio minuto, e, quando la legge glielo consente, deve pagare per ciò una tassa speciale (ξενικὸν τέλος). Il cittadino ha nell'agorà un po' dell'autorità che ha il padre di famiglia nella sua casa; può impedirne l'accesso all'empio, al bandito, all'omicida e, se ve lo sorprende, arrestarlo e consegnarlo al magistrato, perché lo metta in ceppi (ἀπαγωγή). Platone nelle sue Leggi minaccia le pene più rigorose a chi di tale autorità non faccia uso energico e immediato. Nell'agorà, che è il cuore della πόλις, si vive più intensamente che altrove] a quotidiana vita politica; vi si apprendono notizie, si fomiano, nei commenti, giudizi collettivi su uomini e su cose, così che l'opinionc pubblica ha modo di orientarsi e dl definirsi. Su questa folla varia e rumorosa passa talora un'ondata di ansia tragica; celebre è il passo in cui Demostene descrive il movimento dell'agorà ateniese, quando giunse la notizia della presa di Flatea (De cor. 169 segg.).
Di tutte le piazze del mondo greco la più famosa per la storia e per la vita pubblica è l'agorà di Atene (fig.1), ma tanto numerose ed eloquenti ne sono le testimonianze letterarie, quanto povere e incerte le reliquie monumentali (v. atene). Su di un'area, forse quadrata e in leggiero pendio nel quartiere del Ceramico, prospettavano i principali edifizî pubblici di Atene. L'area nella parte più interna era lastricata, e la ornavano, oltre alle erme, alle statue di eroi e di cittadini benemeriti, oltre a gruppi di ulivi e di platani, i portici variamente disposti e le numerose fontane. Le fontane erano sotto la sorveglianza dell'ἐπιμελητὴς τῶν κρηνῶν (curator fontium), un uffificio, con pochissimi altri, elettivo, e ritenuto perciò eccezionalmente delicato. Fra le statue avevano particolare importanza le statue degli eponimi, ove si affiggevano le comunicazioni da notificare alla cittadinanza; numerosi documenti attici menzionano tale alfissione come mezzo usuale di pubhlicità. Dei portici. alcuni erano annessi a edifici pubblici, altri erano semplici luoghi di ritrovo. Fra questi ultimi il piìi famoso era il portico variopinto (ποικίλη στοά), decorato verso il 470 da Polignoto di Taso con la cooperazione di due pittori, Micone e Paneno. Dal Pecile trassero il nome i filosofi stoici, perché i discepoli di Zenone di Cizio, fondatore della scuola stoica, si solevano radunar nel Pecile per le loro discussioni.
Tutto intorno alla piazza erano situati i pubblici uffici, la Tholus (ϑόλος), residenza dei Pritani, il Βουλευτήριον, nel quale si riuniva il Consiglio dei Cinquecento (βουλή), il Metroo (Μητρῷν), tempio di Cibele adibito ad archivio di stato, i tribunali, almeno in gran parte, e gli edifici dove risiedevano i varî magistrati. Fra questi ultimi aveva particolare importanza il portico del Βασιλεύς (στοὰ βασίλειος); vi erano esposte le leggi fondamentali dello stato, e su di una pietra sacra, che si trovava di fronte, i magistrati prestavano il solenne giuramento di osservar le leggi. È probabile che nell'agorà fosse il carcere, luogo soprattutto di esecuzioni capitali, e la residenza degli Undici, la suprema magistratura di polizia. Insieme coi principali edifici pubblici sorgevano nell'agorà molti dei templi più venerati: il Leocorion (Λεωκόριον), il tempio di Apollo Patroo ('Απόλλωνος Πατρῴν), di Ares, forse il Ferrefazio (Φερρεϕάτιον, santuario di Persefone), il sacro recinto di Aiace (Αἰάκειον), il portico di Zeus Liberatore (στοὰ Διὸς ἑλευϑερίου). Qua e là degli altari, come l'altare a Ζεὺς ἀγοραῖος, di fronte al portico del βασιλεύς, e quello a ‛Ερμῆς ἀγοραῖος, nel centro del mercato, o davanti a statue che fossero oggetto di culto (per esempio, le statue degli eponimi). Un altare dei dodici dèi, innalzato da Pisistrato, il nipote del tiranno, nella regione meridionale dell'agorà, segnava il centro della città, ed era il punto di partenza da cui si misuravano le distanze da Atene. Simbolo della tradizionale mitezza di carattere degli Ateniesi,l e rimasta famosa per il suo significato umano anche in età più tarda e presso popoli diversi, sorgeva, in altra parte della piazza, l'ara della Misericordia ('Ελέου βωμός).
Gli edifici pubblici si trovavano in massima parte - non tutti - nella regione meridionale dell'agorà, che costituiva perciò il centro della vita amministrativa: i venditori invece occupavano la parte settentrionale e occidentale, il mercato in senso più stretto:
Topografia. - L'agorà, come luogo di riunione o di mercato, da principio non è caratterizzata da una speciale configurazione planimetrica né da una speciale struttura architettonica. Quello stesso apparecchio di sedili di pietra, che possiamo ritenere peculiare dell'agorà omerica, e che è ricordato in Il., XVIII, v. 497 segg. (per un confronto, invero alquanto lontano, verrebbe fatto di pensare ai cosiddetti teatri di Cnosso e di Festo) non sembra si possa supporre ancora esistente nell'agorà delle città greche ai primordî dell'età classica. Sole caratteristiche erano: forse la centralità della posizione (e ciò per ragioni ovvie); certo una maggiore o minore spaziosità, che consentisse al popolo di raccogliervisi in occasione di assemblee, e, nell'uso abituale di mercato, ai varî mercanti di collocarvisi con le loro merci, ai banchieri di trovarvi posto coi loro banconcini, e alla gente di circolarvi.
Ma, in processo di tempo, fu naturale, per il decoro stesso delle città, che le ἀγοραί, le quali della vita cittadina erano i principali centri, venissero fatte oggetto di particolare attenzione specialmente dal punto di vista edilizio. Presto vi sorsero attorno edifizî importanti. Su quella di Atene, per esempio, furono costruiti il Βουλευτήριον (sede della Βουλή), tribunali, templi, e, nel mezzo, furono collocate anche delle statue. Ma soprattutto si pensò a munirle di portici, ove, con maggiore comodità che all'aria aperta, i commercianti potessero collocare le loro mercanzie, e la gente stare al riparo dal sole e dalle intemperie. L'uso dei portici nell'agorà si propagò talmente, che ne divennero l'elemento essenziale e caratteristico. Non solo; ma dalla struttura stessa dei portici è dipesa successivamente la configurazione rettangolare, in quanto che, data la convenienza di circondare la piazza da tutte le parti con portici, questi, che sono generalmente edifici allungati a fronte rettilinea, ne determinarono quella caratteristica configurazione.
Veramente in Grecia si conoscevano due tipi di ἀγοραι rettangolari porticate: il tipo detto arcaico e il tipo detto ionico, differenti l'uno dall'altro in questo, che l'agorà del primo tipo era attraversata da strade, epperò la chiusura a portici presentava delle interruzioni, mentre in quelle del secondo tipo i portici dei quattro lati erano collegati tra di loro in modo che, pure avendo dei congrui sbocchi per l'accesso, formavano tuttavia un circuito continuo. Se i rilievi che ne sono stati fatti, fossero veramente esatti, di questo secondo tipo sarebbe esempio cospicuo l'agorà di Cnido.
Il duplice tipo di ἀγοραί ha dato luogo, modernamente, a discussioni, a proposito delle innovazioni che Ippodamo di Mileto (autore dell'agorà del Pireo, che da lui prese il nome) avrebbe introdotte nell'arte edilizia della Grecia propria: si è infatti ritenuto da qualche studioso che fosse precisamente il tipo dell'agorà completamente chiusa quello introdotto da Ippodamo, mentre l'altro, nella Grecia propria, sarebbe preesistito. La verità è, invece, che anche il tipo arcaico di agorà non è così arcaico come si potrebbe supporre, ed è stato esso stesso un prodotto di quella tendenza alla regolarità nella disposizione degli edifici e al loro coordinamento, che è una delle caratteristiche della cosiddetta architeitura ippodamea; e siccome questa tendenza si è manifestata prima in Asia Minore che nella Grecia propria, per il motivo che l'Asia Minore è la regione che si trovava in più diretto contatto con quei paesi d'oriente nei quali la regolarità planimetrica nelle opere edilizie aveva un'antichissima tradizione, si può ammettere che anche il tipo arcaico sia stato importato dalla Ionia, mentre il tipo chiamato particolarmente ionico non è che una modifimzione o, se si vuole, un perfezionamento del primo, ma da questo sostanzialmente non molto diverso. Il secondo tipo si è particolarmente sviluppato nell'età ellenistica.
Pausania parla delle ἀγοραί, particolarmente ricche di monumenti, di parecchie città della Grecia. Oltre all'agorà di Atene (Paus., I, 3 e segg.), sono state prese in maggiore considerazione quelle di Corinto (II, 2 segg.), di Sparta (III, 11), di Messene (IV, 31), di Elide (VI, 24 segg.), di Megalopoli (VIII, 30), di Elatea (I, 34). Di quelle di Elide e di Fare (VII, 22), Pausania dice che erano del tipo arcaico, cioè attraversate da strade. Non sono molte le rovine di antiche città greche ove tuttora si conservano gli avanzi delle ἀγοραί. Tuttavia le scoperte di questi ultimi tempi ci hanno permesso di acquistare di questo genere di costruzioni una conoscenza alquanto più concreta di quella che se ne aveva in passato. Tra le agorà, di cui sono stati messi in luce gli avanzi, meritano di essere particolarmente segnalate quelle di Priene (fig. 2) e di Magnesia sul Meandro, le due di Mileto e quello di Cirene.
Bibl.: E. Guillaume, in Daremberg e Saglio, Dict. des antiq. grecques et romaines, I, i, Parigi 1877; Szanto, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., I, Stoccarda 1894. Inoltre: C. F. Hermann, Disputatio de Hippodamo Milesio ad Aristotelis politicam, II, 5, Marburgo 1841; E. Curtius, in Archaeol. Zeitung, 1848, p. 296 segg.; G. Leroux, Les origines de l'édifice hypostyle (Bibl. des Écoles franç. d'Athènes et de Rome, 108), Parigi 1913; G. Cultrera, Architettura ippodamea, in Memorie d. R. Accad. d. Lincei, s. v., XVII (1923), p. 375 e nota 3.
Sull'agorà di Atene: C. Wachsmuth, Die Stadt Athen im Alterthum, II, i, Lipsia 1890; E. Curtius, Die Stadtgeschichte von Athen, Berlino 1891; W. Judeich, Topographie von Athen, Monaco 1905. Sull'agorà di Cnido: Ch. Texier, Description de l'Asie Minieure, I, Parigi 1839; C. T. Newton, A history of discoveries at Halicarnassus, Cnidus and Branchidae, Londra 1862. Sull'agorà di Priene: Th. Wiegand e H. Schrader, Priene, Berlino 1904. Su quella di Magnesia: C. Humann, J. Kohte e C. Watzinger, Magnesia am Maeander, Berlino 1904. Sull'agorà settentrionale di Mileto: A. v. Gerkan, in Wiegand, Milet: Ergebnisse d. Ausgrabungen und Untersuchungen seit dem Jahre 1894, I, 6, Berlino e Lipsia 1922; sull'agorà meridionale: H. Knakfuss, in Wiegand, op. cit., I, 7, Berino e Lipsia 1924.