ALBANIA (alb. Shqipëria o Shqipnia; A. T., 75-76)
Il nome. I confini naturali. Storia della conoscenza del paese. - Il nome appare per la prima volta alla metà del sec. II d. C. nella Geografia di Tolomeo (III, 12, 20), che ricorda gli 'Αλβανοί, popolo illirico abitante il paese fra Likos (Alessio) e i Monti Candavici, e la loro capitale Albanopoli, di incerta identificazione. Ma nei documenti e nelle fonti storiche, il nome si trova con qualche frequenza solo a partire dalla metà del sec. XI; il territorio che si estende dai dintorni di Croia allo Shkumbî è da allora e fino al sec. XV indicato dai Bizantini col nome di Arbanon o Albanon, in lat. Arbanum; il popolo è denominato 'Αλβανοί o 'Αλβανῖται (anche 'Αρβανοί o 'Αρβανῖται) in greco, Albanenses o Arbanenses in latino. Dalla forma neogreca, che suona Arvanitis, sembra derivare anche la forma turca Arnauti. La denominazione Arber o Arben sopravvive ancora, per quanto poco usata, fra gli Albanesi del nord. Il nome del popolo (Shqipëtar, plur. Shqipëtarë, da cui Shqipëria) è anch'esso di origine incerta ("quelli che comprendono" o "le aquile"). Si tratta in ogni modo di un nome etnografico, ed i confini del territorio con esso designato variarono col tempo; poiché, nei secoli di mezzo ed anche al principio dell'età moderna, gli Albanesi, in periodi nei quali furono soggetti a tentate oppressioni di popoli vicini, si restrinsero nelle parti alpestri del loro paese, mentre in epoche di maggior quiete tendevano a traboccare specialmente verso le conche e le pianure orientali. Ma in complesso i confini della regione, nella quale gli Albanesi appaiono ancora oggi in massa più compatta, sono bene indicati a N. dall'alta e impervia catena delle Alpi Albanesi Settentrionali, fra il lago di Scutari e le sorgenti del Drin Bianco; ad E. dalle giogaie che separano il bacino del Drin da quelli del Vardar e della Crna Reka, fino ai laghi di Ochrida e di Prespa, a S. dalla catena dei M. Gramos fino alla Voiussa, e ad O. di questo fiume dalle dorsali che limitano a destra il bacino del Calamas e quelli dei minori tributarî del canale di Corfù fino al C. Stylos.
Questi, che possono designarsi come confini naturali dell'Albania, non coincidono coi confini politici dello stato albanese, quali furono, dopo complicate vicende, definitivamente stabiliti con protocolli firmati a Parigi nel maggio del 1925 (v. più oltre).
Entro i confini politici odierni l'Albania ha, secondo dati ufficiali, un'area di 27.538 kmq.
La conoscenza geografica del territorio albanese è dovuta quasi per intero a esplorazioni e ricerche compiute in questi ultimi cent'anni. La prima larga messe di conoscenze sicure proviene dalle esplorazioni dei due geologi francesi Ami Boué (1834-1864) e Viquesnel (1842-44 e 1847), che percorsero numerosi itinerarî nell'Albania del N. e diedero notizia dei loro studî, oltre che in molti scritti speciali, il primo nel vol. IV della sua grandiosa opera La Turquie d'Europe (1840), il secondo nel volume, assai posteriore, Voyage dans la Turquie d'Europe (1868). Un viaggio celebre compì nell'Albania del N. (fra il Drin e il Vardàr) il console austriaco von Hahn, i cui Studî Albanesi (1853) furono per molti decennî un'opera fondamentale e costituiscono tuttora una ricca miniera di notizie. Dopo un trentennio di interruzione, l'esplorazione dell'Albania riprende per opera del botanico italiano Antonio Baldacci, i cui itinerarî, iniziatisi nel 1887 da N., si estendono a poco a poco a tutto il paese; la parte a confine col Montenegro è ripetutamente percorsa dal tedesco K. Hassert, quella meridionale, a confine con la Grecia, è esplorata da A. Philippson (1897 e segg.). Dal 1900 tutta la porzione orientale dell'Albania, con le regioni confinanti della Macedonia e della Vecchia Serbia, è fatta oggetto di esplorazioni sistematiche dal geografo serbo J. Cvijć e dai suoi scolari; un'opera riassuntiva apparve tra il 1903 e il 1906. Nell'Albania settentrionale, a cominciare dai primi anni di questo secolo, compierono indagini specialmente studiosi austriaci; in prima linea il barone v. Nopcsa, poi il Vetter, il Frech, l'Ippen, il Manek ed altri; il Patsch percorse, soprattutto a scopo archeologico, il sangiaccato di Beràt. Nell'Albania centrale e meridionale esplorazioni geologiche furono effettuate dall'italiano Martelli (1912) e studî geografici, geologici ed economici da una missione inviata dalla Società italiana per il progresso delle scienze (1913). Ma all'inizio della guerra mondiale vi erano ancora vaste plaghe pochissimo conosciute, specialmente nelle regioni nord-orientali del paese; la migliore carta d'insieme che allora si possedeva, quella austriaca al 200.000 dell'Europa Centrale, rilevata, per l'Albania, a prezzo di gravi fatiche, ma con mezzi speditivi, mostrava all'evidenza le lacune della conoscenza geografica. Nel periodo della guerra, rilievi topografici accurati venivano compiuti nell'Albania settentrionale dal servizio topografico austriaco, e studiosi austriaci - ancora il Nopcsa, poi il Kerner v. Maurilan, il Nowack, H. Louis, ecc. - compievano studî assai notevoli; le malnote regioni sud-orientali ed orientali erano percorse da Francesi, il Dedijer e soprattutto J. Bourcart; nell'Albania meridionale un ottimo rilievo topografico a grande scala veniva eseguito dagli Italiani. Più tardi anche i lavori per la delimitazione dei confini del nuovo stato hanno allargato le nostre conoscenze, specialmente sulle zone montuose di frontiera. Una nuova carta generale dell'Albania alla scala 1:200.000, è stata eseguita, sulla base di tutti i rilievi di guerra già esistenti, completati da ricognizioni di H. Louis, a cura dell'Istituto cartografico austriaco, per incarico del Governo albanese nel 1928; essa ha servito a sua volta di fondamento ad una carta geologica alla stessa scala, rilevata dal Nopcsa e dal Nowack.
Geologia. - Le formazioni cristalline della Penisola Balcanica centrale e orientale non interessano l'Albania, ed anche il Paleozoico non appare, se non in lembi limitati ad ovest del Drin (v. balcanica, penisola: Geologia) e nella sezione NE. delle Alpi Albanesi settentrionali. Ma sia queste ultime catene, sia quelle interne dell'Albania centrale sono costituite da terreni mesozoici - essenzialmente calcari giurassici e cretacei assai compatti, in pile potenti, di facies simile a quelli della Dalmazia e della Bosnia, più raramente calcari dolomitici e anche vere dolomie triasiche - e gli stessi terreni appaiono a S. a formare l'ossatura delle catene acrocerauniche e di quelle che si susseguono nell'interno fino alla Voiussa. Una zona di mare, probabilmente poco profondo, si stendeva adunque ancora nell'èra secondaria su quasi tutta l'area dell'attuale Albania. Questo mare si è andato a poco a poco restringendo durante l'era terziaria. Terreni terziarî in moltissime varietà sono diffusi quasi ovunque nel paese, ma soprattutto nella parte centrale, cioè nel territorio che ha, a un dipresso, la forma di un triangolo, con la base al mare tra Valona e il C. Rodoni e il vertice sullo Shkumbî, poco a monte di Elbasan: sono formazioni del flysch eocenico, che rivestono, come nell'Appennino, i fianchi dei massicci calcarei e assumono un'estensione enorme nell'Albania centrale; ovvero arenarie, sabbie e argille mioceniche e plioceniche delle regioni collinose più vicine al mare. Grandi bacini lacustri, in comunicazione con quelli della Macedonia e della Tessaglia, occupavano una parte notevole della regione emersa, ancora negli ultimi periodi del terziario. All'incirca alla stessa epoca che nella regione alpina, cominciarono qui, come nel resto della Penisola Balcanica, i grandi corrugamenti orogenetici; i diversi terreni furono complicatamente ripiegati e rotti da fratture: grandi masse di rocce eruttive (eufotidi, serpentine) vennero a giorno, specialmente nell'Albania settentrionale (bacini del Drin e del Mati), ma anche negli alti bacini dello Shkumbî e del Semeni. Alla fine del Terziario si verificò probabilmente un sollevamento in massa di tutta la regione, e, in conseguenza di questo, un intensificarsi dei processi erosivi da parte di fiumi e torrenti. Questi processi sono tuttora molto attivi; l'alluvionamento nella fascia litoranea procede assai rapido, specialmente nell'Albania centrale, dove i corsi d'acqua, traversando la zona dei terreni terziarî facilmente erodibili, si caricano di materiali di trasporto. Ma la rete fluviale conserva ancora i caratteri di giovinezza o di scarsa maturità; catture recenti si possono constatare in più luoghi.
Durante l'epoca glaciale, lingue ghiacciate di estensione notevole discendevano lungo i fianchi di tutti i maggiori massicci montuosi: le creste acute e seghettate, incise da circhi glaciali, non meno che gli apparati morenici delle zone più basse, ne sono tuttora testimoni evidenti. Come nell'Appennino, grandi conche lacustri permanevano ancora nel Plistocene nella parte orientale dell'Albania; esse sono oggi per lo più prosciugate e trasformate in pianure livellate, colme di depositi lacustri, separate talora da strette creste montuose.
Il paese sotto l'aspetto fisico. - Dal punto di vista orografico, il rilievo dell'Albania è molto complicato, e, mentre si connette con quello di tutta la rimanente parte occidentale della Penisola, malamente si può coordinare in sistemi ben definiti. Per comodità di descrizione, si possono distinguere quattro aggruppamenti principali: le Alpi Albanesi Settentrionali, le catene di confine sulla destra del Drin, la regione montuosa centrale, e le catene meridionali e di sud-ovest.
Le Alpi Albanesi Settentrionali, dette localmente Montagna Grande (Malcija Madhe), sono un'aspra e impervia dorsale il cui asse è diretto in generale da OSO. a ENE., dalla conca del lago di Scutari ai piani carsici di Còssovo e della Metohija. Hanno nel complesso struttura massiccia, cupoleggiante nelle zone culminali; ma l'erosione glaciale ha inciso le antiche superfici di spianamento in ampi circhi, separati da creste acute e seghettate. Nella zona centrale parecchie vette superano i 2500 m., ma la più elevata (Kozi Rtarij o Maja Gjavaricë, 2656 m.) si trova verso l'estremità NE., anzi è in territorio politicamente iugoslavo. A mezzogiorno sproni dirupati scendono precipiti sulla valle del Drin profondamente incassata; le vallecole tra sprone e sprone, chiuse da sbarre glaciali, sono pressoché inaccessibili. A N., invece, le valli del Zem, del Lim e della Bistrica meridionale (o Bistrica di Deciani), occupate un tempo, nelle parti alte, da notevoli ghiacciai, permettono l'accesso alla zona culminale. La valle più ampia è quella del Lim, già occupata da un ghiacciaio lungo circa 25 km., il cui bacino terminale è rappresentato dalla conca che oggi alberga il lago di Plav, circondato da anfiteatri morenici. La catena, formata in gran parte da pile potenti di calcare e anche da dolomie, è ricca di fenomeni carsici: doline, uvala, pozzi, con inghiottitoi, nei quali le acque si perdono. Folte foreste di abeti rivestono le dorsali fin quasi alle cime più eccelse; il paese è abitato da tribù montanare che conducono una vita isolata entro i remoti cantoni montuosi; abbastanza fitta ad ovest, la popolazione, nella parte orientale, si è invece insediata solo nelle valli maggiori (Nershtenj, Valbonë).
Le catene alla destra del Drin formano il baluardo orientale del paese. La grande dorsale del Koritnik si collega strettamente con lo Šar (v.): essa ha vette superiori a 2200-2300 m. coperte di pascoli, anzi a S. si leva fino a 2535 m. nel Djalica e Lumës. Ad altezze ancor maggiori si leva l'imponente cresta dentellata del Krabë, i cui fianchi, modellati da grandi ghiacciai dell'èra glaciale, sono incavati da numerosi circhi alberganti piccoli laghetti; la cima più eccelsa (2764 m.) è anche la massima dell'Albania. Un po' meno elevato è il Deshat (2384 m. nel Veli Var), che fa seguito a S., inciso da moltissime vallecole, confluenti al Drin; al piede settentrionale di esso si apre il bacino di Peshkopìë, lambito a O. dal Drin; a S. si allarga il più grande bacino di Dibra (450-500 m. s. m.), del quale peraltro solo i margini occidentali appartengono oggi all'Albania.
A mezzogiorno della valle trasversale del Drin comincia la regione montuosa centrale, una gran parte della quale era fino a pochi anni fa assai imperfettamente conosciuta. Le catene e i massicci calcarei hanno aspetto simile a quello delle Alpi Albanesi, per quanto meno selvaggio; la presenza delle rocce verdi introduce un elemento di varietà, dando alla montagna forme più dolci; le acque, che scaturiscono in sorgenti copiose al contatto fra i calcari permeabili e le serpentine impermeabili, ravvivano il paesaggio. Una complicata rete di corsi di acqua spezza l'unità del rilievo determinando una quantità di distretti separati gli uni dagli altri, ciascuno dei quali costituisce di solito il centro di una tribù o di un gruppo ben individuato di popolazione.
Le dorsali che accompagnano sulla sinistra le profonde gole del Drin medio e costituiscono il paese montagnoso dei Ducagjini e dei Mirditi, non raggiungono i 2000 m., culminando nel massiccio calvo, inciso da grandi doline, del Munela (1980 m.); ma più a S., le giogaie che si interpongono fra la valle longitudinale del Drin nero e il ventaglio di valli trasversali che si riuniscono in basso nel Mati, superano già in più punti i 2000 m. (Neshda e Lurës 2110 m.; Mal'i Dejs 2246 m.; Oloman 2065 m.); sono formate spesso da masse scure di serpentine e rivestite di vaste, impenetrabili foreste di pini; le vallate che le intersecano ad O. sono abitate dai Mirditi, il cui centro è Oroshi. La profonda intaccatura formata dall'alto Mati separa queste giogaie dalla Montagna di Tirana, costituita da dorsali di calcare nudo o coperto di boschi, che gli affluenti dell'Ishmi incidono in gole incassate. Essa, ad oriente, si riattacca alla cresta elevata, che separa il bacino sorgentifero dello Shkumbî dalla valle superiore del Drin uscente dal lago di Ochrida; questa cresta, che nella parte più alta porta il nome di Jablanica, si aderge a 2312 m. nel nodo centrale detto Vishjarica, inciso da grandi circhi, che lo separano da altre vette poco meno elevate (Crno Kamenjé ossia "Rocce Nere" 2210 m.; Kristaq 2257 m.). Ancora un'altra depressione, segnata dall'ampia valle dello Shkumbî, via naturale di penetrazione dall'Adriatico al lago di Ochrida, separa lo Jablanica dal grandioso anfiteatro di monti che circonda il ramo principale dello Shkumbî stesso, proveniente da S. Il fondo valle, detto Mokrë, è fertile e fittamente abitato; ma la montagna circostante - culminante a SO. nel Gur'i Topit (2380 m.), coperta, come lo Jablanica, di foreste fittissime di faggi e di abeti, rifugio di orsi, lupi e camosci - è sfuggita dagli abitanti stessi. Questa elevata dorsale, costituita di serpentine scure, disseminata di piccoli laghi occupanti il fondo di circhi glaciali, domina a sua volta la grande gola solcata dal Devoli, l'emissario del lago Maliq; a S. di essa la regione montuosa centrale è continuata ancora, geologicamente e morfologicamente, dai massicci tormentati degli Opari e degli Skrapari, dissecati dai torrenti che affluiscono al Devoll e all'Osùm. Masse di serpentine scure formano in gran parte anche queste montagne, ma su di esse emerge la cresta acuta e biancheggiante dell'Ostravicë (2384 m.), il più meridionale dei grandi massicci dell'Albania. Tuttavia di là dal Passo di Qarrit, per cui passa la rotabile da Còrizza a Leskovik, l'asse montuoso si raccorda ai Gramos (Razdolit, 2530 m.) che formano, come si è detto, il limite naturale fra l'Albania e l'Epiro.
La struttura dei rilievi dell'Albania centro-meridionale e di SO. è assai più semplice. Si tratta di dorsali, dirette in generale da NO. a SE., di calcare secondario, emergente quasi sempre da un mantello di flysch eocenico; a S. tali dorsali giungono fino al mare, formando l'aspra regione della Chimara e l'ossatura della penisoletta Acrocerauna; al centro invece sono continuate da serie di colline terziarie che, mantenendo la stessa orientazione, sporgono sul mare con promontorî allungati.
Il massiccio più imponente è quello del Tomorr (2480 m.), il cui dorso culminale, nudo e biancastro, si vede da lontano, come una sorta di segnacolo, da tutta l'Albania centrale ed è considerato quasi come il re delle montagne albanesi. Coperto di fitto bosco sotto i 2000 m., degrada a S. verso l'Osùm, a S. del quale una serie complicata di rilievi si riannoda ai Gramos ad E. di Leskovik.
Un'altra dorsale assai alta, succede, sempre con l'asse orientato da NO. a SE., più a S.; essa accompagna la Voiussa sulla sinistra ed ha il nome di Nemerçkë nella parte meridionale più elevata (Papingut, 2495 m.); a N. la Voiussa stessa la taglia in una gola selvaggia, incassatissima (Klissura, alb. Këlcyrë) a monte di Tepeleni; la sua continuazione a N. della gola si mantiene sotto i 2000 metri. Sempre con la stessa direzione, un altro massiccio calcareo, quello del Mal'i Lunxheriës, sulla destra del Dhrino (Voiussa) a NE. di Argirocastro, ha nella parte più alta (M. Vuva, 2160 m.) l'aspetto di una cresta sottile, intaccata da circhi glaciali.
Invece sulla sinistra del solco Voiussa-Dhrino si eleva la dorsale dei M. Griba (Qendrevica, 2120 m.), continuata a S. dai massicci del Kurvelesh e poi da quelli del Mal'i Gjërë; questi ultimi, pur avendo la stessa orientazione generale, si segnalano per le forme spianate o cupoleggianti delle aree culminali, che rappresentano forse effettivamente i resti di antiche superficie di spianamento; esse non superano i 1600 m. nel Kurvelesh, mentre raggiungono i 1797 m. nel Maja e Frashërit, che domina da O. Argirocastro.
Infine, lungo il Mar Ionio, dal C. Linguetta alla laguna di Butrinto, si eleva con erte scarpate la lunga catena che sin dall'antichità porta il nome di Acroceraunî; grigia per la nudità del calcare, quasi ovunque da gran tempo diboscato, culmina a 2060 m. nella parte centrale, che mostra ancora evidenti, per quanto ristrette, tracce di antichi ghiacciai, poi degrada verso sud in dorsi sempre più bassi su Santi Quaranta e sulla valle della Bistrica. A N. scende ripida sulla Baia di Valona prolungandosi, anzi, nell'isoletta di Saseno (331 m.).
A queste dorsali calcaree è anteposto ad O., verso il mare - come si è già detto - un paesaggio di colline terziarie, formanti allineamenti, diretti pure in genere da NO. a SE.: sono, tra Voiussa e Semeni, i Malakastra alti al massimo 700-800 m., digradanti a NO. fino alla collina di Apollonia per poi scomparire sotto la coltre di alluvione recente; tra Semeni e Shkumbî le colline di Lushnjë ed altri dorsi isolati, bassi, appena emergenti dal mantello alluvionale, di cui uno, il M. B; cerit, si affaccia al mare al C. Laghi; tra Shkumbî ed Arzèn il Mal'i Krabës e le dorsali dei Tsakulmani la cui ultima appendice è il M. di Durazzo, terminante al C. Pallë; infine tra Arzèn e Ishmi il Mal'i Kërçokës (487 m.) che sporge nell'Adriatico con lo strano sprone terminante a C. Rodòni.
Dal lago di Scutari al golfo di Valona una lascia pianeggiante, più o meno larga, si distende lungo la costa, interrotta tuttavia dalle estreme propaggini delle dorsali collinose testé ricordate. Tale piana litoranea risulta da una serie di antiche insenature colmate dalle alluvioni dei fiumi albanesi; ma recenti movimenti di sollevamento hanno probabilmente contribuito pure alla sua formazione. La piana di Scutari, di cui la parte più interna è ancora occupata dal lago dello stesso nome, era in origine un profondo golfo di tipo dinarico, e le basse dorsali calcaree del Mali Renzit e del Mal'i Kakarrìqit, che la solcano tra Boiana e Drin, rappresentano le ultime propaggini delle catene costiere dinariche. Tra S. Giovami di Medua e il Capo Rodòni è la vasta pianura, percorsa dal Mati e dall'Ishmi, in gran parte ancora acquitrinosa, poi la piana di Durazzo, solcata dall'Arzèn; a S. infine la più estesa pianura dell'Albania, la Musacchia (Myzeqè), solcata dai corsi inferiori dello Shkumbî, del Semeni e della Voiussa, inondata d'inverno su vaste aree, occupata ancora in parte da lagune dalle rive incerte (Kravasta, Terbuf, laguna di Arta), talora separate dal mare da sottili cordoni litoranei, oltremodo insalubre per l'infierire della malaria e perciò scarsamente coltivata e povera di abitati permanenti. Più vaste lagune, che esistevano nell'antichità, come quella di Soli su cui l'antica Apollonia aveva il suo porto, sono state colmate, altre sono in via di prosciugarsi, come quella di Arta ed anche la laguna di Durazzo, separata dal mare, a N., da un sottile cordone. La costa albanese è pertanto una costa antropogeograficamente poco favorevole, scarsa di approdi e malsana; tuttavia lavori di regolamento dei fiumi e di bonifica potrebbero trasformarne interamente il valore, perché il suolo della piana litoranea è ovunque molto fertile, come attestano i ricchi pascoli estivi, le belle culture di mais delle zone più asciutte e i rigogliosi boschi di pioppi, querce, sugheri, che s'incontrano ancora qua e là, soprattutto nella Musacchia.
Il clima. - Sul clima dell'Albania si ha finora scarsezza di notizie precise, per la deficienza di stazioni meteorologiche funzionanti da lungo periodo. Mentre il Hahn aveva già coordinato i dati di Durazzo e di Valona, (Meteorol. Zeitschr., 1914, p. 190 segg.), più di recente V. Conrad ha utilizzato anche le osservazioni fatte in stazioni meteorologiche impiantate provvisoriamente dagli Austriaci durante la guerra, riducendole ad un lungo periodo mediante il confronto con stazioni vicine per le quali si posseggono serie soddisfacenti di osservazioni. I dati principali sono raccolti nel prospetto a piè di pagina a proposito del quale è da notare che quelli relativi a Puka, Tirana ed Elbasan sono da accogliersi con molta cautela.
Si deduce da questa tabella che un'influenza della latitudine è abbastanza manifesta così nelle temperature medie annue, come soprattutto nella media del mese più freddo, che è dappertutto il gennaio. Le temperature invernali si mantengono ben superiori allo zero in tutta la regione di pianura, la quale ha pertanto un clima assai mite. I mesi di luglio e di agosto hanno quasi ovunque medie sensibilmente uguali, il che è indice della lunga durata del periodo estivo ad alte temperature; a questa lunga durata, più che all'altezza dei valori massimi, si deve la sensazione di caldo pesante, secondo alcuni addirittura insopportabile, che si prova durante l'estate in Albania, soprattutto in pianura. Le escursioni annue sono assai forti; l'influenza mitigatrice del mare si avverte solo sulla costa e cessa già a breve distanza (Scutari, escursione 20°,1); valori assai superiori a 20° si dovrebbero avere nelle regioni più interne, soprattutto entro le conche circondate tutt'intorno da alte montagne.
Del regime dei venti si sa pochissimo. È noto che la bora si fa sentire ancora sulle coste albanesi, ma non più con la violenza che essa conserva sulla costa N. della Dalmazia; al cessare della bora sopravviene talora la neve. Le regioni costiere beneficiano nell'estate di venti marini, che si avvertono ancora a Scutari e a Tirana. Brezze diurne (da SE.) e notturne (da NO.) si alternano, secondo Hassert, sul lago di Scutari.
La piovosità supera ovunque il metro e cresce allontanandosi dal mare, col crescere dell'altezza, superando assai probabilmente i 2 metri e mezzo nei distretti montuosi del NE. I dati sul numero medio dei giorni piovosi sono da accogliersi con cautela. Grandissima importanza ha la distribuzione stagionale della pioggia. Il periodo estivo è essenzialmente secco, soprattutto nella regione marittima meridionale; siccità prolungate, anche oltre un mese, sono frequenti d'estate, a Durazzo e a Valona. Le copiose piogge autunno-invernali hanno spesso il carattere di acquazzoni violenti, il che ha influenza sul regime dei fiumi, come tra poco si dirà. Temporali con grandine non sono infrequenti specie nelle regioni settentrionali, durante la primavera (fino a giugno); più di rado si verificano in ottobre. Sul numero medio dei giorni con neve non si hanno cifre un po' attendibili che per Scutari (media 3,6); certamente la media cresce nelle regioni elevate dell'interno; sugli alti monti il mantello nevoso persiste per tutta la durata dell'inverno e talora fino alla tarda primavera.
In complesso, nonostante la modesta estensione dell'Albania, notevolissime differenze di clima si hanno da regione a regione, il che è conseguenza non tanto dei fattori meteorologici in sé, quanto di quelli morfologici già sopra accennati, cioè del carattere montuoso del territorio, o meglio, dell'alternarsi di aree montuose elevate abbastanza isolate, e di valli profonde ed ampie conche quasi chiuse.
Le acque. Sorgenti, fiumi, laghi. - L'abbondanza delle piogge e delle nevi spiega la ricchezza delle sorgenti, che è un carattere comune a tutta l'Albania, per quanto in diversa misura, essendo la loro distribuzione collegata all'alternanza degli strati di diversa permeabilità. Le sorgenti dànno alimento a un gran numero di torrenti di montagna, che si riuniscono poi in grandi arterie fluviali. I corsi d'acqua dell'Albania hanno alcuni caratteri fondamentali comuni con quelli del resto della Penisola Balcanica (v.). Si deve segnalare in genere il carattere di immaturità della rete idrografica albanese; le valli trasversali soprattutto hanno aspetto giovanile e profilo irregolare: gole anguste e selvagge si alternano con sezioni di valli ampie ove il fiume divaga capricciosamente; gli esempî di catture recenti sono assai numerosi; si può considerare come tipica quella operata dallo Shkumbî di una parte dell'antico bacino lacustre di Elbasan, le cui acque si deversavano un tempo a SO. per mezzo del Devoll. Riguardo al regime dei corsi d'acqua ha grande influenza il fatto che i mesi estivi sono decisamente secchi, mentre nell'autunno, e anche, per quanto un po' meno, in primavera, cadono piogge copiose. I fiumi sono pertanto, anche sotto questo aspetto, molto irregolari: quasi asciutti d'estate, si gonfiano in autunno e in primavera e vanno soggetti a piene disastrose, durante le quali, in pianura, inondano largamente le campagne circostanti. Tutti avrebbero bisogno di lavori di regolazione. Traversando, nel corso medio e inferiore, zone ove prevalgono rocce facilmente erodibili (argille, sabbie), si caricano di materiali di trasporto e di torbide, onde i loro delta si avanzano rapidamente e mutano spesso di fisionomia.
Si possono considerare come fiumi albanesi i seguenti otto, le cui lunghezze furono calcolate con curvimetro sulla carta al 200.000:
1. La Boiana, in albanese Bunë (km. 44), emissario del lago di Scutari.
2. Il Drin (km. 280), il maggior fiume albanese, il cui ramo principale, o Drin nero, è l'emissario del lago di Ochrida (v. drin e ochrida).
3. Il Mati (km. 104) che nasce dal Mal'i Lopës e corre prima come torrente di montagna verso NE., poi, accresciuto dai due Fani, torrenti della Mirdizia riuniti insieme poco prima della foce, volge a ovest, traversa in una stretta gola la muraglia montuosa che si stende fra Tirana e Alessio, e sboccando in piano finisce con un vasto delta che tende a riunirsi con quello del Drin nell'ampia area boscata detta Bregumatia (Bregu i Matit).
4. L'Ishmi (km. 70), fiume costiero formato da tre torrenti provenienti dalla montagna di Tirana.
5. L'Arzen (km. 90), che scola la parte S. della Montagna di Tirana, torrente povero di acque che sbocca a N. del C. Pali.
6. Lo Shkumbî (km. 147), il fiume centrale dell'Albania, che ha le sue sorgenti a brevissima distanza dal lago di Ochrida (v. shkumbî).
7. Il Semeni (km. 252), nome che gli Albanesi attribuiscono al tronco inferiore del Devoll, dopo la sua riunione con l'Osum.
8. La Voiussa o Vijosë (km. 237) che nasce dal Pindo in territorio non appartenente politicamente all'Albania e traversa in tutta la sua estensione la parte meridionale del paese (v. voiussa).
Come si è già detto, grandi bacini lacustri esistevano nell'Albania ancora nel Plistocene. A N. il lago di Scutari (v.) è esso stesso il residuo di una più vasta area lacustre; nel centro il grande bacino di Elbasan si svuotò, in seguito al sollevamento postpliocenico, facendo posto a una conca riempita ancora da depositi lacustri chiaramente terrazzati. A SE., l'immensa distesa lacustre, posta al confine della Macedonia, ha lasciato tre residui nei laghi di Prespa, il più grande della Penisola Balcanica (v.), di Ochrida (v.) e nel lago Maliq, bacino a rive incerte che occupa la parte N. della piana di Còrizza, solcata dal Devoll; circondato di canneti e di boschi d'ontani e di pioppi, ha un'area variabilissima secondo le stagioni, ma una esigua profondità.
Vegetazione e fauna. - La flora dell'Albania ha caratteri comuni con quella della parte occidentale della Penisola Balcanica. Nella regione bassa, fin verso i 600 m. prevale il tipo mediterraneo: vi si distingue la zona litoranea delle dune (Medicago, Ermyngium, Echinophora, ecc.), la zona dei sempreverdi con macchia, boschetti di agavi e oliveti, e la zona boschiva con prevalenza di Ilex. Tra 600 e 1400 m. si stende la regione submontana, con boschi di latifogli (ma ormai quasi senza sempreverdi), con una formazione di Syringa, Rhus, Cotinus, Crataegus, ecc. e poi con oliveto, alberi da frutto, cereali, tabacco. Assai estesa è la regione montana, tra 1.400 e 1700 m., con boschi di castagni in basso, di faggi e di abeti più in alto; vi si coltivano ancora i cereali (tranne il mais) e la patata, non più il tabacco. Tra 1800 e 2000 m., a seconda della latitudine, cessa il bosco come formazione continua, per cedere il posto ai pascoli alpini. Nelle Alpi Albanesi settentrionali e nella regione montuosa di NE., di aspetto carsico, le formazioni caratteristiche dell'Europa centrale subentrano presto a quelle mediterranee, che invece hanno larga estensione nell'Albania centrale e meridionale.
Riguardo alla fauna, è da ricordare la frequenza, tra i grandi carnivori, del lupo e dello sciacallo, non solo nelle regioni montuose, ma anche nella zona subcostiera settentrionale. L'orso è invece molto più raro, ma si trova ancora tanto a N., nella Mirdizia, quanto a S., nella zona montuosa tta Voiussa e Suscizza. Nei boschi delle regioni collinose e montuose settentrionali è frequente il cinghiale; nelle zone più elevate il camoscio. La lepre è diffusa ovunque. Una caratteristica dell'Albania è la grande ricchezza e la varietà dell'avifauna, che ne fa una specie di paradiso dei cacciatori; gli uccelli di palude sono naturalmente molto diffusi nella zona litoranea e sublitoranea.
Il rapido schizzo delle condizioni fisiche fatto fin qui, dimostra che, per quanto l'Albania sia un paese piccolo, tuttavia, per ragioni di suolo e di clima, grandissime differenze vi sono tra le sue varie parti, il che è causa non ultima della difficoltà di cementazione del nuovo stato. Le regioni montuose del N. e NE., le più aspre e selvagge, formano, come anche in seguito si dirà, altrettanti cantoni chiusi, di diversa estensione, ciascuno dei quali fino a poco tempo fa viveva quasi una vita a sé. La conca di Scutari con la pianura litoranea, solcata dal Drin e dalla Boiana, forma una regione del tutto diversa e vivente pure una sorta di vita propria. L'Albania centrale, da Durazzo a Valona, da Tirana a Elbasan e a Berat, paese collinoso, solcato da valli trasversali, facilmente accessibile, costituisce la regione più sviluppata e sotto certi aspetti più progredita, anche per la diffusione delle coltivazioni e la facilità degli scambî; ma il fiume Shkumbî che la traversa, separando, come vedremo, i Gheghi dai Toschi, determina anche in essa qualche differenza fra il N. e il S. La valle longitudinale del Drin Nero forma ancora un'altra regione a sé, quasi isolata dal resto dell'Albania, in facili comunicazioni invece con le conche della Balcania centrale. L'Albania meridionale è caratteristica per le sue vallate parallele, separate da dorsali aspre e impervie, e mostra grandi contrasti fra i fondo valle ben coltivati e abitati, e i monti brulli, poveri, ove ancora vivono segregate popolazioni assai arretrate (Chimara, Kurvelesh); anche le vallate non rappresentano peraltro una continuità; ma sono rotte in tronchi da gole anguste, talora intransitabili o quasi. Infine al SE. vi è la regione dei grandi bacini interni a fondo ampio, ben coltivabili, di cui il maggiore è quello di Còrizza, che, posto ad altitudine molto rilevante (circa 900 m.) forma il centro principale di questa parte del paese, e per la salubrità del clima e la fertilità del terreno costituisce anche l'area più fittamente abitata.
Questa frammentarietà del paese e la variabilità dei suoi caratteri si rispecchiano sulle condizioni di vita e di sviluppo degli abitanti, sulle loro istituzioni ed abitudini, come risulterà dall'esame che ci prepariamo a fare nei paragrafi seguenti.
Il nuovo stato albanese. Demografia. - L'indipendenza dell'Albania fu proclamata da un'assemblea riunita a Durazzo nel dicembre 1919; una costituzione provvisoria fu deliberata a Lushnjë nel gennaio 1920, e nel dicembre del 1921 l'Albania veniva ammessa nella Lega delle Nazioni. Dopo un triennio di Governo provvisorio, nel gennaio 1925 fu proclamata la Repubblica; ma ad essa fu poi sostituita la forma monarchica, molto più consona alle tradizioni del paese; la proclamazione a re di Zogu I avvenne il 1° settembre 1928. I confini politici furono preliminarmente fissati dalla Conferenza degli Ambasciatori nel novembre 1921 e determinati in parte sul terreno da una commissione internazionale, che dovette interrompere i suoi lavori per l'eccidio del suo capo (l'italiano gen. Tellini); più tardi li riprese e li condusse innanzi con fatica per le frequenti eccezioni sollevate dalle parti interessate; da ultimo i confini furono definitivamente stabiliti con protocolli firmati a Parigi nel maggio 1925. Particolarmente delicate furono le delimitazioni nella valle di Vermoshë e adiacenze (Alpi Albanesi Settentrionali), dove si dovette tener conto delle consuetudini di nomadismo pastorale degli abitanti, ed al lembo NE., dove alla Iugoslavia furono concesse alcune zone albanesi, per dare respiro alle città di Giacova e Prizren, e poi soprattutto nella zona di Dibra, dove fu assegnata alla Iugoslavia non solo l'intera città, ma una fascia di territorio necessaria a proteggere la strada Dibra-Struga. Il monastero di San Naum, sul lago di Ochrida, lungamente conteso con la Iugoslavia, è rimasto all'Albania, ma larga parte del territorio circostante fu assegnata alla Iugoslavia. A SE. il confine con la Grecia fu definitivamente stabilito, in modo che restasse all'Albania tutto intero l'antico kazà di Còrizza.
Il territorio per il quale gli Albanesi si adoprarono fin dal 1878 a rivendicare un'autonomia - la cosiddetta Grande Albania - è assai più esteso, soprattutto ad oriente; fuori degli attuali confini restano nella Vecchia Serbia nuclei importanti e compatti di Albanesi, soprattutto nelle campagne, in numero certo superiore a mezzo milione.
L'attuale stato è diviso in nove provincie; quelle di Dibra e di Còssovo sono peraltro mutilate, perché le parti maggiori sono rimaste alla Iugoslavia; esse hanno per capoluoghi rispettivamente Peshkopìë e Kukijs. Le provincie sono divise in sottoprefetture (31) e queste in circondarî (80). Tutti i dati statistici-demografici sono tuttora assai incerti, forse più che per qualunque altro stato d'Europa. Un computo ufficiale della popolazione, eseguito nel 1923, dava i risultati esposti nella seguente tabella:
Questo computo non può considerarsi alla stregua di un censimento vero e proprio, anzi i risultati dànno luogo a parecchi dubbî, ma è tuttora l'unico che si possegga per lo stato, nei suoi confini attuali.
Quando l'Albania era sotto l'Impero ottomano, mancando anche per questo stato censimenti attendibili, riusciva difficile qualsiasi computo, sia del numero totale degli Albanesi della Penisola Balcanica, sia ancor più di quelli viventi entro i confini dello stato attuale, confini che non coincidono affatto con quelli degli antichi vilāyet ottomani, anch'essi del resto più volte mutati. Prendendo per base i calcoli, assai accurati, fatti da A. Ritter zur Helle per tutto l'Impero ottomano nel 1876, si arriverebbe al risultato che nei territori corrispondenti all'attuale stato albanese vivevano allora forse 740.000 ab. La nuova divisione amministrativa introdotta dopo il congresso di Berlino e poi modificata ancora nel 1890-91 rende difficili le comparazioni per il periodo suceessivo; ma una cifra di 800.000 ab. all'ingrosso per il 1890 non dovrebb'esser troppo lontana dal vero. In base ai dati ufficiali del 1902 si potrebbero calcolare circa 825-830.000 ab. Durante la guerra, l'Albania ebbe molto a soffrire, cosicché la sua popolazione, lungi dall'aumentare, subì probabilmente una diminuzione piuttosto notevole. Nella zona occupata dall'Italia un censimento assai accurato fu eseguito nel marzo 1917; nella zona assai più vasta occupata dagli austriaci si ebbe pure un censimento diligentissimo circa un anno dopo; e quasi contemporaneamente un computo accurato fu fatto anche nella zona di occupazione francese. Orbene, tenuto conto delle parti (non rilevanti) rimaste fuori di queste tre zone censite, e delle interferenze tra la zona austriaca e l'italiana, la popolazione dell'Albania, nei confini attuali, si poteva calcolare verso il 1918 a circa 800.000 ab. Da allora la popolazione è solo lievemente aumentata nonostante i rimpatrî dall'estero e l'esodo dalle zone rimaste soggette alla Iugoslavia.
La popolazione albanese. Etnografia. Usi. Costumi. - I caratteri antropologici degli Albanesi sono noti finora solo attraverso un numero di osservazioni e di misurazioni sistematiche assai scarso. Si citano come caratteri più costanti la estrema brachicefalia, la testa piccola, la forma allungata della faccia, il naso diritto, spesso aquilino, gli occhi e i capelli neri, la statura superiore alla media. Questi caratteri ravvicinano gli Albanesi - al pari dei limitrofi Montenegrini, Bosniaci, ecc. - al cosiddetto tipo dinarico. Notevole è la comparsa di stature più basse nel mezzogiorno del paese, come pure l'accrescersi della percentuale di tipi biondi (che per tutto il territorio non supera forse il 20%) man mano che si procede verso oriente.
La lingua albanese ha un fondo di vocaboli suoi proprî, che si riconnette secondo i più con l'illirico, secondo altri col tracico; un gran numero di vocaboli sono però di importazione.
Una profonda distinzione si fa di solito tra i dialetti del nord o gheghi, e quelli del sud o toschi; il confine è segnato a un dipresso dal corso del fiume Shkumbî; cfr. qui sotto il paragrafo Lingua. Le differenze tra Toschi e Gheghi non sono peraltro soltanto dialettali, ma si manifestano anche in alcuni elementi etnografici, come tra breve si dirà.
Tra le colonie straniere entro i confini dell'Albania le più numerose sono quelle degli Aromuni (v.). Essi sono in genere pastori, talora anche grandi proprietarî di greggi, e formano un gruppo compatto sul Pindo intorno a Metzovo, nelle montagne ad O. di Còrizza (ove era il centro di Moskopolje, ora pressoché distrutto), nel gruppo del Tomorr, ecc.; abitano in villaggi talora molto elevati e ben costruiti, ovvero in capanne temporanee isolate (kolibe), come i cosiddetti Farsalioti del Tomorr. Hanno in parte abitudini nomadiche, migrando, di inverno, talvolta a villaggi interi, coi loro greggi verso le pianure, sia in Tessaglia e nella Macedonia, sia nella Musacchia; ma in tempi recenti alcuni han preso abitudini sedentarie esercitando i mestieri di tessitore, sarto ecc.
Dei Bulgari, che hanno invaso l'Albania, come pure una parte della Grecia nel sec. IX, lasciando numerose tracce nella toponomastica, non sono rimasti avanzi, se non nei due villaggi di Magellarë e Dovolarci nel circondario di Dibra (meno di 200 ab. in complesso) e forse anche nei due vllaggi di Drenovë e Boboshticë nella piana a sud di Còrizza ove, secondo il Bourcart, i vecchi parlano ancora un dialetto bulgaro, che sembra avere impronte arcaiche; i villaggi degli Opari, di religione ortodossa, citati come slavi da alcuni vecchi cronisti, non esistono più, poiché quivi si parla ovunque l'albanese. Piccoli villaggi di Bosniaci, zelanti musulmani, si trovano nei dintorni di Scutari e nella piana di Shijak, tra Durazzo e Tirana; vi sono immigrati di recente, dopo l'annessione della Bosnia all'Austria e vanno perdendo i loro caratteri distintivi; una colonia di Bosniaci è anche nella città di Scutari; in tutto si tratta di circa 2200 persone. I nuclei di Turchi trasportati dal governo ottomano, soprattutto dalla piana di Qōniah (Asia Minore), nei dintorni di Dibra e di Ochrida sembrano scomparsi. Sparsi un po' dappertutto sono gli Zingari, in parte nomadi, esercitanti tutti i piccoli mestieri ed anche l'allevamento dei cavalli (soprattutto nella Musacchia), in parte sedentarî in alcuni sobborghi dei centri maggiori, come a Tirana, Elbasan e Còrizza. Difficile calcolare il numero complessivo di questi stranieri, dei quali taluni, come gli Aromuni, migrano periodicamente anche fuori dei confini dell'Albania; probabilmente non sommano, presi insieme, a più del 5% della popolazione totale.
Si citano, come qualità psichiche e morali più spiccate dagli Albanesi, il sentimento d'onore, la patriottica fierezza, il coraggio, l'assoluta onestà, la fedeltà soprattutto ai capi, la scrupolosa osservanza della fede giurata, della besa, di cui si dirà più oltre; infine il carattere aperto, gaio, e in generale anche il tenore molto frugale della vita, la modestia dei bisogni e delle aspirazioni, cui corrisponde tuttavia anche la tendenza ad evitare lavori che possano sembrare superflui.
La cellula primitiva della società albanese è la famiglia, che è in genere assai numerosa, non tanto perché gli Albanesi siano molto prolifici, quanto perché di solito, specie nell'Albania del N., i figli maschi di uno stesso padre, anche dopo aver contratto matrimonio, restano con le mogli e la prole nella casa paterna, e si forma così una "grande famiglia", sovente di 25 o 30 persone, sotto l'autorità del pater comune, o, morto questo, del più anziano dei fratelli; il patrimonio familiare rimane indiviso. La monogamia domina assoluta in Albania, qualunque sia la religione degli abitanti; e la donna, nonostante la vita riservata che conduce, ha una parte importantissima nell'economia domestica: non solamente alleva i figliuoli, ma attende ai lavori più gravi, anche in campagna, sostituendo i maschi la cui vita è minacciata dalle feroci rivalità private e dalle vendette; presso alcune tribù più fiere non si perita di impugnare le armi. Pertanto la presenza di molte donne è un elemento di forza nelle famiglie, specie in quelle numerose. Ma la vita affaticata e il matrimonio molto spesso precoce invecchiano rapidamente le donne, onde il contrasto, spesso notato dai viaggiatori, fra i maschi vigorosi e le femmine precocemente deperite, pur circondate da una florida prole. Il matrimonio ha conservato il carattere di un contratto di acquisto fra il padre della sposa e il futuro marito; questi paga la capacità lavorativa della donna e anche i vantaggi che possano derivargli dal nuovo parentado; e il prezzo è molto variabile. Sulle pratiche matrimoniali pesa ancora il retaggio di età passate, per cui ad esempio i matrimonî fra persone di tribù diverse sono pressoché esclusi.
Una grande rigidità regge la vita matrimoniale e l'adulterio è punito con la morte; assai rigida è anche l'obbedienza dei figli, sia pur maggiorenni, verso il padre.
Un aggruppamento più elevato della famiglia è quello che di solito si indica col nome di tribù, ma che sarebbe forse più proprio chiamare stirpe; esso corrisponde di frequente ad una piccola regione naturale, ad un cantone chiuso, segregato, vivente o vissuto per lungo tempo di vita propria, e i cui abitanti vantano una comune origine. La divisione in tribù era estesa un tempo a tutta l'Albania, ma ora non sopravvive che nella parte interna dell'Albania settentrionale. Quivi l'accurato censimento austriaco del 1922 trovò 65 tribù, comprendenti all'incirca 160.000 ab.; le più numerose erano quella dei Matja (23-24.000 ab.) e quella dei Mirditi (17.000 ab.), divisa però in cinque sottotribù. L'ordinamento risale a tempi molto remoti, anteriori al momento in cui l'Albania entra nel quadro della storia europea. La tribù è retta dall'assemblea dei padri di famiglia, nella quale prevalgono per qualità personali pochi capi, che le fonti antiche designano spesso col nome di "giudici", e che poi nei tempi eroici di Scanderbeg si chiamano anche conti, capitani, duchi. I Turchi in sostanza mantennero questo regime, dando al personaggio più influente nell'assemblea della tribù, o al più ricco, il titolo di bajraktar, dignità basata più che altro sull'influenza personale e che il possessore tendeva poi a rendere ereditaria. I Mirditi hanno conservato fino ad oggi rigorosamente l'ereditarietà del loro capo o prênk. L'ordinamento tradizionale della tribù si basa sul famoso Kanun' i Lek Dukagjinit, codificazione del diritto consuetudinario, che sarebbe stata compilata, secondo l'opinione più comune, intorno al sec. XII, da un membro della famiglia Dukagjin, ma che avrebbe acquistato autorità e diffusione soprattutto al tempo di Scanderbeg, per opera di un altro membro della famiglia Dukagjin, Alessandro (Lek), contemporaneo ed amico del grande eroe albanese. Allora l'intera Albania era divisa in tribù, e le norme fondamentali del Canone, appena influenzate da elementi slavi o islamici, sono rimaste in vigore in tutto il paese; ne vedremo tra breve alcuni elementi più caratteristici.
Nell'Albania centrale e meridionale, i capi delle antiche tribù, spesso assai numerose e impegnate in aspre contese le une contro le altre, furono, già durante il periodo angioino, insigniti del titolo di conti o di baroni e instaurarono una sorta di regime feudale, che il governo turco mantenne pure sostanzialmente, conferendo ai discendenti degli antichi conti angioini il titolo di bey. Si formarono così delle piccole signorie, aventi per centro una cittadina o un grosso villaggio, nelle quali il bey era arbitro e contava su un certo numero di armati obbligati ad arruolarsi sotto la sua bandiera, in caso di guerra. I bey sono ancora numerosi in Albania, ma negli ultimi decennî l'autorità di molti fra essi era assai diminuita, per l'abitudine contratta di vivere o a Costantinopoli o in giro per le capitali europee, trascurando il loro paese; talché nei centri maggiori si era manifestata, ancor sotto la dominazione turca, la tendenza a costituire delle amministrazioni comunali autonome con funzionarî nominati dall'autorità turca, o, ai nostri giorni, dai prefetti delle provincie. Nell'Albania del SE., dove i villaggi sono molto numerosi e spesso assai aggruppati, questo regime ha trovato terreno favorevole al suo sviluppo; la più parte dei villaggi ha il suo myftar o sindaco, nominato dal prefetto e assistito da pochi notabili, e vi è la tendenza ad escludere, soprattutto per influenza degli elementi giovani, coloro che si presumono candidati o fiduciarî degli antichi bey.
Uno dei fondamenti del Kanun' i Lek Dukagjinit nel campo sociale è la vendetta del sangue. Quando viene commesso un assassinio, è stretto obbligo d'onore, per i familiari dell'assassinato, di riscattarne il sangue, uccidendo l'assassino o un suo parente maschio atto alle armi; un terzo delitto s'impone per riscattare il secondo, e così via senza fine. Sono escluse dalla vendetta le donne, i fanciulli non atti alle armi, gli ecclesiastici. La vendetta è ancora un flagello sociale, specie nell'Albania settentrionale, presso i Gheghi, dove miete annualmente un buon numero di vittime ed obbliga gli abitanti a vivere continuamente come in stato di guerra, il che reca gravi conseguenze anche dal punto di vista economico. Il guidrigildo è ammesso, ma non ovunque; p. es. alcune tribù della regione montuosa tra Mati e Drin, come i Lurja, lo escludono, mentre ammettono, in casi eccezionali, un perdono spontaneo. La vendetta può essere sospesa, per comune accordo, in determinati tempi e luoghi; resta in ogni caso sospesa per chi è protetto dall'ospitalità. Nessun popolo forse ha oggi, almeno in Europa, più sacra l'ospitalità del popolo albanese. Nessuno oserebbe entrare in una casa senza il consenso del proprietario, che ne è il padrone assoluto; ma, una volta entrato, è veramente ospite sacro, circondato da tutte le possibili cure; la venuta di un ospite, specie se straniero, è considerata anzi come un grande onore. L'Albanese che accompagna un ospite non può essere raggiunto dalla vendetta. Questa poi, come s'è detto, non tocca le donne. Il rispetto per le donne è assoluto, talché esse possono viaggiare sole e disarmate anche a più giornate di distanza dal loro paese.
Altra istituzione albanese è la besa, la fede giurata, o l'obbligo assunto per giuramento di proteggere o custodire una persona, un luogo, una strada, ecc.; essa è religiosamente osservata in tutta l'Albania.
Altre costumanze, che traggono fondamento dal Canone di Dukagjin, come la rappresaglia, esercitata mediante la distruzione della casa e dei beni, contro i colpevoli di taluni delitti, la tolleranza verso il furto, specie se commesso fuori del proprio villaggio o della propria tribù, vanno scomparendo dinanzi alle leggi promulgate dall'attuale governo, il quale fa grandi sforzi anche per reprimere la consuetudine della vendetta.
L'abbigliamento degli Albanesi, per quanto sia assai degenerato rispetto a quello che ci viene descritto ancora dai viaggiatori della metà del secolo scorso, conserva tuttavia non pochi elementi caratteristici. Il distintivo nazionale è - si può dire - il fez bianco (qylaf o qeleshe), portato dai maschi senza distinzione di religione in tutta l'Albania, variando solo localmente l'altezza e l'ornamentazione. Del resto vi sono tra il modo di vestire dei Toschi del S. e quello dei Gheghi del N. differenze appariscenti, soprattutto nella forma dei pantaloni. I Toschi portano i pantaloni al ginocchio, con calze di lana tessute a forma di uose; hanno poi una caratteristica camicia di lino, bianca, ricamata, con maniche larghe e corte, talora una sottoveste pure a ricami e al disopra una giacca aperta sul davanti, le cui maniche possono essere sfilate, in guisa da lasciar libere le braccia, e restano allora pendenti dietro le spalle, in modo assai pittoresco. Completa il costume maschile una larga cintura, di solito rossa o bianca. Tranne la camicia, gli altri oggetti di vestiario sono di lana bianca o azzurro-scura o nera, tessuta a casa dalle donne. E quasi scomparso uno degli elementi più caratteristici dell'abbigliamento tosco, il fustan, sorta di gonnellino portato sopra i pantaloni, fatto di molti pezzi di stoffa riuniti, complicatamente pieghettati, che si ritiene come un'eredità degli antichi Illirî; esso è ormai divenuto un vestito da festa o da guerra.
Assai simile al costume tosco è quello dei pastori aromuni, i quali peraltro preferiscono i colori scuri, e si cingono inoltre di un ampio mantello bruno.
Il costume ghego è molto più variato. Ne sono elementi caratteristici il pantalone lungo e stretto, bianco con orli neri, di estate, scuro o nero con ornati chiari, d'inverno, che si ritiene come un elemento di alta antichità; inoltre la sottoveste di solito rossa e la giubba nera, ornata di galloni e di spalline (xhurdì). Nelle regioni elevate si indossano spesso, d'inverno, giubbe più lunghe, molto pesanti, o ampî mantelli; presso i Malissori è in uso la giubba di pelle di montone con la lana in fuori. D'estate invece si abbandonano volentieri le vesti di sopra e si va al lavoro con la bianca camicia di lino e le mutande lunghe fino allo stinco. Del resto quasi presso ogni tribù del N. si hanno varietà caratteristiche dell'abbigliamento, che permettono molto spesso di distinguerle a prima vista; il Nopcsa le ha di recente accuratamente descritte.
Nell'Albania centrale sono frequenti i pantaloni di lana scura, larghi in alto, raccolti al malleolo, alla moda turca, e l'ampia cintura rossa ravvolta sul petto e sul ventre.
Le donne, che ovunque, anche nei territorî cristiani, si lasciano poco vedere, portano una camicia con maniche larghe, bianche, larghe e lunghe brache chiuse in basso, al malleolo, una sopravveste scura e di solito anche un grembiale, e un fazzoletto di varia foggia sulla testa.
L'importazione dei tessuti dall'estero ha recato con sé non poche innovazioni: nelle zone costiere non è raro ormai il vedere gli abitanti vestiti all'occidentale (con indumenti in genere di qualià scadente), e anche nell'interno le telerie non sono più ormai che in piccola parte un prodotto dell'industria locale.
Le caratteristiche delle case albanesi sono state oggetto di studî sistematici a cura del Nopcsa per l'Albania settentrionale, mentre per l'Albania del S. si hanno indicazioni ed osservazioni più sparse o meno recenti; ma in complesso i tipi principali possono dirsi ormai ben noti. La dimora permanente rurale dell'Albania settentrionale è, in taluni distretti montuosi ancora ricchi di boschi, costruita di legno; nelle zone basse e acquitrinose, anche con canne e altre piante palustri intrecciate e ricoperte poi di intonaco; ma più comunemente è fatta di pietre squadrate, e in ogni caso si presenta come un massiccio e basso quadrilatero, essendo talora costituita dal solo pianterreno, più sovente dal pianterreno e dal primo piano. Entrambi contengono un solo ambiente; quello a terreno adibito a stalla e deposito di arredi agricoli ecc., quello superiore adibito ad abitazione; esso è talora diviso da un sottile tramezzo in due parti, di cui l'una serve per la famiglia, l'altra per gli ospiti; l'ambiente è estremamente povero di arredi; le finestre sono pochissime e piccole; il tetto è piatto o lievemente inclinato. Queste dimore, che si potrebbero dire unicellulari, sono quasi sempre riunite in piccoli gruppi a formare una masseria, che è l'abitazione della "grande famiglia" ed è spesso recinta da alte mura, o per lo meno da una fitta siepe, che impedisce anche l'uscita del bestiame minuto. Talora il piano superiore ha un balcone o una veranda; anzi spesso l'unico ambiente superiore è prolungato - sul lato meglio esposto - da una lunga e ampia veranda sostenuta da pali, e sulla quale sporge il tetto, pure sorretto da pali; non di rado poi la veranda è chiusa all'esterno da un'alta ringhiera di legno scolpito. Sulla veranda si mangia e talora anche si dorme d'estate. Nella regione interna di tutta l'Albania centro-settentrionale s'incontra poi la caratteristica casa difesa o kulla, edificio alto, massiccio, dall'aspetto di torre, con mura spesse; esso, oltre al pianterreno, comprende due o talora tre piani, tutti formati da un solo ambiente, con finestre piccolissime, spesso foggiate a feritoie. La kulla serve per rifugio contro le vendette, ed è perciò frequente soprattutto là dove la vendetta è più radicata e diffusa. La necessità di risparmiare spazio per far posto a depositi di munizioni e di provviste fa sì che le scale di comunicazione, tutte naturalmente interne, siano strettissime; il pianterreno è adibito, oltre che a stalla, talora anche per dimora delle donne, che sono esenti dalla vendetta; oppure queste hanno un edificio a parte, di tipo comune, poco lontano dalla kulla. Spesso parecchie dimore vicine hanno una sola kulla in comune, eretta nella posizione più sicura, su un'eminenza del terreno.
Nell'Albania centrale pianeggiante e nella Musacchia s'incontra la casa d'argilla indurita al sole, o, più spesso, costruita con uno scheletro di pali o un'intelaiatura di canne, rivestiti poi di un intonaco d'argilla compatta e ben levigata; essa ha il pianterreno e il primo piano, cui si accede per una scala di legno; l'ambiente superiore è normalmente diviso in due e spesso fornito di balcone. Tre o quattro edifici recinti da siepi formano il çiflìk o masseria; ma di solito uno solo fra essi serve per abitazione, gli altri sono adibiti a stalla, magazzini, ecc. Nell'Albania centrale collinosa la pietra sostituisce di nuovo l'argilla come materiale da costruzione, ma il tipo resta immutato.
Nell'Albania meridionale e orientale, dove la popolazione vive di preferenza concentrata in villaggi, prevale un tipo di casa assai differente, che si può chiamare il tipo macedone, costituito del pianterreno, del primo e talora anche di un secondo piano, caratteristico per le numerosissime ampie finestre, che perforano tutte le pareti, ed anche per il fatto che il piano superiore (o almeno la sua parte centrale) è sporgente sull'inferiore formando una specie di veranda chiusa. Il tetto è di tegole, talora a larghi spioventi (Berat), talora invece piatto (Còrizza), o perfino sostituito da un terrazzo (Ochrida).
Anche gli utensili e gli arredi domestici sono stati studiati lungamente dal Nopcsa. Alcuni rappresentano un patrimonio prettamente indigeno e perpetuano forme e tipi di remota antichità; altri invece rivelano importazioni esterne di varia provenienza. Tra i primi sono da annoverarsi probabilmente alcuni arredi domestici, come il semplicissimo letto di legno, sostenuto da quattro pali, alti da terra talora fino a un metro e mezzo, che è proprio dell'Albania montuosa; la culla di legno, cortissima, foggiata in modo da poter esser portata sul dorso; inoltre la conocchia dal manico ornato da ricchi intagli, una specie di roncola o coltello ricurvo (kmès), ecc.; tra le armi il lungo pugnale, detto hanxhar, oggi per vero non più in uso; tra gli strumenti agricoli, un tipo di pressa da olio e soprattutto il caratteristico carro a due ruote, alto e massiccio, trainato spesso da bufali. Tra gli strumenti di provenienza esterna, è da annoverarsi l'aratro, almeno nei quattro tipi oggi esistenti (un tipo più antico è ormai scomparso), che sono distribuiti in aree assai ben distinte.
Secondo le statistiche ufficiali, la popolazione albanese è costituita per oltre due terzi (67%) di musulmani, per circa un quinto (21%) di greco-ortodossi, pel 12% di cattolici. Gli ebrei mancano quasi assolutamente, se si eccettuano alcuni commercianti nei maggiori centri. Come si rileva dalla tabella a pag. 102 i musulmani sono diffusi in tutto il paese, prevalendo nell'Albania centrale e di NE.; nelle provincie di Dibra, Cossovo e Durazzo formano i nove decimi all'incirca della popolazione, e fanno capo al gran muftī di Tirana. Centro dei cattolici è il N., cioè la regione di Scutari, con la Mirdizia; nella provincia di Scutari essi costituiscono i due terzi della popolazione; mancano nel S. e nel SE., dove invece subentrano i greco-ortodossi. Questi ultimi sono in prevalenza solo nella provincia di Argirocastro, ma rappresentano un elemento notevole anche nelle altre tre provincie del S., Còrizza, Berat e Valona; a N. di Durazzo scompaiono quasi. Vi sono due arcivescovadi cattolici (Scutari e Durazzo) e tre vescovadi ortodossi (Còrizza, Berat e Durazzo). L'Albania era prettamente cattolica prima che i Turchi vi portassero l'Islam, al quale intere tribù si convertirono in massa per obbedienza ai capi e per ingraziarsi i dominatori, più che per convinzione. L'islamismo ha guadagnato terreno anche in tempi recenti e vi sono anzi famiglie musulmane che ricordano tuttora i loro antenati cristiani. L'ortodossia si è diffusa dal S. per opera dei Greci e fu spesso strumento di propaganda ellenofila. Ma la divisione religiosa non ha in Albania l'importanza che ha altrove nella Penisola balcanica; non corrispondono ad essa differenze notevoli né nel modo di vita, né nelle consuetudini; talora non ci si accorge di esser passati da un territorio musulmano ad uno cristiano o viceversa, se non dal sostituirsi delle moschee alle chiese; ma nell'Albania montuosa spesso anche le moschee mancano del loro elemento distintivo più caratteristico, il minareto.
Le caratteristiche etniche e culturali degli Albanesi, ora sommariamente descritte, sono comuni anche a quella frazione della gente albanese, che vive fuori dei confini politici attuali; che è anzi la diffusione del tipo di casa albanese, e, parallelamente ad essa, quella di alcuni oggetti, come la conocchia, attesta la presenza fino a tempi recenti di Albanesi, in territorî dove oggi essi non si trovano quasi più, come nei dintorni di Niš e Vranja, dove la loro scomparsa per opera dei Serbi non data da più di 50 anni. Oggi il numero degli Albanesi viventi entro i confini della Iugoslavia è calcolato a 442.000 dalle statistiche ufficiali iugoslave, basate sulla lingua d'uso; probabilmente supera, come si è già detto, il mezzo milione. Più difficile è calcolare il numero degli Albanesi viventi nei confini politici della Grecia. Quelli dell'Epiro sono ormai fortemente ellenizzati; per quelli della Grecia centrale, immigrati in gran parte sin dall'alto Medioevo (Attica centrale, parte della Beozia, Megaride, isole di Salamina, Hydra, Spetsai, parte sud dell'Eubea, parte di Egina e di Andro, nuclei della Morea), non si hanno statistiche neppure approssimate; forse oscillano intorno a 100.000. Circa 6000 Albanesi, immigrati di recente, vivono negli Stati Uniti, soprattutto nella Nuova Inghilterra. Se a questi si aggiungono gli Albanesi d'Italia (circa 100.000), quelli viventi in Turchia, in Egitto, nella Romenia, ecc., il numero totale degli Albanesi può calcolarsi a 1.600.000 circa.
Agricoltura e prodotti agricoli. Bestiame. Prodotti del sottosuolo. - Il fondamento della vita economica è in Albania l'agricoltura, alla quale tuttavia le diverse parti del paese si prestano assai diversamente. Le parti migliori sono le zone pianeggianti e collinose dell'Albania centrale e orientale, con le conche e le valli fluviali che vi immettono, in primo luogo la grande conca di Còrizza, interamente coltivata con grande cura, e le zone limitrofe, poi le valli del medio Shkumbî, del Semeni col Devoll e più all'interno il lungo bacino di Dibra sul medio Drin. Ma è da osservare che le piane costiere, ben abitate nell'antichità, sono oggi in gran parte trasformate in acquitrini dai fiumi del tutto sregolati, ovvero sono messe a pascoli; la malaria vi infierisce e rende attualmente impossibile l'addensarsi della popolazione. Il Calmès ha calcolato che nella zona costiera, tra Scutari e Valona, vi sono oltre 1700 kmq. di terreno da bonificare, dei quali circa 400 inondati tutto l'anno. Si aggiunga che in pianura predominano i grandi proprietarî (bey), che non coltivano direttamente i loro latifondi, ma li affittano, ricevendo un terzo dei prodotti. Nella regione pianeggiante e collinosa tra Shkumbî e Voiussa, oltre 50.000 ettari dei migliori terreni sono di proprietà del fisco, che li cede del pari a grandi affittuarî, i quali pagano in natura e ricevono a lor volta un terzo dei prodotti dai consumatori. Le valli del sud, più strette, offrono in genere meno suolo coltivabile, ma le condizioni dell'agricoltura sono meglio progredite, anche perché vi predomina la media proprietà (agà). La regione montuosa interna ha naturalmente poco suolo coltivabile ed è ancora - nonostante le inconsulte devastazioni - coperta di folti boschi.
Mancano dati ufficiali sulla distribuzione dei terreni; l'Albania non ha aderito ancora all'Istituto internazionale di agricoltura. Un calcolo fatto nel 1916 faceva salire a soli 200-250.000 ettari (8-9%) la superficie coltivabile di tutta l'Albania, ma la cifra è forse troppo bassa. È peraltro da osservare che si è ben lungi dall'utilizzare tutto il terreno suscettibile di coltura; nel N., secondo il Calmès, appena un decimo della superficie coltivabile sarebbe effettivamente coltivata.
Il prodotto principale è il mais, che, favorito dalle alte temperature estive, prospera rigoglioso, fino ad altezze per noi affatto insolite; esso preferisce le piane a suolo pingue, umido e i fondi vallivi, ma cresce bene anche in terreni asciutti, beneficiando delle abbondanti precipitazioni. Esso costituisce l'alimento fondamentale per la popolazione, onde la sua grande diffusione; secondo alcuni le aree a mais rappresentano i 4/5 di tutta la superficie coltivata. Il riso è coltivato nella Zadrimë, nelle conche di Tirana ed Elbasan, nella bassa valle del Semeni, in quella della Sushicë e anche in altre zone dove è possibile derivare dai fiumi acqua per irrigazione. La coltura del frumento è ostacolata dalla frequente umidità del terreno e da malattie; si esercita nella piana di Scutari, nella conca di Tirana, e in qualche zona collinosa. Orzo e avena sono più diffusi del grano, specie nella bassa e media montagna dell'interno. I cereali, nonostante i metodi agricoli primitivi, possono nelle annate buone alimentare un po' di esportazione, e già all'epoca turca erano esportati a Corfù e in Dalmazia; per contro nel 1920, che fu un'annata molto cattiva, l'Albania importò per oltre 470.000 franchi oro di mais, per oltre 1 milione di riso, per circa 600.000 franchi di farine (1. 157.000 fr. oro nel 1921.). Fra le piante industriali hanno qualche importanza il cotone (pianura di Shijak a S. di Durazzo, conca di Tirana, dintorni di Lushnjë e Elbasan, bassa valle della Voiussa) e il tabacco, che in pianura e in collina si coltiva un po' dappertutto per uso degli abitanti, ma è specialmente diffuso nei dintorni di Scutari ed Elbasan, dove una parte del raccolto è esportato, e oggi è in progresso anche nell'Albania del sud. Ma il primo posto spetta all'ulivo, che prospera molto rigoglioso nelle colline alle spalle di Valona, nella Malakastra, nella Chimara, nella regione a N. e NO. di Elbasan, nelle colline di Croia e di Alessio, ecc. Il raccolto comincia di solito alla fine di ottobre. Olive, olio e sansa si esportano ogni anno, ma in quantità molto oscillante, soprattutto in Italia, dove l'olio, estratto in Albania con mezzi molto primitivi, viene in parte raffinato (esportaz. delle olive: 1920 fr. oro 154.000; 1921 fr. oro 352.500; 1922 fr. oro 53.000; esportaz. dell'olio: 1920 fr. oro 116.000; 1921 fr. oro 354.500; 1922 fr. oro 186.600). Si debbono ricordare anche gli agrumi della Chimara (dove sono coltivati terrazzando i rapidi pendii, con un sistema frequente anche in Italia, assai probabilmente importato dall'Italia), delle colline di Delvino, di Valona, di Peqin, e di Elbasan; tra essi i limoni sono esportati in piccola misura. Gli alberi da frutto (melo, pero, cotogno, susino, ciliegio, melograno) servono al consumo locale; si esportano invece le noci (massiccio del Tomorr, ecc.).
Quanto alla vite, essa ha un'area limitatissima, e si coltiva quasi solo per l'uva da tavola, poiché l'uso del vino è interdetto ai musulmani; più diffusa una trentina di anni fa, fu anche danneggiata dalla crittogama, contro la quale gli abitanti rinunziarono a lottare. Sono ancora da ricordare il sesamo, il lino e il sommacco.
I boschi costituiscono una notevole risorsa per l'Albania. Nella regione marittima dell'Albania settentrionale, fra Drin e Arzen, come pure nelle zone collinose retrostanti, p. es. fra Croia e Alessio, fra Tirana e Elbasan, prevalgono i latifogli (quercia, cerro, olmo, frassino); nelle montagne del N. e NE. prevale invece il faggio, misto talora col pino, l'abete e il larice; le vastissime foreste della Mirdizia sono costituite in basso da querce, più su da faggi, e nelle regioni più elevate quasi esclusivamente da abeti. Una menzione speciale merita il noce, che non manca mai nei latifondi dell'Albania settentrionale. Nell'Albania centrale boschi folti coprono ancora le pendici del Tomorr e degli altri gruppi più orientali; nell'Albania meridionale il bosco è ormai più raro. Il legname è finora esportato in piccola misura in confronto alla ricchezza dei boschi, e quasi solo per opera di imprese italiane (Soc. italiana delle foreste albanesi); in maggior misura si esporta il carbone (in Italia, in Grecia, in Dalmazia).
Ai limitati bisogni della alimentazione degli abitanti provvede, in misura assai larga, anche l'allevamento del bestiame, che si esercita, come già fu accennato, da pastori seminomadi, migranti periodicamente dalle sedi estive di montagna alle sedi invernali della Musacchia e delle altre pianure litoranee. Sul numero dei capi di bestiame si hanno finora solo stime grossolane. Certo hanno il primo posto le pecore (forse un milione e mezzo), delle quali si utilizza largamente la lana, e inoltre il latte per la fabbricazione del formaggio, che entra in larga misura nell'alimentazione dei montanari. Sono pregiati i formaggi della tribù dei Klementi, quelli di Kavajë, quelli dell'altopiano di Kurvelesh; nell'Albania meridionale, e soprattutto nella provincia di Argirocastro, per influenza dell'Italia, il caseificio ha fatto notevoli progressi e sono sorte anche latterie sociali. L'esportazione del formaggio raggiunse i 445.00 fr. oro nel 1922; quella della lana, ben più rilevante, si ragguagliava nel 1922 a 385.000 fr. oro, nel 1924 a 691.000, nel 1925 a 1.232.000, nel 1926 a 668.000. Ma anche i bovini sono numerosi (forse 300.000 capi) specialmente nella Musacchia; e, sebbene le condizioni dell'allevamento siano assai arretrate, l'esportazione delle pelli raggiunge cifre rilevanti (oltre 1.420.000 fr. oro in ciascuno degli anni 1924, 1925 e 1926, comprese però le pelli di pecora). Cavalli e muli sono in buon numero nel mezzogiorno (forse 70-80.000 capi); per l'allevamento di essi ha il primato la regione di Delvino. Si ha anche una piccola esportazione di bestiame vivo, con tendenza ad un aumento negli ultimi anni. Di grande importanza è poi il pollame, che si alleva ovunque: le uova sono anzi il prodotto di esportazione più importante (circa 300.000 fr. oro nel 1922), dopo quelli, di cui s'è detto, forniti dagli ovini.
È nota da tempo remoto la grande pescosità dei fiumi e dei laghi costieri dell'Albania, ma l'industria della pesca ha avuto finora - tranne forse nel periodo della dominazione veneta - un'importanza del tutto secondaria. Cefali, spigole, sogliole, orate, branzini, scoranze (Alburnus scoranza, pesce che appare in grandi branchi d'inverno) vengono pescati soprattutto tra la seconda metà dell'autunno e il principio della primavera, ed inviati nei mercati delle principali città albanesi; anche pescatori di Brindisi e di Bari ne incettano in qualche misura. Notevoli esperimenti per lo sviluppo della pesca in Albania furono iniziati dall'Italia nel 1913 e vengono ora ripresi. Anche il lago di Butrinto e quelli interni di Scutari e di Ochrida sono ricchi di pesce.
Un' esplorazione sistematica delle ricchezze minerarie dell'Albania non fu ancora eseguita: taluni prodotti, certamente sfruttati nell'antichità - soprattutto l'argento di cui alcune miniere erano ancora aperte nel 1600 -, non sono stati finora ritrovati, altri sono poco più che indiziari. Attualmente gl'idrocarburi, sia solidi (asfalto, bitume) sia liquidi (petrolî), sono i prodotti che sembrano destinati ad un maggiore avvenire. Prima ad essere sfruttata (dal 1875) fu la zona bituminosa di Selenica, a qualche ora da Valona; la concessione, già fatta dai Turchi ad una società francese, dava, prima della guerra, su un'area di 650 ettari, circa 6000 tonnellate annue di asfalti e bitumi, esportati a Trieste, Marsiglia, Amburgo, ecc.; ora essa è in mano della Società italiana delle miniere di Selenizza (costituita nel 1918 con sede a Roma) che ne estrae per circa 5500 tonn. annue. Altre località bituminifere - in generale sotto forma di impregnazioni dell'arenaria neogenica - sono segnalate nella Malakastra, sulla sinistra del Devoll a nord di Berat e anche nel Mal'i Çikës (nella dolomia).
Zone petrolifere sono state segnalate in più parti della fascia subcostiera e in una striscia interna che da Scutari si stende, in senso meridiano, fin verso Delvino, ed ancora al margine meridionale della conca di Còrizza; dal 1922 datano le richieste di concessioni da parte di società italiane, francesi, inglesi, americane, ma esse ebbero esito solo a partire dal 1925. Finora furono fatte concessioni in prima linea alle Ferrovie dello stato italiano (ha.47.213 nel 1925 e 116.850 nel 1926; zone alle spalle di Valona e al margine della Musacchia), inoltre all'Anglo-Persian Oil Co. (ha. 34.412 nella Malakastra), al Syndicat Franco-Albanais (118.193 ha.), alla Standard Oil Co. (ha. 51.000). Ovunque si è per ora soltanto nel periodo delle prime trivellazioni di assaggio.
Ligniti oligoceniche sono state segnalate in banchi di marne nel Mal'i Morovës, massiccio che separa la conca di Còrizza dall'alto Devoll; lo stesso orizzonte si continua sul versante O. della piana di Starova e del lago di Ochrida e sui due versanti della Mokrë; anche le ligniti del Kurvelesh a 50 km. da Tepeleni, che sembrano di ottima qualità (49% di carbone) e sono comprese nelle marne nel flysch, rappresentano forse lo stesso livello. Ligniti più recenti si trovano al passo di Krabë, tra Elbasan e Tirana, e sul versante est dell'altipiano di Tirana; poi nella regione di Skrapari e nel bacino di Kolonjë. Giacimenti di carbon fossile vero e proprio, di spessore sicuramente utilizzabile, non sono stati finora segnalati.
Tra i giacimenti di minerali metallici, uno dei più notevoli è quello di Puka ad E. di Scutari (rame e secondariamente arsenico, ossido di ferro), esplorato da studiosi italiani e attualmente sfruttato dal Sindacato miniere di Puka. Altri giacimenti cupriferi si hanno alle sorgenti del Fan'i vogël. In questa stessa regione e particolarmente ai piedi del Munela, il Nowack ha scoperto giacimenti di pirite, di grande entità, ma situati in località finora male accessibile; nello stesso bacino, a SE. di Scutari, si hanno anche giacimenti di minerali ferriferi. Minerali di cromo sono stati segnalati a Juban nel circondario di Scutari, nell'alto Devoll presso la sponda S. del lago di Ochrida e altrove; nel bacino di Còrizza anche asbesto e minerali di rame (piriti anche aurifere). Si aggiungano infine i giacimenti gessiferi del Miocene, a N. di Valona, presso Kavaje e altrove, le argille a caolino e altre argille per mattoni e marne da cemento, e le vaste saline (Valona, Durazzo, foce del Semeni, ecc.). Anche le sorgenti termali e minerali sono frequenti: le più note sono quelle termali solforose di Peshkopijë, di Llixha a sud di Elbasan (temp. 60° circa), di Banja ad est di Premeti, tutte utilizzate localmente per bagni.
Le risorse minerarie dell'Albania sono dunque apparentemente assai varie, ma debbono essere in ogni caso meglio accertate; per il loro razionale sfruttamento sono poi necessarî mezzi di comunicazione adeguati, impianti e macchinarî, mano d'opera specializzata, notevoli capitali; elementi tutti che finora non abbondano. Molte tra le iniziative recenti si debbono ad imprese italiane.
Industrie. Commercio. Comunicazioni, ecc. - Le stesse ragioni testé accennate spiegano lo scarso sviluppo delle industrie vere e proprie nel paese. Al di fuori di quelle strettamente connesse con l'agricoltura, già ricordate (caseificio, oleificio), e di qualche altra (paste alimentari), si possono ricordare la fabbricazione delle sigarette (Scutari, Durazzo), quella delle terrecotte (Kavajë) e la più recente industria della stamperia (Tirana). Le vecchie industrie domestiche (lavori d'argento e d'oro, fabbricazione di drappi contesti d'oro, intagli in legno, ecc.) sono emigrate fuori dei confini dell'attuale stato (come l'oreficeria, accentrata a Prizren, ecc.), ovvero sono decadute, e decaduto è anche il setificio in Scutari, che era già un centro di esportazione della seta, importante per tutta la parte occidentale della Penisola balcanica.
Per un futuro sviluppo industriale l'Albania potrebbe contare - come compenso alla scarsezza di combustibili fossili - su notevoli riserve di energia idraulica. Esse sono invero, in mancanza di osservazioni e indagini sistematiche, diversamente valutate; da 25 a 40.000 HP per il fiume Devoll, da 10 a 20.000 per il Drin, circa 5000 ciascuno per lo Shkumbî e l'Arzen. Manca finora anche un principio di utilizzazione.
Il carattere montuoso del terreno e la conseguente difficoltà di passare dall'una all'altra delle maggiori valli trasversali, la vita isolata che, almeno fino a pochi anni addietro, menavano alcune popolazioni dell'Albania, segregate nei loro cantoni chiusi, spiegano come il traffico interno nell'Albania sia tuttora ben poco sviluppato. Mentre il paese non ha finora nessuna ferrovia (sono tuttavia in corso, a cura della Società italiana SVEA, i lavori del breve tronco che dovrà congiungere Tirana con il suo porto Durazzo), esso si va dotando solo adesso di una notevole rete di vie rotabili. Durante la guerra, una buona rete stradale fu costruita dall'Italia nell'Albania meridionale, mentre nell'Albania settentrionale l'Austria effettuava il congiungimento stradale di Durazzo e di Tirana con Scutari e col confine montenegrino. Nel 1922 le rotabili costruite sommavano a 920 km. Il programma formulato nel 1921 dal governo albanese contempla 2300 km. di strade, dei quali circa 400 furono costruiti fra il 1923 e il 1927; tutte le rotabili finora costruite sono indicate nella carta annessa. Fra le strade del mezzogiorno, di costruzione italiana, principale è la magnifica strada che dal porto di Santi Quaranta, per Delvino, raggiunge il confine greco al fiume Dhrino e dopo breve percorso in territorio greco rientra nell'Albania a Perat, tocca Leskovik e di qui si spinge fino a Còrizza; ad essa è collegata anche Valona per la via che risale la Voiussa fino a Tepeleni e poi si biforca da un lato per Argirocastro, dall'altro per Prëmet. A Prëmet si giunge anche da Berat per una via che sormonta lo spartiacque tra Osum e Voiussa inerpicandosi fino a 1000 m. Un'altra grande strada, costruita dagli Italiani durante la guerra e ricca di opere d'arte, congiunge Valona direttamente con Santi Quaranta attraverso la Chimara. Còrizza è unita a Pogradec sul lago di Ochrida, per una strada che tra breve sarà prolungata fino a Elbasan. Nel N. le arterie più importanti sono quelle che uniscono Scutari con Croia e con Tirana, Tirana con Durazzo, e, per Kavajë e la valle dello Shkumbî, anche con Elbasan. Scutari è anche unito da rotabile alla zona mineraria di Puka, a S. Giovanni di Medua e al confine montenegrino. I due gruppi di strade ora ricordati sono collegati, attraverso l'Albania centrale, solo dalla lunga strada che da Kavajë per Lushnjë conduce a Berat e per Fieri a Valona. In queste strade il traffico con automezzi si fa di anno in anno più attivo, ma ciò nondimeno le relazioni fra il nord e il sud dell'Albania sono ancora scarse e lente e ciò spiega come ad es. da Valona si esporti olio in Italia, mentre Scutari ne deve importare; il contrario accade per le pelli. Il traffico con muli per gli erti e tortuosi sentieri di montagna, quello con carri trainati da buoi o da bufali, in pianura, hanno ancora notevole diffusione. Al movimento rapido dei viaggiatori serve oggi il servizio aereo Tirana-Scutari, Tirana-Valona e Tirana-Còrizza (ore 2) affidato alla Società italiana SVEA, che esercita del pari la linea Brindisi-Tirana. L'Albania ha circa 2200 km. di rete telegrafica e 75 uffici postali e telegrafici, oltre ad una stazione radiotelegrafica a Tirana.
Il commercio con l'estero dimostra che, se l'Albania è ancora lontana dall'aver raggiunto un'organizzazione economica stabile, essa è peraltro sulla via di una decisa ascensione. Infatti nel 1920 - il primo anno pel quale si hanno statistiche attendibili - le esportazioni sommavano a 1.522.000 fr. oro, le importazioni a 17.533.000, con una percentuale delle prime sulle seconde inferiore al 9%; nel 1925, le esportazioni erano salite a 17.123.000 fr. oro, le importazioni a 21.800.000 con una percentuale superiore al 78%; nel 1926 le cifre relative erano 11.964.000 fr. oro, e 24.564.000 fr. oro: il peggioramento è dovuto al cattivo raccolto oleario. Come si è già detto, l'Albania esporta anzitutto olive e olio, e nelle annate buone anche mais e talora grano; ma le esportazioni sono influenzate dalle fortissime oscillazioni nei raccolti da un anno all'altro, onde ad es. in annate cattive si debbono importare anche i cereali. In migliori condizioni è l'esportazione dei prodotti dell'allevamento - bestiame vivo (circa 2.700.000 fr. oro nel 1925), lana, pelli, uova, carne, formaggi (poco meno di 6 1/2 milioni di fr. oro nel 1923) - assai meno soggetti ad oscillazioni. Questi sono in fatto i prodotti che dànno agli abitanti i mezzi più sicuri per l'acquisto dei generi mancanti in paese; il che dà la misura dell'importanza che ha l'allevamento nell'economia generale. Si debbono importare soprattutto generi alimentari, come zucchero, caffè ed altri coloniali (circa 3 1/2 milioni di fr. oro), inoltre riso ed anche altri cereali, giacchè, come si è già accennato, una parte dei prodotti del sud preferisce dirigersi all'estero, anziché andare a colmare i bisogni del nord, finché duri la difficoltà delle comunicazioni interne; tuttavia l'importazione dei prodotti agricoli in genere diminuisce di anno in anno. Ma soprattutto si importano oggetti manifatturati: tessuti (in prima linea cotonate: oltre 6 1/2 milioni di fr. oro negli ultimi anni; lanerie e seterie seguono a grande distanza), vetrerie, porcellane, metalli e oggetti metallici, macchine e utensili, carta, ecc. Alla testa del commercio estero sta di gran lunga l'Italia, che assorbe oltre il 75% delle importazioni e il 50-55% delle esportazioni (1925-26). A grande distanza vengono la Grecia, la Iugoslavia, l'Inghilterra; il traffico con la Francia, la Bulgaria, la Turchia, ecc. è quasi insignificante. I porti di maggior movimento sono, in ordine decrescente: Durazzo, Santi Quaranta e Valona; hanno anche qualche importanza S. Giovanni di Medua e Porto Palermo (vedi per ciascuno sotto le rispettive voci).
I servizî marittimi con l'Albania sono esercitati dall'Italia. Vi sono per ora una linea diretta Bari-Durazzo bisettimanale (12 ore) e due linee costiere, delle quali l'una tocca gli scali di Antivari, S. Giovanni di Medua, Durazzo e Valona per far capo a Brindisi; l'altra collega gli stessi porti albanesi ed anche quello più meridionale di Santi Quaranta, da un lato con l'alto Adriatico, dall'altro con Bari e Corfù. Le linee sono esercitate dalla società di navigazione "Puglia", la quale effettua anche, con speciali battelli a vapore la navigazione sulla Boiana, dalla foce a Scutari (23 miglia).
L'Albania acquisterebbe notevole importanza come paese di transito del commercio balcanico il giorno in cui fossero costruite ferrovie trasversali, congiungenti i suoi porti con la regione dei laghi di Ochrida e Prespa, regione che è in facile collegamento con Salonicco e la Balcania di SE. Due di queste linee furono soprattutto proposte: una da Durazzo per Elbasan e la valle dello Shkumbî, e l'altra da Valona, o da Santi Quaranta per il bacino di Còrizza. Quest'ultima, che avrebbe anche il vantaggio di attraversare alcune delle regioni più produttive del paese, dovrebbe essere, in un più vicino avvenire, preferita. Più difficile appare, se non altro per ragioni tecniche, il collegamento di Scutari e della valle del Drin con la rete ferroviaria iugoslava.
La circolazione monetaria è affidata alla Banca nazionale di Albania fondata il 2 settembre 1925 a Roma, con un capitale di 12 milioni e mezzo di franchi oro, in gran parte fornito da istituti di credito italiani; tale banca è l'unica autorizzata all'emissione di banconote e di monete, esercita il servizio di tesoreria per conto del governo e in genere tutte le operazioni di banca; ha pertanto una funzione rilevantissima nel campo economico e giuridico. La moneta in corso è il franco oro albanese (gr. 0,2903 di oro fino), che si divide in cinque lek; esso è regolarmente quotato nelle borse di Trieste e di Milano ed è trattato anche in talune piazze estere.
Le altre misure in corso in Albania (lineari, di superficie, di peso, ecc.) sono basate sul sistema metrico.
Densità di popolazione. Centri abitati. - La densità media della popolazione dell'Albania (30 ab. per kmq.; v. tabella qui sotto) è all'incirca quella dei paesi montuosi della Penisola Balcanica; ma, poiché in realtà nella regione albanese si alternano aree di alte terre, ampie vallate e altipiani, pianure costiere, ecc., territorî insomma di diverso valore economico, anche la densità assume valori molto diversi e talora assai lontani dalla media; infatti in un paese come questo, dove l'industria è scarsa e povero il commercio, la densità dà in sostanza la misura della utilizzazione agricola del suolo. E così troviamo in prima linea l'ampia conca di Còrizza, cioè il distretto meglio coltivato dell'Albania, dove la popolazione si addensa fin quasi a raggiungere - esempio unico - i 100 ab. per kmq. Nella fertile regione intorno al lago di Scutari, e sulla destra del basso Drin, si verificano, in minor grado, le stesse condizioni, mentre un po' al disotto sta la zona di bassopiano, pur assai intensamente coltivata intorno a Durazzo e più a S. fino allo Shkumbî. In tutti questi casi - o almeno nei primi due - influisce anche sugli alti valori della densità, la presenza di grossi centri urbani, i maggiori dell'Albania. Vengono poi alcune vallate interne, come l'alto Devoll e la Morova, che si possono considerare come appendici della zona di Còrizza; la conca di Argirocastro, la regione intorno al lago di Ochrida, ecc.; più indietro, ma ancora al disopra della media, sono l'alta valle del Drin, la conca di Tirana, la regione collinosa alle spalle di Valona. La regione fra il basso Shkumbî e la Voiussa è per contro al disotto della media, ma ciò è dovuto soprattutto allo spopolamento della pianura litoranea (Musacchia), perché la zona collinosa è invece più fitta di popolazione. Le aree più spopolate sono naturalmente quelle di montagna, specialmente al N., ma anche nel centro (Tomorr) e a SE., al confine greco.
In tutta l'Albania settentrionale e centrale prevale l'abitazione dispersa, ma tuttavia la casa assolutamente isolata in campagna è molto rara; nelle zone di collina dell'Albania centrale s'incontrano masserie abbastanza isolate, che consistono di quattro o cinque edifici, recinti da un'unica siepe e alberganti, come si è visto, una "grande famiglia". Il villaggio albanese è quasi sempre molto sparso, sia in pianura che in montagna, perché ogni casa o masseria ha intorno a sé zone coltivate o alberate; nell'Albania del N., cristiana, serve da luogo di ritrovo la chiesa, posta spesso in posizione eminente, visibile da lontano; altrove il centro è una grossa kulla o la moschea. Nella pianura di Còrizza e nelle regioni circostanti i villaggi sono invece piccolissimi e molto ravvicinati l'uno all'altro.
Veri e proprî villaggi ammassati si trovano qua e là sulle prime colline prospicienti la Musacchia, ma soprattutto nelle vallate del sud, di solito però sempre un po' in alto sulle pendici fiancheggianti la valle. Anche alcuni dei centri che cominciano ad avere aspetto cittadino constano di dimore o gruppi di dimore, separate da aree messe a coltura (Croia, Lushnjë). La capitale attuale dell'Albania, Tirana, in una piana ben coltivata, a 120 m. di altezza, contava circa 12.000 ab. nel 1923, ma da un decennio si sviluppa rapidamente con fisionomia del tutto moderna e forse oggi si avvicina a 20.000 ab.; deve alla sua posizione centrale di esser stata scelta a sede del governo (v. tirana). Il suo porto, che oggi viene reso più adatto alle moderne esigenze, è Durazzo (5000 ab.), cui è legata da una buona strada rotabile, e tra breve da ferrovia (v. durazzo). Il maggior centro dell'Albania settentrionale è Scutari (v.) sulla piana a S. del lago, che tuttavia le vicende della guerra e più il sorgere di Tirana hanno molto danneggiato, sicché oggi, con 23.000 abitanti circa, non è che un'ombra della passata grandezza. Il suo porto è S. Giovanni di Medua (v.), in una rada a N. della foce del Drin, ma navi di piccola pescagione possono, come si è già detto, avvicinarsi di più a Scutari, risalendo la Boiana fino a Oboti e talora fino al lago stesso. Alessio (v.), a 20 km. dalla foce del Drin, ha invece perduto quasi ogni importanza. Croia (v.), la città di Scanderbeg (circa 4000 ab.), è nell'interno, in magnifica posizione sulle colline (m. 603 di altezza) che fiancheggiano a destra la valle del Mati. Anche Oroshi (1200 ab.), il capoluogo della Mirdizia, è in collina (537 m.), sulla sinistra del Fani, e ancor più alta è Puka (860 m. sul mare) che comincia ad avere qualche importanza come località mineraria. In un'alta conca solcata dall'alto Drin è Peshkopijë, cittadina molto sparsa. Del resto non vi sono, nell'Albania settentrionale interna, altri centri urbani di qualche importanza.
Sul medio Shkumbî, che divide l'Albania ghega dalla tòsca, è Elbasan (10.500 ab.: v.), in mezzo ad una regione ben coltivata, notevole mercato agricolo. La regione sublitoranea dell'Albania centrale ha alcuni altri centri, nei quali affluisce il traffico locale, sì che vanno assumendo fisionomia urbana: Kavajë (5550 ab.), nella pianura ben coltivata (tabacco) a SE. di Durazzo, con un bazar frequentato, notevole anche per l'industria delle terraglie; Peqin (1700 ab.) su un passo dello Shkumbî; Lushnjë (1700 ab.) in collina, centro agricolo principale del territorio, ricco di villaggi e masserie, tra lo Shkumbî e il Semeni; Fieri (1500 ab.), centro principale e mercato granario della Musacchia inferiore. Sulla destra dell'Osum, sulle pendici di una collina calcarea sormontata da una grossa cittadella, è Berat (9000 ab.: v.). La città più popolata di tutta l'Albania (23.500 ab.) è attualmente Còrizza (alb. Korça), a 853 m. di altezza, al centro dell'area più intensamente coltivata e più fittamente abitata di tutto il paese (v. còrizza); essa ha in qualche modo ereditato l'importanza di Moskopole (Voskopoj) posta in montagna (1150 m.) più a NE., già metropoli dei Valacchi, che si vuole contasse 60.000 ab. nel sec. XVIII, quando era centro di studî e di culto, con una diecina di chiese; essa andò distrutta in seguito ad incendî, l'ultimo dei quali nel 1916 finì di radere al suolo gli edifici superstiti; solo il monastero di San Prodromo è rimasto in piedi.
Sulla sponda meridionale del lago di Ochrida si trova, in territorio albanese, Pogradec (2500 ab.), cittadina recente e pulita, sviluppatasi, ai piedi del nucleo più antico di Gorrica, lungo il lago, e legata oggi da regolare navigazione a vapore con Ochrida. I centri del bacino della Voiussa hanno in genere notevolmente sofferto durante la guerra mondiale ed anche negli anni precedenti. Tepeleni (v.) andò, si può dire, interamente distrutta, Leskovik non è più che un villaggio di 900-1000 ab.; Premeti (Prëmet; v.) è invece ancora una cittadina di oltre 3000 ab. Ma la regione più fertile è costituita, come si è già visto, dall'ampia conca del Dhrino, ove è Argirocastro, in albanese Gjinokastrë (circa 9000 ab.; v.); nella stessa conca più a SE. è Libohov (2500 ab.). Lo sbocco marittimo della valle della Voiussa è Valona (circa 6000 ab.), a quattro chilometri dal mare, ove il suo scalo viene crescendo d'importanza (v. valona); ma come sbocco dei distretti meridionali, ed anche della zona di Argirocastro, le fa concorrenza il piccolo porto di Santi Quaranta (500 ab.) da cui parte la rotabile, costruita dagli Italiani, che conduce a Còrizza (v. santi quaranta); alle sue spalle, nell'interno, è Delvino (3800 ab.).
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Carte. Le migliori carte attualmente esistenti di tutta l'Albania geografica e geologica, sono quelle al 200.000 pubblicate nel 1928.
Esercito. - L'Albania, da poco tempo assurta a stato indipendente, non ha potuto ancora organizzare convenientemente le proprie forze armate. Solo da qualche anno, sotto l'impulso di Ahmed Zogu, si è iniziata la costituzione di un vero e proprio esercito regolare.
Il comandante supremo è il re, il quale, però, è coadiuvato dal segretario per le forze armate e dal capo di stato maggiore dell'esercito.
Il reclutamento è obbligatorio: regionale per la fanteria, nazionale per i mitraglieri e l'artiglieria.
Gli obblighi militari vanno dal 18° al 50° anno di età. La ferma è di 18 mesi.
Le unità dell'esercito albanese sono costituite da:
i battaglione della guardia reale;
9 battaglioni di fanteria;
i battaglione misto;
9 batterie someggiate, da 70, su 4 pezzi;
i compagnia mista di pionieri con autoparco ed officina;
5 battaglioni di gendarmeria, formati con mercenarî.
Ogni battaglione comprende 3 compagnie di fucilieri e 1 di mitragliatrici; il battaglione misto ha in più una batteria someggiata da 75 su 3 pezzi. Il battaglione della guardia è formato da volontarî; 5 degli 11 battaglioni di fanteria sono costituiti con riservisti (la forza delle compagnie va dai 120 ai 150 uomini).
Il bilancio annuo per l'esercito si aggira intorno agli undici milioni di franchi-oro.
Istruzione. - Secondo dati ufficiali dell'anno scolastico 1926-27, in Albania esistono 552 scuole pubbliche con 28.514 alunni e 929 insegnanti, e 89 scuole private con 2892 alunni e 122 insegnanti. Le scuole si dividono in elementari e medie. Le elementari hanno un primo corso obbligatorio di quattro anni e un corso integrativo di due anni per coloro che vogliono iscriversi alle scuole medie. Le scuole medie, che sono in tutto quattordici, delle quali tre femminili, sono parte di tipo tedesco e parte di tipo francese: si dividono in ginnasî, ginnasî licei, scuole tecniche e scuole normali.
Non esiste insegnamento universitario, e gli studenti che hanno intenzione di proseguire negli studî debbono trasferirsi in università straniere. Numerosi studenti sono iscritti negli istituti superiori italiani. A causa delle disagiate condizioni economiche della maggior parte degli studenti universitarî, il governo albanese contribuisce al mantenimento di essi mediante 156 borse di studio. Anche per le scuole albanesi (elementari e medie) si provvede, con relativa larghezza, agli alunni più bisognosi (1124 borse di studio).
Preistoria e Storia.
Preistoria. - Le ricerche preistoriche in Albania sono ancora ai loro inizî: alcuni risultati scientifici sono stati ora raggiunti dalla Missione archeologica italiana. Nell'Albania settentrionale sono stati ritrovati mazzuoli litici, con foro, e scuri di rame puro e di bronzo, provvedute di un occhio per l'immanicatura. Anche gli scavi eseguiti nel 1926, entro l'acropoli di Feniki, hanno ridato alla luce oggetti litici, i quali costituiscono il primo gruppo di materiale preistorico sicuramente uscito dal sottosuolo albanese. Gli oggetti litici sono ascrivibili all'età del bronzo; quelli metallici possono raggiungere anche la prima età del ferro. Degno di nota è il fatto che, tanto gli uni quanto gli altri, sono piuttosto da ravvicinare al consimile materiale uscito dal suolo dell'Italia meridionale, anziché a quello delle regioni terrestri confinanti con l'Albania: onde si può argomentare che fin dall'età del bronzo le relazioni tra le due sponde del basso Adriatico fossero intense.
L'età protostorica si presenta un po' incerta, perché, allo stato odierno delle scoperte archeologiche, in Albania si è rinvenuto un materiale che è di tipo protostorico, ma è stato costruito ed usato anche in età storica. La necropoli di Komani, nel distretto di Scutari, ha restituito una suppellettile funeraria di carattere protostorico (forse illirico) ma alcune tombe sono per lo meno del sec. IV d. C., come attesta la presenza in esse di monete di Costantino. All'età protostorica si riferiscono le leggende riportate dagli autori classici circa migrazioni etniche dall'antica Albania (Illiria meridionale) alle coste italiche della penisola salentina, abitate da Messapî, Peucezî e Iapigi (Plinio, Nat. Hist., III, 102).
Per la storia dell'Albania nell'epoca classica, e in particolare sotto il dominio romano, v. illirî, illirico e epiro.
Bibl.: L. M. Ugolini, Albania antica, i, Ricerche archeologiche, Roma 1927, di cui cfr. l'Appendice bibliografica.
Storia medievale e moderna. - Dopo la suddivisione definitiva dell'Impero romano in parte orientale e parte occidentale, la regione chiamata oggi Albania e allora, invece, distinta in Praevalitana (tra le bocche di Cattaro e lo Shkumbî) ed Epirus nova, fino a sud del golfo di Valona, passò alle dipendenze di Bisanzio, mentre la Dalmazia, dalle bocche di Cattaro in su, rimaneva all'Occidente. Ma se nominalmente la regione rientrava nell'orbita d'azione del governo bizantino, di fatto rimase, nel corso di secoli, divisa in piccole signorie locali, o unita agli stati serbi e bulgari sorti nel seno stesso dell'impero bizantino, o aggregata ai dominî veneziani e a quelli degli Angioini di Napoli. Giacché, attraverso ad essa, da una parte gli staterelli balcanici cercavano di raggiungere l'Adriatico; dall'altra, Venezia e i re di Napoli tendevano a mantenere il possesso della costa orientale dell'Adriatico e del canale di Otranto, necessario per ragioni di commercio con l'Oriente e per ragioni militari di difesa. Durante il sec. V, predominano sull'Albania i Goti: nel 493 troviamo un re goto, Ostrojla, che si proclama re della Prevalitana. Riconquistate nel 535 da Giustiniano e ricongiunte così, di fatto, all'Impero bizantino, le regioni oggi albanesi furono poco dipoi nuovamente sommerse da altre ondate di popoli barbarici. Vi fu un successivo affluire e defluirc di Ungari, Bulgari, Avari; ma più pericolose di tutte furono le incursioni slave. Già sulla fine del secolo VI, signoreggiava sulla Prevalitana lo slavo Rutomir, noto per aver perseguitato i cristiani. Il dominio della sua famiglia venne troncato nel 619 da un'invasione di Avari; ma la pressione slava si fece avvertire assai più pericolosamente poco più tardi, quando, nel 636, i Serbi vennero chiamati nelle regioni medio-danubiane dallo stesso imperatore Eraclio, che volle opporli agli Avari. Si formarono allora parecchi principati serbi, nominalmente sottoposti all'impero di Bisanzio, in realtà quasi indipendenti: importanti, quelli di Zalhum, Travunija, Konavlie e Dioklitija (odierno Montenegro, bassa Erzegovina, Dalmazia), mentre altri minori stanziamenti avvenivano nella Prevalitana. La signoria bizantina sull'Albania rimaneva, quindi, limitata alle coste, divise in due parti: quella epirota e albanese meridionale, compresa nel thema di Nikopolis; quella albanese centro-settentrionale, da Valona fino a Cattaro, compresa nel thema di Dyrrachion. Ma, dopo altre vicende, una più ampia formazione statale doveva assorbire le minori unità: lo zar dei Bulgari Simeone il Grande si assicurava, nel 917, il definitivo possesso di tutta l'Albania centro-meridionale, ad eccezione delle coste che rimanevano a Bisanzio. E prima sotto il regno propriamente bulgaro, poi sotto quello macedonico o "bulgaro dell'ovest" (S. Gopčević, Geschichte von Montenegro u. Albanien, Gotha 1914, p. 15), l'Albania rimase fino al 1019, per ritornare poi ancora alle dirette dipendenze di Bisanzio.
Il sec. XI doveva segnare un momento decisivo nella storia albanese. Il nome stesso di Albania era adoperato dagli scrittori bizantini, e anche conosciuto nell'Occidente a partire da quest'età. Ma soprattutto era importante il riavvicinamento tra la regione e l'occidente. Ché, se da una parte le tribù tosche dell'Albania meridionale aderivano allo scisma d'Oriente, per altro verso si venivano riprendendo i legami con l'Europa occidentale, e precisamente con l'Italia. S'intensificavano i rapporti commerciali con le repubbliche marinare di Venezia e di Amalfi: gli Amalfitani giunsero a fondare una loro piccola signoria a Durazzo, e i Veneziani a stabilire municipalità a Scutari e ad Alessio. E, d'altra parte, si avanzavano i Normanni, i quali, assicurato il loro dominio nell'Italia del Mezzogiorno, intervenivano in Albania in virtù dei legami di parentela stretti da Roberto Guiscardo con l'imperatore Michele Duca. Il dominio del Guiscardo si estese allora fino a Kastoria, Giannina e Skoplje (v. roberto il Guiscardo). Ma, contro di lui, Alessio Comneno, successo al Duca sul trono di Bisanzio, ricorreva all'aiuto di Venezia; e il Guiscardo, perdute già quasi tutte le provincie albanesi, moriva di pestilenza durante l'assedio di Cefalonia (1085). Manuele Comneno (1143-1180) riusciva poi a rioccupare anche la città di Durazzo, presa nel 1110 dai Serbi. Ma se il tentativo del Guiscardo era in ultimo fallito, esso tuttavia segnava l'inizio di un'azione politica che venne continuata per secoli: da allora, infatti, i sovrani di Napoli, a qualunque dinastia appartenessero (normanni, svevi, angioini), proseguirono una politica albanese che ebbe per effetto di rendere sempre più forti e continui i legami, politici, economici e morali, dell'Albania con l'Italia.
Se dal sud dell'Italia si allacciavano in quel periodo i primi legami con la terra d'Albania, dal nord, per opera di Venezia, si continuava a svolgere una politica di penetrazione sempre più netta. Secondo una tradizione albanese, a Venezia sarebbe dovuta l'introduzione dell'ulivo in Albania: certo, la Serenissima, anche attraverso Ragusa, grande emporio della costa orientale dell'Adriatico e altresì centro di vita cultural-morale (attorno a quella diocesi si raccoglieva la costa dalmato-montenegrina; nel 1022 il vescovado di Antivari fu aggregato all'arcivescovado di Ragusa), operò fortemente sulla storia albanese. Il momento in cui l'influsso della repubblica di S. Marco si fece maggiormente e più direttamente avvertire fu l'inizio del sec. XIII.
La quarta crociata, come è noto, anziché compiere la proclamata liberazione del Santo Sepolcro, si indugiò a riconquistare Zara ai Veneziani e a costituire in Costantinopoli l'Impero feudale latino di Baldovino: e a Venezia veniva dato il possesso nominale su tutta l'Albania e l'Epiro. Ma, mentre il marchese di Monferrato diveniva re di Tessalonica e delle terre macedoni, sorgevano anche nelle regioni albanesi varie signorie feudali che, strette intorno a Michele Angelo Comneno, impedirono a Venezia di prendere effettivo possesso di tutto ciò che, dopo la presa di Costantinopoli, le era stato assegnato. Venezia occupò Corfù, la città e la provincia di Durazzo; ma non poté ottenere dall'Epiro, ove Michele Angelo Comneno s'era creato despota, se non un modesto tributo ed il riconoscimento della sua alta sovranità feudale, la quale fu riconosciuta anche dal principe serbo Dimitrios di Arbanum (Croia?). Da tutti i suoi nuovi possedimenti d'Albania, compresa Corfù, Venezia di lì a poco doveva essere allontanata dalle vittorie del despota d'Epiro, Teodoro Angelo, successo nel 1214 all'assassinato fratello Michele.
Ma su tutta questa fioritura di signorie feudali, legate alla storia cavalleresca delle crociate, e sulle quotidiane contese per il possesso delle più importanti stazioni commerciali, si sovrapponeva nel 1230 la conquista dello zar bulgaro Giovanni Asján II che, fatto prigioniero e acciecato Teodoro, portava il secondo impero bulgaro fino all'Adriatico. Se non che anch'esso poi, assalito contemporaneamente da Bizantini, Serbi, Ungheresi, Tartari e dagli Epiroti di Marcello Angelo, fratello di Teodoro, che aveva conservato una parte della sua despotia, vedeva distrutto il suo impero, le cui provincie occidentali passavano ai re serbi della Rascia che dominavano già alcune pianure dell'Albania settentrionale. Sulle rovine del secondo impero bulgaro si elevava così la signoria dei re serbi, destinata a raggiungere il suo massimo splendore con Stefano Dušan (1331-1355), che assunse il nome di zar dei Serbi, dei Greci, dei Bulgari e degli Albanesi (1346). Il dominio dei Serbi sull'Albania tuttavia non fu mai completo.
Nel 1259 Valona, Kanina, Berat, Durazzo e Corfù, vale a dire quasi tutta l'Albania centrale e meridionale, rimaste fino allora in possesso della famiglia Angelo, erano passate a Manfredi di Svevia in dote della di lui moglie Elena Angelo. Ucciso poi Manfredi nella battaglia di Benevento del 1266, Carlo d'Angiò volle prender possesso dei dominî albanesi della casa sveva di Napoli; ma incontrò la fiera opposizione di Michele Angelo II. Morto però quest'ultimo, il figlio di lui, Niceforo, cedeva all'Angiò, nel 1272, Durazzo, distrutta nel 1274 dal terremoto, saccheggiata dalle vicine popolazioni e per 4 anni abbandonata, la quale pertanto cominciò a decadere dal passato splendore. Nel 1273, Niceforo abbandonava al re angioino anche Berat; nel 1279, riconosceva per tutta la sua despotia d'Epiro l'alta sovranità dei re delle Due Sicilie. Contro di questi lottarono dunque i re serbi di Rascia; e fino all'avvento dello zar Dušan, si susseguirono con alterna vicenda le lotte fra l'angioino Filippo, principe di Taranto e di Acaia, e i Serbi, per i possessi albanesi. Ma neanche le vittorie dello zar Dušan valsero ai Serbi il possesso di tutta l'Albania, in quanto Durazzo fu mantenuta in possesso dei re di Napoli dal valoroso capo albanese Tanusio Topia, mentre Scutari e Clissa erano dallo stesso Dušan cedute a Venezia. Solo nel 1363 Durazzo andava perduta per gli Angioini di Napoli, per opera appunto di un Carlo Topia, nato da un figlio di Tanusio e da una figlia naturale di Roberto di Napoli.
Larghe di aiuto nella conquista di Durazzo erano state al giovane Topia le repubbliche di Venezia e di Ragusa e Giorgio Balša, figlio di Balsa I, che, alla morte di Stefano Dušan, si era sostituito al debole figlio di lui nella signoria del distretto della Zeta (Montenegro), formandovi uno stato indipendente. La famiglia Balša, per successive conquiste e parentele, stava per acquistare il possesso di gran parte delle terre albanesi, costituitesi in signorie particolari dopo la morte di Stefano; ma la conquista di Durazzo, avvenuta nel 1383, doveva essere fatale alla sua potenza. Carlo Topia infatti, esule da Durazzo, si volgeva per aiuto ai Turchi ottomani che, con Murād I, erano da poco passati dall'Asia Minore in Europa, compiendo scorrerie per tutta la penisola balcanica. Khair ed-dīn pascià, inviato da Murād I in Albania, vinceva Balša II sulle rive della Voiussa. Il dominio dei Balša andava pressoché distrutto: Carlo Topia poteva rientrare in possesso di Durazzo, i Ducagini riprendevano la Zadrimë, ma i Turchi occupavano a loro volta larghi tratti dell'Albania.
Ridotti i Balša al possesso di Antivari e Dulcigno, dopoché Castoria e Berat erano state occupate dai Turchi e Drivasto e Scutari cedute ai Veneziani, l'Albania appariva ormai divisa in una larga serie di piccole signorie in perpetua guerra fra loro e che neppure la minaccia turca riusciva a conciliare. Alcune terre, anzi, come la città di Giannina nel 1431, offrivano, contro le ambizioni di vicini signori, l'alta sovranità agli stessi Ottomani. Ma la maggior parte dei signorotti albanesi volgevano invece i loro sguardi a Venezia, che con la mitezza e la liberalità ne aveva da tempo guadagnato gli animi. Intimoriti dalla minaccia turca che, nel 1389, sui campi di Còssovo, aveva pressoché annientato il regno serbo di Rascia, alcuni signori preferivano cedere addirittura, contro pensioni vitalizie, i loro possessi alla Serenissima, lasciando ad essa la cura di difenderli contro i vicini signori o gli Ottomani.
Venezia, impegnata nella difesa dei suoi mercati orientali contro i Turchi, accettava tutto ciò che a questa difesa potesse giovare. Nel 1392, essa aveva ottenuto Durazzo da Giorgio Topia e conquistato Alessio; nel 1404, rientrava in possesso di Croia, già a lei ceduta da Marco Barbarigo nel 1393 e venuta nel frattempo in possesso di Nicheto, figlio di Giorgio Topia. Alla fine del sec. XIV o nei primi anni del XV, alla Serenissima si sottometteva anche Damiano Dušman signore di Pulati. Nella prima metà del sec. XV Venezia occupava Valona, Butrinto, Parga, Dulcigno e tutta la costa da Antivari alle bocche di Cattaro. Ma la Serenissima era troppo marinara per poter difendere a lungo queste regioni sulle quali sempre più premeva da Oriente l'invasione turca, cui non frapponevano che scarsi ostacoli il vecchio impero bizantino e le numerose rivali ed anarchiche signorie della penisola balcanica.
È gloria dell'Albania l'aver dato in questo periodo alla cristianità e contro l'Islām, uno, e forse il più grande, dei suoi difensori, Giorgio Castriota. Sulla sua personalità e sulle gesta da lui compiute si leggeranno diffuse notizie a suo luogo (v. scanderbeg). Qui occorre ricordare il tentativo dell'eroe albanese di riunire tutte le genti della sua razza nella comune difesa contro l'Islām. Nel 1443 l'eroe ungherese Giovanni Hunyadi infliggeva presso Niš una grave sconfitta all'esercito di Murād II. Il Castriota, nel disordine che seguì alla disfatta, raccolta una truppa di 300 Albanesi, estorceva al guardasigilli del sultano un atto col quale egli era nominato governatore di Croia, raggiungeva a marce forzate l'Albania e, raccolti nei possessi ereditari del Dibrano altri armati, si faceva consegnare la cittadella di Croia dal governatore Sabel pascià per mezzo dell'ottenuto decreto: nella stessa notte tutti i Musulmani che avessero rifiutato il battesimo erano massacrati. Pochi giorni dopo Moises Golemi, che, come vassallo del sultano, signoreggiava la maggior parte del Dibrano, e altri despoti albanesi si univano in lega con lo Scanderbeg, il quale occupava subito le principali piazzeforti dominanti i passaggi montani.
Riunita ad Alessio (primavera del 1444) la "Lega dei popoli albanesi", alla quale aderivano i principali signori (Giovanni Musacchi, Pietro Spano, Paolo e Nicola Ducagini, Andrea Topia ed altri), Stefano Crnojević principe del Montenegro e i governatori veneziani di Alessio, Scutari e Durazzo, lo Scanderbeg, che ne era proclamato il capo, iniziava la gloriosa serie delle sue campagne contro gli Ottomani. Nella grande battaglia del 29 giugno 1444 e in altre successive (1445 e 1446), Scanderbeg sconfiggeva pienamente i Turchi con truppe assai inferiori di numero. La lotta, sospesa per un poco, continuò nel 1447, 1449, 1450, 1452 e 1453: e se i Turchi riuscirono nel 1449 ad impadronirsi di Svetigrad e di Berat, vennero per contro a più riprese sconfitti dall'eroe albanese (1447, 1450, 1452 e 1453), che fu vigorosamente aiutato da Alfonso il Magnanimo, re di Napoli.
Ma, nel 1454, un'offerta di pace a patto di sottomissione essendo stata respinta dallo Scanderbeg, Maometto II, maestro nelle arti dell'inganno, tentò di vincere il Castriota attirando a sé alcuni dei suoi alleati; e così nel 1455 Scanderbeg ebbe a combattere Moises Golemi e nel 1457 il proprio nipote Ḥamzah. Ambedue furono vinti; e quindi per breve tempo l'Albania godé di qualche tranquillità, mentre Maometto II era occupato a combattere Giovanni Hunyadi in Serbia. Ma ben presto l'aspra lotta riprese. Tra il 1457 e il 1462 Scanderbeg batteva le truppe condotte da Sinān pascià al Monte Mokrë, e altri eserciti turchi a Skoplje e a Livaa; battaglia, quest'ultima, in seguito alla quale fu firmata nell'autunno una tregua cui avrebbero dovuto seguire le trattative di pace. Ma l'armistizio non durò che un anno: i sovrani d'occidente spingevano il Castriota a proseguire la lotta e lo stesso papa Pio II si preparava a passare in Albania. La morte improvvisa di questo pontefice recava però lo scioglimento della crociata. Nuove vittorie arrisero tuttavia fino all'ultimo allo Scanderbeg; lo stesso Maometto II venuto all'assedio di Croia, nel luglio 1465, doveva abbandonare l'impresa.
Ma nel 1467 Giorgio Castriota moriva di febbre in Alessio, dove aveva riuniti a congresso i maggiori principi albanesi; e con la morte dell'eroe avevano fine la lega albanese e le sue vittorie. Dell'opera del Castriota non rimanevano all'Albania se non il ricordo glorioso del nome di lui, destinato a formare cemento tradizionale alle aspirazioni irredentistiche, le lezioni di strategia militare difensiva offerte dallo studio delle sue campagne e l'esperienza oggi da altri utilizzata, che l'unica signoria affermatasi su quelle terre ha avuto il suo fulcro nella zona centrale fra Croia, il Mati e il Dibrano. Alcuni scrittori vollero fare dello Scanderbeg un re possente di un vasto paese; ma in realtà soltanto come capo militare della lega di tutti i principi o capi albanesi egli esercitava la sua autorità su tutta l'Albania di allora, corrispondente alla grande Albania, cioè comprendente il Còssovo, Novi Bazar, la Metohija, Dibra, Ochrida, Giannina ed Arta. La lega si riuniva ad Alessio, allora dipendente da Venezia la quale favorì, nonostante taluni contrasti, l'eroe albanese. I principi e i capi tribù non avrebbero accettato un sovrano che li avesse privati di quell'autorità che liberamente esercitavano nei propri dominî: ognuno rimase assoluto signore, tributario del sultano, e soltanto per la guerra contro i Turchi l'autorità suprema venne esercitata dallo Scanderbeg.
Nei riguardi dell'Europa, l'epopea di Scanderbeg valse a frenare, per qualche tempo almeno, la forza espansiva delle armi ottomane sottoposte a tanto consumo di uomini e di ricchezze; e rimase anche, di fronte soprattutto al crollo della resistenza albanese seguita alla morte dello Scanderbeg, l'esperienza che la fortuna delle più grandi imprese si appoggia, talvolta, alla volontà ed alla mente di un solo uomo. Spentosi infatti lo Scanderbeg, l'Albania fu in breve interamente occupata dai Turchi, salvo Scutari ed alcune città della costa difese dai Veneziani. Sostenuti eroicamente varî assedî, anche Scutari veniva tuttavia consegnata ad Aḥmed pascià dal provveditore veneziano Da Lezze coi più onorevoli patti (1479). Molti Scutarini emigrati a Venezia, in seguito alla resa, ebbero da questa città terre, cariche ed onori; mentre altri notevoli contingenti di Albanesi, per sfuggire alla dominazione turca, si recavano nell'Italia meridionale e vi prendevano stabile dimora (v. albanesi d'Italia). A Venezia la convenzione del 1479 garantiva il libero accesso nei porti albanesi; e d'altronde Durazzo restava in suo possesso fino al 1501, Dulcigno e Antivari fino al 1571, Valona fino al 1690. All'interno, occupate dai Turchi Croia, Alessio e Drivasto, e vinto Giovanni Musacchi nel 1481, anno della morte di Maometto II, non rimanevano a difendere la propria autonomia se non alcune tribù montanare nel nord in specie quella dei Mirditi, e nel sud quella dei Chimarioti, rifugiatasi nei monti Acroceraunî. Le une e le altre dopo strenua difesa venivano tuttavia a patti coi Turchi che si impegnavano a rispettarne l'autonomia cantonale. E grazie a tali autonomie poterono mantenersi nel nord e nel sud dell'Albania centri di civiltà e di fede cristiana, mentre, specialmente nell'Albania centrale, intorno alla nuova città di Tirana, costruita dal bey Suleimān, procedeva rapidamente l'islamizzazione della popolazione albanese che, tratta anche dal proprio istinto guerresco, vedeva profilarsi ormai nel servizio della Mezzaluna molte e superbe possibilità di gloria militare.
Non si deve però immaginare che, anche all'infuori dei Mirditi e dei Chimarioti, l'Albania fosse ridotta sin da allora ad una semplice provincia ottomana. La verità è piuttosto che essa restò divisa in una quantità di piccoli principati autonomi, posti sotto la sovranità della Turchia, ed inetti a tentare imprese di maggior misura che non fossero le piccole gare locali, di cui profittava la Porta per ottenere conversioni che erano il prezzo per comprare il suo favore. Alcuni di questi convertiti furono tuttavia fra i primi, appena cresciuti sufficientemente in potenza, a tentare di scuotere il giogo turco, come fu già il caso nel 1572 per Ibrāhīm Begollī di Ipek, primo pascià indigeno, e per i suoi discendenti che governarono fino al 1830 una parte dell'Albania settentrionale. Numerosi tentativi o proposte di insurrezione da parte albanese si riconnettono del resto, ancora per tutto il sec. XVI e XVII, alla storia di Venezia. I gloriosi ricordi di essa e la sua generosa protezione erano tuttora presenti alla mente di quel popolo e ne alimentavano le speranze; vi fu anche, nel 1688, l'occupazione di Arta e Prevesa, destinate a rimanere in mani veneziane, insieme a Butrinto e Parga, sino alla fine del sec. XVIII o al principio del sec. XIX. Dagli archivî di Venezia, si ha notizia di richieste di aiuto fatte alla repubblica da Albanesi pronti ad insorgere, nel 1570, 1571, 1580, 1596, 1602 e 1616. Nel 1592, gli Albanesi offrirono inoltre il governo delle loro terre al duca Carlo Emanuele di Savoia, nel 1606 al duca di Parma Ranuccio I Farnese e successivamente anche ad alcuni pontefici: ciò che prova da una parte come non fosse affievolito lo spirito indipendente degli Albanesi, e dall'altra come essi riponessero sempre le loro speranze nei principi italiani. Né le insurrezioni si limitarono a soli progetti: così le tribù dei Cuci e Clementi, che nel 1623 attaccarono l'esercito di Suleimān pascià, reduce da una fallita spedizione nel Montenegro, non fecero la loro sottomissione se non dopo 15 anni di lotta.
Come già fu accennato, lo spirito di ribellione alla sovranità del sultano non deve tuttavia considerarsi come generale. L'islamismo, per motivi soprattutto di materiali interessi, andava facendo larghi progressi; e accanto agli Albanesi musulmani che seguivano gli eserciti del sultano nei varî campi di battaglia d'Europa e d'Asia, non mancarono anche gli Albanesi cristiani, in specie i Mirditi, spinti in parte dal desiderio di bottino, in parte anche dal naturale istinto guerresco. Così è ancora oggi considerato eroe nazionale degli Albanesi, accanto a Giorgio Castriota, il principe dei Mirditi, Marku Gjon, che raccolse le sue glorie principalmente al servizio del sultano e dei pascià ottomani, distinguendosi nel respingere gl'imperiali che, nel 1689, avevano occupato l'Albania settentrionale e orientale. E ancora nel 1737, quando gl'imperiali invadevano nuovamente l'Albania con l'appoggio delle tribù dei Clementi, i Mirditi combatterono valorosamente a fianco dei Turchi contro i loro conterranei. Alla scarsa coesione nazionale contribuiva probabilmente anche lo spezzettamento del paese in tribù e città governate dai signori ereditarî, che assumevano talvolta attitudini di indipendenza sopportate dallo stato ottomano, finché i singoli signori non apparivano pericolosi al mantenimento della sovranità turca. Fra le insurrezioni di pascià investiti dalla Porta di poteri ereditarî, sono principalmente da segnalarsi quelle, quasi contemporanee, del Bushati nell'Albania settentrionale e di ‛Alī di Tepeleni nel sud. Scarso carattere nazionale può tuttavia ritrovarsi in queste imprese, motivate principalmente da personali ambizioni. Meḥmet Bushati, il primo della sua famiglia che fosse insignito del pascialato, sottomise verso la metà del sec. XVIII le tribù Malissore, le città di Dulcigno, Alessio, Elbasan, Tirana ed Ochrida; e fu finalmente fatto uccidere dalla Porta per aver negato il suo contributo alla guerra contro la Russia. Il figlio di lui Maḥmūd, dopo aver preso parte alla repressione dei moti ellenici nel 1770 e dopo aver devastato il Montenegro nel 1785, poté vincere nella pianura di Còssovo un primo esercito inviato dalla Porta a domarne la crescente potenza, disperderne con la corruzione un secondo comandato dal pascià di Giannina, ‛Alī, e distruggerne poco dopo un terzo coll'aiuto dei Mirditi ribellatisi anche essi alla Porta; ma nonostante gli accordi da lui stretti nel frattempo con l'imperatore Giuseppe II, egli era poi vinto, fatto prigioniero e decapitato.
Il tentativo del Bushati di crearsi un proprio stato indipendente a spese della sovranità turca era ripreso nell'Albania meridionale dal pascià di Giannina, ‛Alī di Tepeleni, lo stesso che aveva combattuto il Bushati. Persecutore dapprima degli ortodossi albanesi, dei Greci e dei Valacchi, appoggiandosi ora ai Francesi, durante le guerre napoleoniche, ora agl'Inglesi, ‛Alī di Tepeleni riuscì a rendersi di fatto indipendente dalla Porta, e a far riconoscere anzi la propria sovranità dai pascià di Elbasan, di Croia e da altri feudatarî dell'Albania settentrionale. Terminate tuttavia le imprese napoleoniche e calmate le agitazioni serbe e romene, il sultano Maḥmūd II decise di ridurre all'obbedienza il ribelle pascià. Questi, improvvisandosi allora difensore dei cristiani albanesi, greci e valacchi, che aveva fino allora perseguitati, e alleandosi all'Eteria greca, riuniti a Giannina (1820) molti capi albanesi e adepti dell'Eteria, ne ottenne l'assenso, eccezione fatta per il principe dei Mirditi, all'aperta insurrezione contro la Turchia. Ma dopo due anni di lotte, abbandonato da gran parte dei suoi, ‛Alī di Tepeleni, ritiratosi nella formidabile cittadella di Giannina, era con l'inganno indotto a trattative e trucidato. Pur senza potersi paragonare al Castriota per la gloria militare e l'elevatezza dei fini, ‛Alī di Tepeleni merita di essere considerato, per l'azione sua degli ultimi anni, fra le figure più rappresentative della storia albanese. Degne di nota furono anche le cure date da ‛Alī alla sua splendida corte, descritta da lord Byron nel Childe Harold, come pure si deve ricordare che quasi tutti i suoi consiglieri, ingegneri, chimici, medici ed istruttori militari furono Italiani: il veneziano Pesarini, il lombardo Frappano, i napoletani Del Carretto e Micarelli, il siciliano Monteleone, il Tagliapietre ed il Marcellese. Troppo tardi i suoi alleati, che così scarsamente avevano contribuito alla di lui disperata difesa, compresero quale perdita per l'Albania rappresentasse la morte di ‛Alī. Distrutta la potenza dei signori ereditarî, vennero dalla Porta ridotte anche le autonomie fino allora godute da alcune terre. Ma l'insurrezione della vicina Ellade fra il 1821 e il 1827, se pur osteggiata da molti Albanesi, trovava anche fra questi e fra gl'Illiro-romani d'Albania eroici difensori, fra i quali specialmente da ricordarsi l'albanese Marco Botzaris, che, dopo aver tentato la difesa dell'Epiro dopo la morte di ‛Alī, fu generalissimo dell'esercito greco insieme all'altro epirota Odisseo.
Nel 1830 scoppiava nella media e bassa Albania una nuova insurrezione capitanata da Velī bey governatore di Giannina, Metzovo, Arta e Prevesa e da Selikdar Poda, pascià dell'Albania centrale, cui l'albanese Mehmet ‛Alī, viceré d'Egitto e Muṣṭafà Bushati, pascià di Scutari, promettevano aiuto. La rivolta terminava per un agguato nel quale i capi di essa erano fatti uccidere dal gran visir turco Reshīd pascià, che aveva offerto loro pace e conciliazione. Muṣṭafa Bushati, che solo allora iniziava, a sua volta, un movimento insurrezionale, era costretto, dopo gloriose battaglie, a rinchiudersi in Scutari nella celebre fortezza Rosafa, e ad arrendersi dopo quattro mesi di assedio, avendo salva la vita per intercessione austriaca. Continuarono tuttavia le insurrezioni nell'Albania settentrionale, prolungatesi quasi senza interruzione dal 1835 al 1844, quando ‛Omar pascià, vinti gli Albanesi a Kaplan Han e a Calkandelen (Tetovo), pacificò nuovamente per qualche tempo la regione. Nel 1847 si sollevarono invece nel sud i Ciami, valorosa tribù tosca, domata solo per l'intervento dei Mirditi condotti da Bib Doda. Fra queste parziali e slegate insurrezioni si preparava la formazione della Lega albanese che pochi anni dopo, iniziando la storia contemporanea di questo paese, doveva porre le basi del nuovo stato albanese.
Un rapido sguardo sintetico alla storia medievale e moderna dell'Albania, mostra come tale regione sia stata perpetuamente divisa da odî e rivalità di signori, di tribù, di città, ma sempre gelosa della sua indipendenza strenuamente difesa e mostra pure come, in questa lotta gloriosa, le sue richieste di soccorso, rivolte quasi unicamente all'Italia e in particolare a Venezia e a Napoli, trovassero quivi sempre il più largo consenso.
Storia contemporanea. - Iniziatosi frattanto, sotto gli auspici della Russia, il movimento per la liberazione delle nazionalità sottoposte alla Turchia, il popolo albanese venne a trovarsi in una sfavorevole condizione per essere esso diviso religiosamente fra musulmani, cattolici e ortodossi e per essere il suo territorio ambito, in base a ragioni storiche, dalla Serbia, dal Montenegro e dalla Grecia. Questa difficile situazione ebbe i suoi riflessi in qualche incertezza di atteggiamento da parte delle tribù albanesi.
Nella guerra di Crimea i Mirditi combatterono a fianco dei Turchi, sebbene nello stesso anno scoppiasse nell'Albania meridionale una rivolta, favorita dapprima, ma poi scarsamente sostenuta dalla Grecia. Il risultato dell'insurrezione, rapidamente domata, fu soprattutto quello di alienare definitivamente dai Greci l'animo degli Albanesi. Nel 1877 Prenk Bib Doda, principe dei Mirditi, che l'anno innanzi, ribellatosi, era stato vinto dai Turchi, respingeva le offerte di agenti russi e combatteva per il Sultano a Plevna e a Šipka.
In seguito al trattato di Santo Stefano, che iniziava lo smembramento dei territorî di lingua albanese, si formava intanto per la prima volta, dopo la morte di Scanderbeg, un organo comune alle genti albanesi che paese il nome di "Comitato centrale per la difesa dei diritti della nazionalità albanese". Ma, a differenza dell'antica Lega albanese, il comitato albanese sorgeva ora per incoraggiamento turco, col compito di difendere l'Albania dagli appetiti delle vicine popolazioni cristiane.
Il trattato di Berlino (13 luglio 1878), univa poco dopo alla Serbia i territorî albanesi di Kusumlje e di Vranja, al Montenegro Antivari e i territorî di Gusinje, Plava e Triepsi, alla Grecia una parte dell'Epiro. A protesta contro questi smembramenti era, nella stessa estate, creata la Lega albanese per la difesa e la rivendicazione del territorio nazionale, che decise di opporsi con le armi all'occupazione dei suindicati territorî da parte della Serbia, della Grecia e del Montenegro. Ritirate le truppe turche da tali regioni, esse vennero sostituite da forze volontarie della Lega; ma sorto il sospetto che all'opera della Lega non fosse estraneo il governo turco, l'Inghilterra presentava alla Porta un'intimazione concordata con le Potenze firmatarie del trattato di Berlino, che compivano contemporaneamente una dimostrazione navale dinanzi a Dulcigno. Contro gli insorti dell'Albania del nord la Turchia inviò Dervīsh pascià con 30.000 uomini; egli vinse le forze della Lega uccidendone od esiliandone i capi e prendendo in ostaggio il giovane principe dei Mirditi, Prenk Bib Doda. Ciò tuttavia non impediva la formazione, nel 1883, di una nuova lega fra le tribù dei Castrati, Hoti, Gruda e Skreli contro l'occupazione montenegrina dei territorî albanesi, ai quali era stata aggiunta Podgorica. Altre manifestazioni dello spirito nazionale albanese seguirono nel 1897, in occasione della guerra greco-turca, e nel 1908 allo scoppio della rivoluzione dei Giovani Turchi, alla quale presero parte anche gli Albanesi. Questi mostrarono tuttavia presto di esser pentiti della loro adesione, e nel 1910 i principali capi albanesi protestavano contro il regime giovane turco, reclamando il ritorno alla precedente situazione. Una spedizione turca, condotta da Shevket Torgud pascià, poté dopo circa venti sanguinosi combattimenti domare temporaneamente i ribelli che tuttavia tornavano ad insorgere nel 1912, ottenendo dalla Porta, dopo l'occupazione di Skoplje, la concessione di alcuni privilegi.
Alla loro esecuzione si oppose tuttavia la guerra balcanica scoppiata nell'ottobre del 1912, durante la quale gli Albanesi apparvero fra loro discordi circa il contegno verso la Turchia. Mirditi e Malissori passarono, durante la battaglia di Kumanovo, dalla parte dei Montenegrini, per tornare poi a schierarsi contro di essi, dopo che fu iniziato l'assedio di Scutari da parte del Montenegro. La guerra avanzava intanto sempre più su territorio albanese: le provincie di Skoplje e Monastir erano invase dai Serbi, che di qui rapidamente giungevano ai porti di S. Giovanni di Medua e Durazzo: dopo di aver conquistato fin dall'ottobre 1912 Biepolje, Berana, Plevlje, Plava, Gusinje e Ipek, il 2 aprile 1913 i Montenegrini occupavano Scutari eroicamente difesa; nell'Albania meridionale, Prevesa e Giannina erano espugnate dai Greci, rispettivamente nel novembre 1912 e nel marzo 1913, mentre la flotta greca bombardava Valona nel dicembre 1912. I nove decimi dei paesi di lingua albanese erano così occupati da Montenegrini, Serbi e Greci. Tale situazione non poteva tuttavia incontrare il gradimento dell'Austria e dell'Italia, che già da tempo avevano importanti interessi in Albania e un intenso commercio con essa. L'una e l'altra potenza avevano quivi stabilito scuole, ospedali, uffici postali, agenzie commerciali e linee di navigazione. L'Italia specialmente stava sviluppando le sue relazioni economiche con i territorî albanesi, in guisa da superare rapidamente anche l'Austria, prima dominante sul mercato.
Per quanto riguarda il programma dell'Italia durante questo periodo sono specialmente interessanti le dichiarazioni del conte Francesco Guicciardini e del marchese di S. Giuliano, al ritorno dai viaggi compiuti in Albania nel 1901 e nel 1902, in favore del diritto nazionale albanese e della giusta aspirazione di questo popolo all'autonomia. Su tali vedute dell'Italia nei riguardi dell'Albania aveva probabilmente avuto qualche influenza la tradizione stabilita già da Giuseppe Garibaldi, che nel 1866, in una lettera alla principessa Elena Ghica, riassumeva i suoi sentimenti nella frase: "La causa degli Albanesi è la mia". Ma soprattutto influiva l'opera degli Albanesi stabilitisi da tempo nell'Italia meridionale (v. albanesi d'Italia) i quali avevano formato fiorenti colonie e, pur essendo divenuti ottimi cittadini italiani, conservavano il ricordo della patria d'origine e vivo interessamento alle sue sorti. Nel 1903 essi avevano anzi fondato un Consiglio albanese, sotto la presidenza del generale Ricciotti Garibaldi, con il programma "L'Albania agli Albanesi". E siffatto programma, sul quale per le anzidette ragioni conveniva anche l'Austria-Ungheria, ebbe, sia pure entro ristretti limiti, la sua attuazione durante la Conferenza degli ambasciatori a Londra (17 dicembre 1912-15 luglio 1914).
La creazione del nuovo stato non avvenne tuttavia senza difficoltà. Nel dicembre 1913 la commissione di delimitazione dei confini terminava i suoi lavori a Firenze, lasciando fuori dell'Albania indipendente i territorî degli Hoti, dei Gruda, e parte di quello dei Clementi, la pianura di Podgorica, i porti di Dulcigno e Antivari, la Metohija di Ipek e di Giakova, occupati dal Montenegro; la pianura di Còssovo, Prizren, la riva destra del Drin Nero e Dibra rilasciate alla Serbia, tutto l'Epiro e la Ciamuria rimasti alla Grecia. Il Governo provvisorio albanese, costituitosi spontaneamente a Valona sotto la presidenza di Ismail Qemal Vlora, vedeva intanto sorgere degli emuli nei governi locali, subito dopo instaurati in Mirdizia da Dib Doda e a Tirana da Esad pascià Toptani. Il 10 aprile 1914 la commissione internazionale a ciò delegata dalla Conferenza degli ambasciatori e a cui Qemal Vlora aveva ceduti i suoi poteri, approvava finalmente a Valona lo statuto dell'Albania eretta a principato sotto la garanzia delle sei grandi potenze. Al trono di Albania veniva chiamato il principe Guglielmo di Wied.
Esad Toptani, il cui governo era sorto in parte come protesta contro i ridotti confini dell'Albania, accedeva allo statuto riconoscendo il nuovo sovrano, che giungeva in Albania, il 7 marzo 1914, accolto entusiasticamente. Ma, quasi contemporaneamente, ad Argirocastro sorgeva un governo autonomo presieduto da Zografos, ex-ministro degli affari esteri di Grecia. Il governo di Atene, che intanto frapponeva ogni indugio e pretesto ad evacuare l'Albania meridionale, contro l'impegno preso nel dicembre 1913, negava ogni proprio legame col governo di Argirocastro; ma i battaglioni epiroti che sostenevano quest'ultimo risultarono tuttavia composti di regolari greci e volontarî cretesi. L'Albania meridionale fu da tali truppe messa a ferro e a fuoco: le città di Tepeleni e Leskovik vennero distrutte; la quasi totalità dei villaggi (circa 300) nelle regioni di Argirocastro, Leskovik, Skrapari e Còrizza dati alle fiamme. La popolazione abbandonò in gran parte l'Albania meridionale rifugiandosi a Berat, Elbasan e Valona; coloro che non poterono fuggire furono in gran parte massacrati.
Guglielmo di Wied, rinunciando alla collaborazione della Commissione di controllo, aveva intanto nominato Turhan pascià, ex ambasciatore turco a Pietroburgo, a presidente del Consiglio dei ministri. Esad pascià Toptani, ministro della guerra, dovette subito accingersi a domare le rivolte organizzate dalla Grecia nell'Albania meridionale. La gendarmeria albanese, posta sotto il comando di ufficiali olandesi, riuscì a liberare Còrizza battendo i Greci a Berat e al colle di Guriprerë. Nel maggio 1914 la Commissione di controllo riusciva, promettendo l'immunità delle bande epirote, a ottenere la promessa di evacuazione dei Greci dall'Albania meridionale, evacuazione che i successivi avvenimenti internazionali dovevano tuttavia ancora ritardare.
I torbidi dell'Albania meridionale avevano intanto altre ripercussioni sul debole governo albanese. Esad pascià fu accusato di non aver fatto giungere in tempo armi e rinforzi nella regione di Còrizza. La notte del 19 maggio la sua casa era bombardata. Salvata la sua vita, bastò la di lui condanna all'esilio per sollevare una rivolta dei suoi partigiani a Tirana. L'uso delle armi fatto contro la popolazione di Shijak dalla gendarmeria che recavasi a domare i movimenti di Tirana, fu considerato come una rottura dei patti da parte del principe e ribellioni scoppiarono in tutta l'Albania centrale. Il principe, rifugiatosi sopra una nave da guerra italiana, il 23 maggio, riprendeva poco dopo il potere. Ma il suo prestigio era ormai scaduto, e il 3 settembre, assediato nel suo stesso palazzo e abbandonato dall'Austria, impegnata già nella grande guerra, egli abbandonava definitivamente Durazzo a bordo della nave italiana Misurata. Unico potere legale in Albania rimaneva allora la Commissione internazionale di controllo, posta anch'essa nella quasi impossibilità di agire appartenendo i suoi membri a nazioni ormai in guerra fra loro. I Greci potevano indisturbati riprendere Còrizza; i Montenegrini discendevano a Scutari, occupando il Tarabosh; i Serbi avanzavano nell'Albania settentrionale. L'Italia allora, per arrestare l'avanzata greca verso l'Albania centrale e a protezione dei suoi proprî interessi in quella regione, occupava Valona il 28 dicembre 1914.
A Durazzo, intanto, nell'ottobre 1914 Esad pascià era stato dal senato albanese nominato capo del governo provvisorio. Ma alla fine del 1915 gli Austriaci avanzavano su Scutari, Alessio, Croia e Durazzo; e una nuova insurrezione, favorita dall'Austria, cacciava Esad da quest'ultima città. I Bulgari occupavano al principio del 1916 Monastir, Ochrida, Berat e Elbasan, affacciandosi con pattuglie fino al mare fra Durazzo e Valona. A Valona venivano allora concentrate le forze italiane, che nel 1915 provvedevano a liberare dai Greci gran parte dell'Albania meridionale e nel 1916 fermavano l'avanzata austro-tedesca alla Voiussa. Nel febbraio del 1917 era stabilito il contatto con le truppe francesi, che avanzando dalla Macedonia avevano raggiunto Ersek; nel giugno dello stesso anno l'esercito italiano occupava Prevesa e il Pindo, accolto con entusiasmo dalla prevalente popolazione aromuna. Nel giugno 1918 le nostre truppe, iniziando l'offensiva verso il nord, occupavano Berat, e in unione con truppe francesi verso il confine macedone, proseguivano rapidamente dopo la conclusione dell'armistizio con la Bulgaria. A Scutari si ricostituì la commissione di controllo composta di membri dei paesi alleati; ma la Francia mantenne fino al giugno 1920 l'occupazione dei paesi ove si trovavano le sue truppe al momento dell'armistizio, e cioè dei circondarî di Còrizza, Starova e di una parte di quelli di Skrapari e Berat.
Tutta l'Albania settentrionale, centrale e meridionale, ad eccezione della riva sinistra del Drin Nero, occupata dai Serbi, era sottoposta all'influenza italiana. Nel 1917, il proclama di Argirocastro del generale Ferrero aveva già promesso l'indipendenza dell'Albania sotto la protezione dell'Italia; e la promessa fu allora mantenuta. Occupato pressoché per intero il principato d'Albania, quale era stato costituito nel 1913, l'Italia favoriva quivi lo stabilirsi di un regolare governo albanese, formato a Durazzo da Turhan pascià nel dicembre 1918, e sovveniva a molti bisogni del nuovo stato con lavori pubblici, assistenza finanziaria, istituzioni culturali e di beneficenza. L'accordo italo-greco del 29 luglio 1919, che riconosceva le aspirazioni greche sull'Albania meridionale e seguiva a complicate trattative svolte durante la Conferenza della pace e a seguito del patto di Londra, per il nuovo assetto dell'Albania considerato in relazione alla sistemazione adriatica, faceva perdere momentaneamente all'Italia la tradizionale simpatia albanese. Nel gennaio 1920 era convocata a Lushnjë un'assemblea nazionale, la quale riaffermava energicamente il proposito della più strenua resistenza contro ogni spartizione dell'Albania.
Intrighi internazionali, operando anche sull'animo albanese uscito dalla guerra turbato e diffidente di ogni opera di organizzazione anche svolta a suo vantaggio, portarono all'insurrezione di Valona contro l'occupazione italiana di questa città. Perduta qualche posizione esterna, la città di Valona rimase tuttavia in mano all'Italia finché il protocollo di Tirana concludendo le trattative già da tempo condotte a Tirana dal barone Aliotti e poi dal conte Manzoni, portava allo sgombero di Valona da parte dell'Italia che manteneva soltanto l'isola di Saseno. Durante le stesse trattative, l'Italia aveva anche denunciato il patto italo-greco del 29 luglio 1919, liberandosi da ogni impegno circa l'Albania meridionale. L'Italia poté così poco dopo riprendere le buone relazioni con l'Albania e farsi anzi fautrice degl'interessi albanesi nei congressi internazionali, a favore dell'ammissione dell'Albania nella Società delle Nazioni, che ebbe luogo il 17 dicembre 1920, e in occasione del riconoscimento solenne, da parte della Conferenza degli ambasciatori a Parigi, dell'indipendenza e della sovranità dello stato albanese nei suoi confini del 1913. Alla stessa Conferenza degli ambasciatori fu riconosciuto che ove l'Albania, trovandosi nella impossibilità di difendere la sua integrità territoriale, si rivolgesse alla Società delle Nazioni, i governi dell'Impero britannico, della Francia, e del Giappone raccomanderebbero che fosse affidato all'Italia l'incarico di ristabilirne le frontiere.
Nei riguardi della politica interna, continuarono in questo periodo le agitazioni fomentate spesso da esterne ambizioni, che valevano ad alienare sempre più l'animo degli Albanesi da possibilità di intese con gli stati vicini. Come già per i Greci l'anno 1914, così per i Serbi il 1920 segnava il tracollo delle simpatie raccolte fino allora in Albania; e ciò a seguito della distruzione di circa 30 villaggi albanesi compiuta dai Serbi nel Dibrano, in risposta all'attacco dato dai nazionalisti albanesi alla frontiera iugoslava nell'autunno del 1920.
Nello stesso anno (1920) era intanto comparso sulla grande scena politica il venticinquenne Ahmed Zogu, di antica famiglia dominatrice del Mati. La storia albanese si riassume da questo momento nelle vicissitudini politiche di lui. Allontanatosi dal potere alla fine del 1920 egli vi tornava come ministro dell'interno nel 1921, nello stesso anno in cui, probabilmente a scopo di pressione politica, avevano luogo incursioni verso Tirana di bande dibrane, guidate da Aqif Lleshi, Taf Kaziu e altri capi dibrani, alcuni dei quali ufficiali della riserva iugoslava. Un avvenimento importante dello stesso anno 1921 è da considerarsi anche la liberazione dei parenti di Esad pascià, membri della potente famiglia Toptani, che, dopo l'uccisione di lui a Parigi nel 1920, erano stati imprigionati per abbattere la loro influenza nell'Albania centrale. Liberato fra gli altri Ahmed bey Toptani, questi tentava nel 1922 con Jusuf Eles, Zià Dibra ed altri avversarî di Zogu un colpo di mano su Tirana. L'attacco fallì, e anche Durazzo, occupata momentaneamente da Ahmed bey Toptani, dovette essere evacuata al sopraggiungere di un battaglione dal Mati, fedele a Zogu, e di numerosi contadini armati, condotti dal potente bey di Elbasan, Shefqet Verlaci. Seguì una violenta repressione che contribuì ad affermare il prestigio di Zogu. Il quale, in seguito a questo nuovo colpo dato alla potenza dei bey dell'Albania centrale, potè rivedere le sue direttive di politica interna e distaccarsi in parte dai nazionalisti, che avevano con lui compiuti i movimenti del 1920, appoggiandosi nelle imminenti elezioni al partito conservatore. Il malumore da ciò provocato fra i nazionalisti costringeva Zogu ad abbandonare una prima volta il potere nel periodo delle elezioni, che tuttavia gli davano una forte maggioranza conservatrice.
La minoranza nazionalista di cui facevano parte i maggiori intellettuali albanesi obbligava ciò non ostante Zogu a cedere poco dopo il potere, novellamente assunto, a Shefqet bey Verlaci. Agli inizî del 1924 uno studente, Beqir Valter, feriva Ahmed Zogu, mentre questi saliva le scale del parlamento. A questo attentato seguiva l'uccisione di Avnì Rusten, l'uccisore di Esad. Attentato e delitto turbavano così profondamente la politica del paese che una parte notevole dei deputati abbandonavano Tirana, creando un piccolo parlamento a Valona. E di qui partiva, nel luglio 1924, la spedizione su Tirana che obbligava Shefqet Verlaci ad abbandonare il potere e Ahmed Zogu a rifugiarsi in Iugoslavia; ma anche il governo nazionalista di Fan Noli, allora formatosi, non doveva aver lunga esistenza. La sua fine, nel dicembre 1924, segnava l'inizio del regime oggi in vigore, il più solido e promettente che l'Albania, come stato indipendente, abbia mai conosciuto.
I risultati dell'opera di Zogu, svoltasi in particolare dopo che egli riassunse il potere, sono indubbiamente notevoli. Ricondotto in Albania, nel dicembre del 1924, da una rivoluzione organizzata dalla Iugoslavia, come ha ammesso lo stesso signor Ninčić, in una sua intervista al Matin del febbraio 1927, egli indiceva subito le elezioni, faceva proclamare la repubblica albanese e ne faceva votare lo statuto. Ordinato su basi legali lo stato, il presidente della repubblica scioglieva l'esercito, sulla cui fedeltà egli non poteva contare, mantenendo in un primo tempo in servizio le bande di montanari del Mati e del Dibra, che lo avevano ricondotto al potere. Anche queste venivano poi lentamente disciolte, man mano che egli andava ricostituendo un esercito con ufficiali a lui sufficientemente devoti. Istituiva perciò il reclutamento obbligatorio, con servizio di circa sei mesi, chiamando come istruttori dell'artiglieria ufficiali italiani; e creava inoltre, per la prima volta in Albania, una piccola marina da guerra, organizzatore della quale fu pure un ufficiale italiano.
Nel campo finanziario, per dare all'Albania una moneta propria che sostituisse lentamente le svariate monete in corso, e cioè lire carta italiane e monete d'argento e d'oro d'ogni paese, conosciute rispettivamente sotto i nomi di corone e napoleoni, Zogu concedeva alla Banca nazionale d'Albania, formata con capitale prevalentemente italiano, ma in minoranza anche albanese, iugoslavo, belga e svizzero, il privilegio di emettere monete, la cui unità fu il lek, pari ad un quinto di franco oro. A questa banca fu pure concesso il privilegio di stabilire, col consenso del governo, magazzini generali nei principali porti albanesi, al fine di sviluppare il commercio estero. L'Albania contrasse inoltre, con un gruppo di finanzieri italiani, un prestito di 50 milioni di lire oro. Esso è amministrato dalla Società per lo sviluppo economico dell'Albania (SVEA) e, munito di ottime garanzie, è destinato a finanziare bonifiche, opere stradalil, la costruzione della ferrovia Durazzo-Tirana, lavori portuali a Durazzo e a San Giovanni di Medua, eventualmente la costruzione di edifici governativi.
Indipendentemente dai proventi del prestito, venivano intanto rapidamente portati avanti i lavori per il miglioramento della rete stradale, e si apriva la nuova arteria Còrizza-Durazzo, destinata ad avviare a questo porto i prodotti della ricca regione di Còrizza, che fin qui trovavano il loro unico sbocco a Salonicco. Per compiere tali lavori il governo albanese istituiva una specie di servizio civile obbligatorio per opere pubbliche, che poteva tuttavia essere riscattato con una tassa in danaro. I servizî delle dogane e delle imposte erano riordinati, sia pure gradatamente, assicurando al bilancio introiti più regolari; e allo scopo di aumentare questi ultimi, venivano anche fatte concessioni per lo sfruttamento dei boschi demaniali, le più importanti delle quali venivano assunte dalle Ferrovie dello stato italiane. Si procedeva inoltre alla regolarizzazione e più esatta misurazione delle concessioni petrolifere, già date alla società inglese Anglo-Persian, alla ditta americana Standard Oil, alle Ferrovie dello stato italiane, alla società italiana per le miniere della Selenizza e ad un gruppo francese. Nell'ambito di tali concessioni sono già avanzati i lavori della Anglo-Persìan, delle Ferrovie dello stato e della Selenizza, la quale ultima nel dicembre scorso rinvenne, alla profondità di circa 370 metri, giacimenti di petrolio purissimo sulla cui entità non è tuttavia stato possibile finora avere dati precisi. Dai canoni che ne ritrae, lo stato albanese ha già vantaggi finanziarî di qualche importanza; ma molto maggiori esso può sperarne per mezzo delle percentuali che si è riservate, ove le ricerche ottengano esito veramente favorevole. Per regolare poi meglio il pagamento dell'imposta fondiaria l'Albania ha affidato all'Istituto geografico militare (Firenze) la preparazione del rilievo catastale di tutto il suo territorio. Migliori cure sono state date anche all'istruzione ed ai servizî di pubblica sanità, nei limiti concessi dalle difficoltà del bilancio finanziario. La giustizia è amministrata in ogni provincia da un tribunale di prima istanza, con tre giudici, e da una corte di cassazione composta di sei giudici con sede a Tirana. Amministrativamente, l'Albania è stata divisa in 9 provincie: Durazzo, Scutari, Còrizza, Elbasan, Tirana, Argirocastro, Berat, Còssovo, Dibra.
Dal punto di vista religioso, la convivenza delle religioni non sembra dar luogo a gravi inconvenienti. Non esiste religione di stato. I cattolici che abitano nella grande maggioranza il nord dell'Albania dipendono religiosamente da Roma con l'intermediario di un delegato apostolico. Sono in corso trattative per la conclusione di un concordato con la Santa Sede. Gli ortodossi (circa 172.000) che prevalgono nell'Albania meridionale, hanno nel 1927, dopo lunghe trattative svolte con il patriarcato di Costantinopoli, costituito la chiesa autocefala albanese. I musulmani (circa 560.000), conformemente al carattere della loro religione, non hanno alcun capo spirituale riconosciuto né in Albania, né fuori (v. sotto).
A completamento di queste notizie sulla costituzione interna albanese, riportiamo le cifre del bilancio di previsione per l'esercizio 1927-28:
L'attività svolta da Ahmed Zogu durante gli ultimi due anni, non ha tuttavia potuto per ovvie ragioni prescindere da un regime di ferro, che affatica la popolazione, non abituata a sottostare a un governo regolare, e tanto meno a pagare regolarmente dogane ed imposte. A ciò si aggiunga l'irritazione di una parte della classe dei bey, cui il regime di Zogu impedisce di abbandonarsi a soprusi. Queste difficoltà sono inoltre rinfocolate e aggravate dai contatti che i numerosi profughi albanesi all'estero mantengono con i malcontenti in patria. I profughi possono dividersi in tre gruppi: quelli che si reclutano per lo più fra i cattolici del nord, come Ndok Gjeloshi, don Lorenzo Zaka, don Lazzaro Shantoja, residenti in Iugoslavia e da questo stato largamente provvisti di sussidî per avvincerli ai suoi interessi; quelli residenti a Bari o a Zara, che appartengono per lo più al gruppo nazionalista intransigente e fanno capo a Hasan bey Prishtina e a ‛Alī Klisura, e finalmente quelli residenti a Vienna, che fanno capo a Fan Noli e risentono largamente di tendenze e aiuti bolscevichi. I diversi interessi che animano questi profughi, rendendo tuttavia difficile la loro unione, facilitano a Zogu la difesa e renderanno forse possibili in seguito riconciliazioni isolate e successive.
La politica estera dell'Albania, appena Ahmed Zogu assunse il potere nel 1924, sembrò in un primo tempo nettamente propendere verso la Iugoslavia. Di tale politica iugoslavofila si poterono vedere subito indizî nella arrendevolezza mostrata dall'Albania in occasione della delimitazione della frontiera con la cessione di Vermoshë e San Naum alla Iugoslavia. L'opera svolta da alcuni ambienti iugoslavi, principalmente quello che faceva capo alla lega militare serba, a mezzo di una larga rete di agenti in Albania, culminando nella rivoluzione scoppiata nel novembre 1927 nella regione dei Ducagini e capitanata da profughi provenienti dalla Iugoslavia, obbligò tuttavia Zogu a rivedere radicalmente i suoi programmi di politica estera.
Il patto di amicizia e sicurezza fra l'Italia e l'Albania, lentamente maturatosi, veniva firmato il 27 novembre 1927 dal ministro plenipotenziario d'Italia barone Aloisi e dal ministro degli esteri albanese, Hysen bey Vrioni.
Con questo patto "l'Italia e l'Albania riconoscono che qualsiasi perturbazione diretta contro lo statu quo politico, giuridico e territoriale dell'Albania è contraria al loro reciproco interesse politico", e "per la tutela del sopracitato interesse le Alte Parti contraenti si impegnano a prestarsi il loro mutuo appoggio e la loro collaborazione cordiale; s'impegnano egualmente a non concludere con altre potenze accordi politici o militari a pregiudizio degl'interessi anche definiti nel presente patto". Al patto di amicizia seguiva poi nel novembre 1927 un trattato di alleanza fra i due paesi.
Poco dopo, nei primi mesi del 1928, una semplice mozione del deputato Feizi bey per ottenere che lo statuto albanese venisse in alcuni punti ritoccato, portava quasi improvvisamente al riconoscimento formale dell'ordine di cose creato in Albania dalla lunga e benefica permanenza di Ahmed Zogu alla presidenza della repubblica. Riunitisi infatti il Senato e la Camera dei deputati in assemblea legislativa per portare allo statuto le richieste modifiche, essi constatarono che tale compito spettava solo ad un'assemblea costituente per cui dovevano essere indette apposite elezioni.
Tale decisione era stata appena adottata quando, nella prima quindicina del giugno 1928, la scoperta di un attentato che si preparava contro la vita di Ahmed Zogu venne a conferire ancora nuovo prestigio alla di lui persona. Nei giorni precedenti all'apertura dell'assemblea, che ebbe luogo il 25 agosto, in tutte le citta dell'Albania ebbero luogo comizî che inneggiarono al presidente Zogu e proclamarono la volontà popolare di conferirgli la corona di mbret, titolo equivalente a quello di sovrano, in riconoscimento dei grandi servigi resî al paese.
Il 1° settembre l'assemblea costituente, sotto la presidenza di Pandeli Vangjeli, proclamava la forma monarchica dello stato e decideva di offrire la corona a Ahmed Zogu col titolo di Zogu I re degli Albanesi. Il giorno stesso il nuovo sovrano prestava giuramento dinanzi all'assemblea.
Questa prosegue intanto gli studî per l'elaborazione del nuovo statuto, mentre l'Albania ha solennizzato con fasto orientale l'incoronazione del re che, consolidata l'indipendenza dello stato ed assicurate le relazioni estere, come fu manifesto anche in occasione del riconoscimento da parte degli stati esteri della nuova forma monarchica del paese, la conduce oggi con mano ferma, attraverso la pacificazione interna, al già ben avviato progresso economico e civile.
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Religione.
Il popolo albanese segue due religioni: l'islamismo ed il cristianesimo.
L'islamismo. - Fu importato in Albania con la conquista turca del sec. XV, professato prima dai soli conquistatori e poi propagato con la violenza e la confisca dei beni delle persone ricche. Molti di quelli che non vollero apostatare emigrarono e trovarono facile impiego presso varî stati italiani, principalmente nel Reame di Napoli. L'esempio dei ricchi capitribù, lo spirito di unione tra i varî membri di una stessa tribù, le conversioni forzate, l'influenza crescente dei costumi musulmani e la deficienza del clero cristiano contribuirono ad aumentare, nel corso dei secoli, il numero dei musulmani tra gli Albanesi. Nondimeno quasi tutti sono Albanesi puri e hanno di comune con i Turchi soltanto la religione. Prima della caduta dell'impero ottomano erano conosciuti in tutta la Turchia sotto il nome di Arnauti, e la guardia albanese del sultano era riputata fedelissima. Secondo il censimento del 1923, sopra una cifra totale di 817.378 abitanti, i musulmani ascendevano al numero di 560.348. Come tutti i musulmani occidentali, essi sono sunniti. Il Gran Muftī risiede a Tirana.
Il cattolicismo. - La propagazione cristiana nelle terre albanesi avvenne secondo due grandi correnti: mentre la parte settentrionale del paese riceveva la rivelazione del Vangelo da missionarî latini, la parte centrale e meridionale l'accettava dalla Grecia. Quindi due confessioni: cattolica col rito romano, e ortodossa con quello bizantino. Da pochi anni si è formata in Elbasan, nel centro dell'Albania, una piccola comunità di cattolici di rito bizantino, che può contare al massimo 150 anime. Nei secoli XVII-XVIII, come conseguenza delle relazioni degli Albanesi con i papi nell'epoca delle guerre turche, per la venuta in Roma di qualche arcivescovo ortodosso di Ochrida verso la fine del sec. XVI e il principio del XVII, si formò nel distretto della Cimarra (Chimara), al N. nell'isola di Corfù, il Vicariato apostolico della Cimarra, i cui titolari furono spesse volte basiliani d'Italia, e che osservava il rito bizantino. Iniziata verso la metà del sec. XVII, detta missione dovette essere abbandonata in modo definitivo nella seconda metà del XVIII. Alcuni dei suoi titolari rivestirono in Roma la carica di prelati ordinanti per il rito bizantino e portavano, in ricordo della loro antica missione, il titolo di Metropolita di Durazzo.
Il cattolicismo romano è rappresentato oggi in Albania dall'arcivescovado di Durazzo, immediatamente soggetto alla Santa Sede, e dalla metropoli di Scutari, con i tre suffraganei di Alessio, Pulati, Sappa. V'è inoltre la prelatura nullius dioeceseos dell'abbazia benedettina di S. Alessandro dei Mirditi, presso Orosi.
Le origini della sede di Durazzo sono leggendarie: il primo vescovo conosciuto storicamente è Eucario, il nome del quale si ritrova tra quelli dei padri del concilio ecumenico di Efeso (431): ma siccome Durazzo era già la sede di un'importante metropoli, il cristianesimo vi può risalire forse al sec. III. La provincia di Durazzo faceva parte dell'Illirico occidentale e ne seguì le vicissitudini storiche. Appartenne al patriarcato di Roma fino all'anno 733, quando entrò in quello di Costantinopoli. Nondimeno vi si osservava il rito bizantino, e l'arcivescovado latino cominciò soltanto sul principio del sec. XIII, quando, dopo la conquista di Costantinopoli da parte dei Crociati, quel tratto di paese passò sotto il dominio veneto. I vescovadi suffraganei eretti dai Veneziani scomparvero tutti dopo la conquista musulmana del sec. XV. Oggi la giurisdizione della sede di Durazzo si estende su tutta l'Albania centrale e meridionale. Il servizio è disimpegnato dal clero secolare coadiuvato dai francescani; l'arcivescovo risiede a Delbinisht.
Nell'Albania del nord, le due sedi di Scutari e di Alessio risalgono storicamente al sec. IV; quella di Pulati venne eretta prima dell'877, e quella di Sappa forse nel sec. XIV. Dapprima metropoli della Prevalitana, Scutari fu nel sec. XI sottomessa alla metropoli latina di Antivari. Dopo la conquista turca del 1478, per molto tempo venne proibito al vescovo di risiedervi, e soltanto nel sec. XVII egli potè tornare alla sua residenza. Nel 1867 Scutari fu elevata al grado arcivescovile, ma sempre unita ad Antivari, da cui venne separata per divenire metropoli nel 1886, ritenendo tutti i vescovadi che fino allora dipendevano da Antivari. Gli Albanesi delle tre diocesi di Alessio, Pulati e Sappa appartengono in gran parte all'estesa tribù dei Malissori e parlano il dialetto ghego, mentre quelli dell'archidiocesi di Durazzo parlano il dialetto tosco. La prelatura esente di S. Alessandro d'Orosi trae la sua origine da un'antica badia benedettina abbandonata e affidata dapprima al clero secolare, poi ai francescani. La tribù ivi dominante è quella dei Mirditi: lo spirito di indipendenza naturale agli Albanesi ha consigliato l'erezione (nel 1888) dell'antica abbazia in prelatura nullius dioeceseos. Il prelato è, dal 1921, vescovo titolare.
La cura pastorale dei cattolici albanesi è resa assai difficile dalla mancanza quasi completa di strade e, per il lato morale, dal lungo contatto con i musulmani. Il ratto, il concubinato, le superstizioni di vario genere, la vendetta del sangue, persistono ancora e l'apostolato non è ancora riuscito a sradicarli del tutto. Gregorio XIII aveva progettato l'erezione di un Collegio albanese per la formazione del clero allora molto deficiente: ma esso non potè essere iniziato che nel 1858. Ha la sua sede a Scutari ed è affidato ai gesuiti della provincia veneta: conta una quarantina di alunni che vi compiono tutti gli studî fino al sacerdozio. Un delegato apostolico è stato insediato a Scutari nel 1920.
Gli ortodossi albanesi. - Sono in numero di 172.610, secondo il censimento del 1923, ed abitano prevalentemente nell'Albania centrale e meridionale. Le eparchie o diocesi hanno per sedi Durazzo, Berat, Còrizza, e Argirocastro, città che fecero parte successivamente dell'Illirico occidentale sottomesso al patriarcato di Roma, ma col rito bizantino, del patriarcato di Costantinopoli, dell'arcivescovado greco-bulgaro di Ochrida e nuovamente dei patriarcato di Costantinopoli. Dopo la proclamazione dell'indipendenza albanese (1912) si iniziò un movimento per la costituzione di una chiesa autocefala, cioè indipendente dal patriarcato di Costantinopoli. L'iniziativa venne dagli Albanesi emigrati in America settentrionale, capitanati dall'archimandrita, poi vescovo, Fan (Teofano) Noli. Dopo lunghe trattative, Costantinopoli dovette piegarsi alle circostanze e concedere l'autonomia, che da parecchi anni è un fatto compiuto. Il livello culturale della nuova Chiesa è piuttosto basso. Sotto i Greci, tutti i posti in vista erano occupati da Elleni: il personale competente di razza e lingua albanese manca ancora quasi interamente; non vi è nessuna scuola per l'istruzione e la formazione del clero; nel campo liturgico, il greco, finora esclusivamente in uso, viene sostituito man mano dall'albanese.
Non esiste letteratura religiosa albanese, al di fuori delle dottrine tradotte già fin dal sec. XVI dal vescovo cattolico Pietro Budi, che costituiscono, insieme con libretti di preghiere, i monumenti più antichi della lingua scritta. La Biblioteca Vaticana (Stampati, R.G., Liturgia, III, 194) possiede una copia di una specie di messale tradotto in albanese, stampato nel 1555, che sarebbe il primo libro pubblicato in albanese.
I documenti fino all'anno 1406 sono raccolti da Thallóczy, Jireček e Sufflay, Acta et diplomata res Albaniae mediae aetatis illustrantia, Vienna 1913-1918, voll. 2. Per il periodo greco medievale, Miklosich e Muller, Acta Patriarchatus Constantinopolitani, Vienna 1860-1890, voll. 6, è ancora l'unica fonte disponibile, finché non verrà ultimato il Corpus der griechischen Urkunden des Mittelalters und der neueren Zeit delle Accademie di Monaco e di Vienna. Le numerose opere greche relative all'Epiro contengono molti testi relativi alle sedi vescovili di rito bizantino dell'odierna Albania. La storia della chiesa cattolica in Albania non è stata mai scritta: la fonte archivistica più preziosa è costituita dall'archivio di Propaganda fide in Roma, ma risale tutt'al più al 1622. Per i primordî del vicariato apostolico della Cimarra, v. C. Korolevskij, in Bessarione, 1911-1913 (non continuato). Un quadro abbastanza superficiale delle missioni cattoliche in Albania in V. Vannutelli, L'Albania, Roma 1886.
Bibl.: E. Legrand e H. Gûys, Bibliographie albanaise, Parigi-Atene 1912. Le serie vescovili in Farlati, Illyricum sacrum, VII, Venezia 1817; i due Concilî provinciali del 1703 e del 1871, preziosi per la conoscenza dei costumi, nell'Amplissima del Mansi, XXXV, coll. 1375-1436; XLII, coll. 343-454. Sulla storia della Chiesa ortodossa nel periodo medievale veggasi Milan von Sufflay, Die Kirchenzustände im vortürkischen Albanien: Die orthodoxe Durchbruchszone im katholischen Damme, in L. von Thallóczy, Illyrisch-albanische Forschungen, Monaco 1916, I, pp. 188-281. La statistica dei cattolici in Missiones catholicae, Firenze 1922, pp. 15-20.
Lingua
L'albanese è parlato in un'ampia zona che solo in parte corrisponde al regno d'Albania odierno. Questa zona può essere delimitata nel modo seguente: sulla sponda orientale dell'Adriatico, fra il 39° e il 42° grado di latitudine, cioè fra l'Epiro e il Montenegro; da Santi Quaranta si può tracciare una linea ideale che si spinga a nord-est fino a Kastoria, e di qui a nord-nord-ovest fino alle rive meridionali dei laghi di Presba e di Ochrida; seguendo poi i due detti laghi fino a Dibra (Debar) e a Priština sui piani di Còssovo; da Priština la linea ideale continua verso ovest fino al confine meridionale del Montenegro. Naturalmente tale delimitazione è lontana dall'esattezza matematica, in quanto, fuori di detta linea, si trovano parecchi Albanesi in Macedonia (a Skoplje, Kumanovo, Monastir, Tetovo, ecc.), nella parte meridionale del Montenegro, ecc. D'altro lato poi, Greci, Serbi e Aromuni si trovano in alcuni punti entro la linea indicata. La lingua albanese confina così col neoellenico fra Santi Quaranta e Kastoria, coll'aromuno nei monti del Gramos, altrove con lingue slave (bulgaro in Macedonia, serbo più al nord). Il numero dei parlanti albanese non è facilmente calcolabile perché le statistiche delle minoranze negli stati balcanici non possono essere accolte che con molta cautela (100.000 Albanesi in Grecia, 442.000 in Iugoslavia, ma in realtà assai di più!); in totale si avrà circa un milione e mezzo, senza calcolare gli Albanesi delle colonie. Occorre infatti notar subito che al di fuori di questa zona, l'albanese è parlato anche in parecchie regioni isolate, da colonie immigrate; in Grecia (nell'Attica e nelle isole Poros e Hydra, a Megara, Elicona, in Beozia, a Salamina, Spezzia e Andros), in Sicilia e nell'Italia meridionale, nonché in alcuni villaggi isolati, e precisamente: nella Turchia Europea a Arnaut Köi, in Bessarabia a Vulcăneşti e nella Dalmazia italiana a Borgo Erizzo presso Zara. Gli Albanesi di Sicilia si trovano tutti nella provincia di Palermo (a Piana dei Greci, Mezzoiuso, Contessa Entellina, e Palazzo Adriano) e sono comunemente detti "Greci". Gli Albanesi di Calabria sono sparsi in parecchi paesi nei mandamenti di Borgia, Cerzeto, Corigliano Calabro, Cròpani, Fiumefreddo Bruzio, Màida, Montalto Uffiugo, Nicastro, San Demetrio Corone, Savelli e Stròngoli. Queste colonie di Sicilia e di Calabria risalgono alla metà del sec. XV. Più recenti di circa due secoli sono le colonie albanesi della Basilicata e della Puglia (in Basilicata, nei mandamenti di Forenza, Melfi, Noèpoli, Rionero in Vulture; in Puglia, nei mandamenti di Castelnuovo della Daunia, San Giorgio sotto Taranto, Serracapriola, Orsara di Puglia) e del Molise (mandamenti di Guglionesi, Larino e Tèrmoli). Di qualche decennio più recente è l'immigrazione degli Albanesi nel villaggio abruzzese di Badessa (mandamento di Pianella, comune di Rosciano, provincia di Teramo). Nella Dalmazia italiana, a Borgo Erizzo presso Zara, la colonia ghega è giunta sulla metà del settecento. E l'unica colonia ghega fuori del territorio parlante albanese; tutte le altre colonie (Grecia, Italia) sono provenute dall'Albania meridionale e parlano dialetti toschi.
A proposito di questa divisione, occorre avvertire subito che, pur esistendo in albanese parecchie varietà dialettali minori, si ha una netta separazione fra due tipi di dialetti: il settentrionale o ghego e il meridionale o tosco. Tra le più considerevoli differenze fra i due dialetti si può notare che il tosco possiede i dittonghi accentati sul secondo elemento (ié; üé; uá, evoluzione seriore di ué), mentre il ghego li accentua sul primo elemento e posteriormente riduce il secondo (ie > i; üe > ü; ue > u). Inoltre il tosco possiede il rotacismo di n intervocalica (n > r): p. es. a canape corrisponde il ghego kanep, ma il tosco ha kerp. Per quanto la differenza fra tosco e ghego sia considerevole, essa è, relativamente, recente e non può risalire alla differenzaza di lingua fra gli Illirî e gli Epiroti, come credeva il Hahn.
1. Gli Albanesi di Grecia e d'Italia chiamano sé stessi col nome di arbεr, arberes, nome di difficile spiegazione e certamente molto antico. Gli Albanesi d'Albania invece, usano il nome di šk'ip, šk'ipεtar che, secondo G. Meyer, significherebbe "quegli che comprende" dal verbo škjipon "comprendere", di origine latina (lat. excipere). Il primo documento albanese risale al 1462 e si trova in un codice della Biblioteca Laurenziana (cfr. N. Iorga, Notes et extraits pour servir à l'histoire des croisades au XV et XVI siècle, Bucarest 1915, p. 194 seg., e M. Roques, in Romania, L, 1926). Abbiamo poi una liturgia del 1555 di don Gjon Buzuku, di cui si attende ancora la ristampa, annunziata da mons. B. Schirò nel 1910; un catechismo di Luca Matragna del 1592 contenuto nel codice Barber. lat. 3454 (M. La Piana, Il catechismo albanese di L. Matragna, Grottaferrata 1912), lo Speculum confessionis di P. Budi (Roma 1621), e parecchi altri scritti religiosi nei secoli seguenti. Cfr. qui sotto il paragrafo dedicato alla letteratura.
2. L'albanese è una lingua indoeuropea; ciò fu affermato da J. v. Xylander, da A. Schleicher e da G. Stier, ma fu ampiamente provato dal Bopp nel suo lavoro Über das Albanesische in seinen verwandschaftlichen Beziehungen (in Abhandl. d. Preuss. Akad. der Wiss., 1854). Ciononostante qualche linguista non rimase persuaso, p. es. il Pott, il quale anche assai più tardi, quando gli studî albanesi erano molto progrediti, mantenne l'opinione che l'albanese altro non fosse che un resto pre-indoeuropeo illiro-pelasgico, e spiegò i numerali albanesi come prestiti dalle lingue slave.
L'indoeuropeità dell'albanese fu riconosciuta pian piano da tutti ma si trattava di vedere qual posto l'albanese occupasse nella famiglia indoeuropea. Si può dire che dalla metà del sec. XIX fino a oggi il problema sia stato continuamente e vivissimamente dibattuto. Il Bopp, nel sopra citato scritto, aveva molto prudentemente avvertito che l'albanese non è in stretta unione con nessuna delle altre lingue indoeuropee. E aveva ragione. Disgraziatamente lo Schleicher emise la teoria, che poi si dimostrò errata, che l'albanese rientrasse insieme col greco e l'italico in un gruppo di lingue indoeuropee da lui chiamato "pelasgico", e che anzi, nel gruppo stesso, fosse assai più vicino al greco. Questa teoria traviò inutilmente alcuni studiosi di valore che, pur conoscendo perfettamente l'albanese e pur avendo pubblicato opere pregevolissime, si dettero in errate comparazioni albano-greche, come p. es. lo Stier (Zeitschrift f. vergl. Sprachforschung, XI, p. 253) e il nostro Camarda (Saggio di grammatologia comparata sulla lingua albanese, Livorno 1864). Pur non disconoscendo che esistono alcune concordanze greco-albanesi (cfr. Jokl, Griechisch-albanische Studien, in Festschrijt Kretschmer, Vienna 1926, p. 78 segg.) e parecchi elementi greco-antichi (non si parla qui naturalmente dei neoellenici) nel dizionario albanese (cfr. Thumb, in Indogerm. Forschungen, XXVI, p. 1 e segg. e Jokl, in Indogerm. Forsch., XLIV, p. 13 e segg.), l'albanese mantiene una posizione indipendente fra le altre lingue indoeuropee.
Ma esiste un altro problema della massima importanza; di quale lingua del mondo antico è continuatore l'albanese?
Il primo che si sia posto questa domanda e che abbia cercato di risolvere il problema in modo metodico è stato il von Hahn che (in Albanesische Studien, Vienna 1853, I, p. 213 segg.) tentò di spiegare parte dei materiali di nomi proprî illirici tramandati dall'antichità per mezzo dell'albanese, e si pronunziò per l'origine illirica dell'albanese, quantunque le idee ancora diffuse sui Pelasgi gli abbiano un po' offuscato il ragionamento. Del resto, a priori, si era già supposto da altri che gli Albanesi fossero i resti degli Illirî; Gustav Meyer, il migliore albanologo della seconda metà del secolo passato, riconobbe senz'altro che l'albanese era la fase moderna di un'antica parlata illirica (Die Stellung d. Alb. im Kreise d. Indogerm. Sprachen, in Beiträge zur Kunde der indog. Spr., VIII, p. 185 segg.; Gröber, Grundr. d. rom. Phil., I, p. 804 e altrove). Quando poi si trovarono le iscrizioni messapiche e si vide che i Messapî erano una tribù illirica trapiantata in Italia, le prove per l'illiricità degli Albanesi crebbero assai (S. Bugge, Bezzenberger's Beiträge, XVIII, p. 193; Kretschmer, Einl. in d. Gesch. d. griech. Sprache, Gottinga 1895, p. 262 segg.; Ribezzo, La lingua degli antichi Messapi, Napoli 1907, p. 15 segg.). Tuttavia alcuni studiosi si opposero alla teoria illirica, e specialmente Hirt, il quale nella Festschrift für Kiepert, p. 181 segg., sostenne che l'albanese è una continuazione del trace e non dell'illirico. Già il Pauli, Altitalische Forschungen, II, 200, aveva proposto il trace come base dell'albanese e anche le coincidenze armeno-albanesi sembravano render più probabile una derivazione dal trace, che si sapeva unito col frigio. Di questo avviso furono il Pedersen, Zeitschrift f. vergl. Sprachforschung, XXXIX, p. 334 segg., il Barić, Albanorumänische Studien, Sarajevo 1919, p. 19; Zbornik Belić, 1921, 187, n. 3; Archiv za arbanasku starinu, jezik i etnologiju, II (1925), p. 153 segg., e il Weigand, Sind die Albaner die Nachkommen der Illyrer oder der Thraker?, in Balkanarchiv, III (1927), p. 227 segg.
Il Barić nei suoi scritti sopra ricordati parla dell'albanese come di un dialetto trace illirizzato, ed anche lo Jokl nei suoi ultimi lavori, e specialmente nell'articolo Albaner, pubblicato nel Reallexikon der Vorgeschichte dell'Ebert, viene alla conclusione che l'albanese è imparentato tanto col trace che coll'illirico. Naturalmente è impossibile discutere qui una questione così complessa e particolare e che, per di più, ancora si può dire essere sub iudice; la più grande difficoltà al conclusivo chiarimento di questo problema viene dal fatto che tanto l'illirico quanto il trace sono pochissimo conosciuti, e solo da glosse e da nomi di luogo tramandatici dall'antichità.
L'illirico, secondo il Ribezzo, lo Jokl e qualche altro linguista, sarebbe una lingua indoeuropea satəm, secondo Brugmann, Hirt, Pedersen e altri, sarebbe una lingua del gruppo kentum. Il trace secondo Hirt, Indogerm. Forsch., II, p. 143, apparterrebbe a uno speciale gruppo delle lingue kentum, ma secondo i più sarebbe una lingua satəm (Jokl, Barić).
Accanto a molte corrispondenze illiro-albanesi (cfr. Jokl, in Reallexikon der Vorgesch., I, p. 86 segg.) se ne aggiungono altre traco-albanesi (Jokl, ibidem, p. 88 segg.), non sempre facilmente determinabili per la lacunosità del materiale a nostra disposízione e per la vicinanza che pare essere esistita fin dall'antichità fra il trace e l'illirico (Jokl, in Reallexikon der Vorgesch., I, p. 89 segg. e IV, p. 43 segg.; Barić, Archiv, cit., II, p. 152 segg.). L'ammettere che l'illirico o il trace rappresentino la fase più antica dell'albanese, non è solo una questione linguistica di primaria importanza, ma porta anche conseguenze sulla autoctonia o meno degli Albanesi nelle sedi ora occupate; infatti la zona ora abitata dagli Albanesi era zona illirica, e solo nell'estremo sud anche trace. Ora se gli Albanesi sono discendenti dei Traci, è giocoforza ammettere che essi siano venuti dal sud al nord e dall'est all'ovest. Secondo il Weigand (Balkanarchiv, III, 1927, p. 231 segg.) contro l'autoctonia degli Albanesi parlano diversi elementi: i nomi di luogo latini non seguono i mutamenti fonetici proprî all'albanese, ma quelli dell'antico dalmatico; la terminologia marinaresca e peschereccia è di origine straniera, cosa quasi impossibile per un popolo che avesse avuto sempre le sue sedi sulla riva dell'Adriatico; non esistono influssi dalmatici in albanese, ma solo italiani e veneti; in albanese ci sono parecchie parole che si possono provare di origine trace, mentre parecchi nomi proprî di persona e di luogo traci e daci si spiegano coll'aiuto dell'albanese. Se gli Albanesi avessero sempre abitato l'odierna Albania, i nomi di luogo più antichi dovrebbero aver assunto il sistema fonetico albanese; gli Albanesi non sono nominati prima del sec. XI, quantunque la regione dove ora abitano sia ricordata in parecchi documenti anteriori; i rapporti romeno-albanesi e in generale balcanici esigono un contatto fra gli Albanesi e i Valacchi, ecc., ecc. Per quanto non tutti questi punti reggano alla critica, pure, allo stato dei fatti odierno è d'uopo ritenere che non solo l'illirico rappresenti la base indoeuropea dell'albanese, ma una lingua illiro-trace, o, più probabilmente un dialetto trace illirizzato. Così si spiegano anche le coincidenze sintattiche e fonetiche che si chiamano "balcaniche".
3. Gli elementi indoeuropei dell'albanese sono, dal punto di vista lessicale, assai pochi. Gustav Meyer nel suo Dizionario etimologico albanese (Etymol. Wörterbuch d. alban. Sprache, Strasburgo 1891) ne ammette circa 400 su 5000 parole; meno dunque del 10%; tuttavia le ricerche etimologiche posteriori, dello Jokl, del Barić e di altri linguisti, hanno accresciuto considerevolmente il numero degli elementi formanti il patrimonio primitivo. Il latino in primo luogo ha esercitato un forte influsso sulla morfologia e sul lessico albanese, talché l'albanese fu da alcuni ritenuto come una lingua mista, una lingua semi-neolatina. È certo che l'albanese era sulla strada di trasformarsi in una lingua neolatina; e così sarebbe avvenuto se l'influsso romano fosse continuato più a lungo. Fra gli elementi stranieri si aggiungono gli elementi italiani, più frequenti, come è naturale, negli Albanesi d'Italia, quelli greci al sud, quelli slavi (bulgari e serbi) e le numerosissime voci turche che arricchiscono il vocabolario del dialetto ghego.
La fonetica degli elementi autoctoni (e cioè indoeuropei) è caratterizzata specialmente da: indoeur. ē > alb. o, p. es. *lēdō > alb. l'oϑ "io stanco", cfr. gr. ληδεϊν, got. lēta; indoeur. o > alb. a, *noa > alb. na "noi" (lat. nos-ter); indoeur. ō > alb. e, p. es. *gnō "conoscere", alb. néh "tu conosci" (lat. gnosco, nosco, gr. γνώσκω, γι-γνώσκω); indoeur. s > alb. ǵ (accanto a š, h, ϑ), p. es. alb. ǵašte "sei" cfr. lat. sex; indoeur. sk > alb. h: v. l'esempio di ńeh, gnosco già citato. È notevole inoltre il mutamento delle sorde in sonore dopo nasali, l'esito v- dall'indoeur. sv- (indoeur. *sve > alb. vetε "stesso"), le corrispondenze delle gutturali palat. indoeur. ø > alb. δ, tosc. δεmp "dente", ant. sl. zïbû, gr. γόμϕος; indoeur. øh > alb. δ, maϑ (coll'articolo determinato maδi) "grande", ant. ind. mah-, gr. μέγας; indoeur. k > alb. δ ecc., ecc. (sulle gutturali albanesi cfr. Pedersen, in Zeitschrift f. vergl. Sprachforschung, XXXVI, p. 277 segg.).
Nella morfologia, molti elementi che si credevano latini sono stati da posteriori ricerche restituiti al fondo linguistico originale, così p. es. i frequentissimi verbi in -oń (Pedersen, in Jahresbericht über die Fortschritte d. rom. Philologie del Vollmöller, IX,1, 210) e quasi tutto il sistema di coniugazione (Pedersen, Albanesische Texte mit Glossar, Lipsia 1895).
L'elemento latino dell'albanese è in grande concordanza col romeno, col dalmatico e cogli elementi latini penetrati nel serbocroato, nel neoellenico, sia foneticamente sia lessicalmente. Dal punto di vista lessicale si può ricordar *filianus "figlioccio" > alb. fijan, rum. fin; hospitium "casa", alb. štepí, neoell. σπίτι, rum. ospăţ "banchetto"; per la parte fonetica, si può vedere Meyer, Die lateinische Elemente im Albanesischen (2ª ed. curata dal Meyer-Lübke), nel Grundriss d. rom. Philologie del Gröber, I, Strasburgo 1906-08, p. 1038 segg.
4. Sebbene la posizione linguistica dell'albanese sia ben definita, si trovano parecchi punti di contatto, specialmente sintattici e stilistici, fra albanese, romeno e spesso anche bulgaro e neoellenico, contatti che ravvicinano tutte queste lingue, le quali, pure appartenendo a diverse famiglie, hanno avuto rapporti reciproci, influssi estranei comuni e, in buona parte, si sono svolte su territorî abitati un tempo da genti che parlavano lingue affini (Traci, Daci, Illirî). Alcuni linguisti hanno denominato queste lingue lingue balcaniche, e filologia balcanica la scienza che si occupa dello studio dei contatti e dei rapporti fra i detti idiomi. Per es. in albanese, in romeno e in bulgaro troviamo l'articolo determinativo posposto al nome: rumeno om-ul "l'uomo"; carte-a "il libro"; frate-le "il fratello", ecc.; albanese ka-u "il bue"; gur-i "la pietra"; štεpi-ja "la casa"; ujε-tε "l'acqua"; bulgaro voda-ta l'acqua; selo-to "il villaggio". In tutte le lingue balcaniche un infinito in una proposizione secondaria è sostituito dal congiuntivo (o indicativo), p. es. rum. te rog să vii "ti prego di venire" (lett. ti prego che venga); alb. tše mundeš te beńeš? "Che cosa puoi fare (che tu fai?)"; bulg. ne možeš da skriješ "non puoi nascondere"; neoell. δεν μπορῶ νὰ σοῦ τὸ δώκω "non te lo posso dare"; serbocroato što imam da platim? "che cosa debbo pagare?".
La formazione dei numerali (11-19), l'uso sostantivale del participio passato e moltissime altre coincidenze fonetiche, morfologiche e specialmente sintattiche e semasiologiche giustificano il ravvicinamento di queste lingue. Ma per tutto questo v. balcani: Lingue, e bibliografia ivi citata.
Bibl.: Per i territorî balcanici parlanti albanese, cfr. Hahn, Albanesische Studien, Vienna 1853, p. 14, segg.; Barbarich, Albania, Roma 1905; Jokl, in Streitberg, Gesch. der indogerm. Sprachwissenschaft, 1917 (II/III), p. 110 ed ivi bibliografia. Per gli Albanesi di Macedonia cfr. Mladenov, Bemerkungen über die Albaner und das Albanische in Nordmakedonien und Altserbien, in Balkanarchiv, I (1925), p. 43 segg. Per l'albanese di Grecia cfr. G. Meyer, Albanesische Studien, V, in Sitzungsber. der Wien Akad., CXXXIV, e G. Weigand, Das Albanesische in Attika, in Balkanarchiv, II (1926), p. 167 segg., e la lett. ivi citata (per la popolazione cfr. anche: Philippson, in Zeitschr. f. allg. Erdkunde, XXV (1890), p. 400 segg. e Verk. Gsell. f. Erdkunde, XV (1888), p. 446 segg.). Per gli albanesi di Borgo Erizzo cfr. Weigand, Der gegische Dialekt von Borgo Erizzo bei Zara in Dalmatien in XVII-XVIII Jahrsbericht d. Inst. f. rum. Sprache zu Leipzig, 1911, p. 172 segg. Per gli Albanesi d'Italia v. i cenni statistici del Bartoli, Italia linguistica (nella Grammatica storica della lingua italiana del Meyer-Lübke, 2ª ed., Torino 1927) e gli studî del Lambertz, Indogerm. Jahrbuch, II, p. i segg., e Italo-albanische Studien, in Zeitschrift f. vergl. Sprachforschung, LI (1923) e LIII (1925). Per gli Albanesi di Sicilia cfr. Schirò, Canti tradizionali ed altri saggi delle colonie albanesi di Sicilia, Napoli 1923, e Anonimo: Piana dei Greci. Guida illustrata delle Colonie albanesi di Sicilia, Palermo 1922. Per gli albanesi di Calabria cfr. da ultimo Pisitto-Tocci, Gli Albanesi in Calabria, in Arch. stor. per la Calabria, II, 1914, e Scaglione, Storia degli Albanesi d'Italia (in alb.), New York 1921. Del resto, dei dialetti albanesi d'Italia si erano occupati da molto tempo gli studiosi: cfr. L. Bonaparte, in Trans. of the Phil. Society, Londra 1884, p. 492 segg. e Hanusz, Mémoires de la Soc. de linguistique de Paris, VI, p. 263 segg. Per altri dialetti albanesi cfr. Pekmezi, Grammatik d. alb Sprache, Vienna 1908; Anzeiger d. Wiener Akad., 1901; Lambertz, Anzeiger d. Wien. Akad., 1916 e Albanische Märchen, Vienna 1922; Pedersen, Albanesische Texte mit Glossar, Lipsia 1895. Per dialetto tosco cfr. Christoforidi, Γραμματικη της ἀλβ. γλώσσης e Jarnik, Přispěvky ku poznáni nářečí albánských, Praga 1883; G. Meyer, Albanesische Studien, VI. Una grammatica in dialetto ghego è quella del Weigand, Alb. Gramm. im südgeg. Dial., Lipsia 1913. Sul rotacismo cfr. Balota, La nasalisation et le rothacisme (sic!) dans les langues alb. et roum., Bucarest 1926; Rosetti, Études sur le rhotacisme romain, Parigi 1924; Skok, in Archiv za arb. star., II (1924), p. 325 segg.
Sulla parentela dell'albanese, oltre gli art. cit. nel testo, v. G. Meyer, Die Stellung d. Alb. im Kreise d. idg. Sprachen, in Beiträge del Bezzenberger, VIII, p. 185 segg.; Kretschmer, Einleitung in die Gesch. d. griech. Sprache, Gottinga 1895, p. 261 segg., p. 422 e la ricca bibliografia in citata; Hirt, Die Indogermanen, I, II, p. 600; F. Nopcsa, Sind die heutigen Albanesen die Nachkommen d. alten Illyrier?, in Zeitschr. f. Ethn., XLIX, p. 915 segg. Tutta la più recente discussione del problema presso Jokl, in Ebert, Reallexikon d. Vorgeschichte, articoli Albaner, Illyrier e Thraker ed ivi ampia bibliografia sugli Illirî e sui Traci (per cui v., per altro, anche i rispettivi articoli in questa enciclopedia) e la recensione del Barić in Archiv za arbanasku starinu, jezik i etnologiji, II, p. 151 segg.; Thallóczy, Illyrisch-albanische-Forschungen, Monaco 1916.
Per un'esposizione generale della grammatica albanese, cfr. G. Meyer, Kurzgefasste alb. Grammatik, Lipsia 1888; Pekmezi, Gramm. d. alb. Sprache, Vienna 1908 e le più brevi grammatiche del Weigand, ecc. In italiano abbiamo solo manuali pratici del Librandi, ed. 1927 (albanese d'Italia); del Leotti (dial. tosco, Heidelberg 1914, dial. ghego, Milano 1916), ecc. Non esiste ancora una grammatica storica albanese. Per la fonetica cfr. G. Meyer, Lautlehre d. indogerm. Bestandteile d. Alban., in Alban. Studien, IIII, Vienna 1892. Per l'influenza latina in generale, cfr. Schuchardt, in Zeitschr. f. vergl. Sprachforsch., XX (1872), p. 241 segg.; Miklosich, Alb. Forschungen, II, Vienna 1871 e G. Meyer, in Gröber, Grundriss citato. Per l'influsso latino sulla morfologia, cfr. G. Meyer, Der lat. Einfluss auf die alb. Formenlehre, in Miscellanea di filol. e linguistica in memoria di N. Caix e di U. A. Canello, Firenze 1886, p. 103 segg., modificato in parte dagli articoli citati del Pedersen. Per gli elementi italiani cfr. Helbig, Die italienischen Elemente d. Alban, in Jahresbericht des Inst. f. rum. Sprache, X, 1903; per gli elementi slavi e greci mancano ancora trattazioni particolari; cfr. Miklosich, Die slavischen Elemente im Albanischen, in Denkschr. Wien, XIX. Per gli elementi turchi cfr. Miklosich, Die türkischen Elemente in den südost-und osteuropäischen Sprachen, in Denkschr. Wien, XXXIV segg. Per i rapporti albanesi-romeni cfr. Th. Capidan, Raporturile albano-române, in Dacoromania, II (1922), p. 444 segg. Per le etimologie cfr. il citato dizionario del Meyer, 1891, e le più recenti ricerche dello Jokl, Studien zur albanesischen Etymologie u. Wortbildung, in Sitzungsber. der Akad. Wien, CLXVIII (1914); Linguistisch-kulturhistorische Untersuchungen a. d. Bereich d. Albanischen, Berlino 1923; del Barić, Albano-rumänische Studien, Sarajevo 1919, ecc.
Letteratura.
Se si eccettui la traduzione di alcuni testi liturgici latini e dei sette salmi penitenziali, compiuta da don Gjon Buzuku (1555) e conservata nella Biblioteca vaticana in un'unica copia, non si conoscono testi albanesi anteriori al 1635, anno in cui fu pubblicato, coi tipi di Propaganda Fide, il Dictionarium Latino-Epiroticum del P. Francesco Blanco, con dedica in latino, prefazione in albanese, avvertenze in latino e un dizionario latino-albanese di circa 5000 voci, seguito da alcune regole grammaticali, da sentenze e proverbî e da un dialogo. A quest'opera, destinata specialmente agli ecclesiastici albanesi non molto esperti di latino, tennero dietro varie traduzioni di catechismi e libretti di preghiere per la diffusione del cattolicismo: testi che hanno importanza solo come primi documenti scritti della lingua. Alla quale mancò - e manca tuttora - l'inestimabile pregio dell'unità; i quattro dialetti (ghego o settentrionale, tosco o meridionale, greco-albanese ed italo-albanese) vi sono inegualmente rappresentati. Si comprende facilmente come presso un popolo diviso e suddiviso, sempre tormentato da guerre e invasioni e tirannie, chiuso e in massima parte inaccessibile - sino a pochi decennî or sono - alla cultura e alla moderna civiltà, la letteratura non abbia potuto fiorire se non come poesia popolare. Nelle ballate, e in parte anche nelle liriche, è evidente l'imitazione dei canti popolari greci, generalmente superiori per grazia e fantasia. Dei canti epici nazionali si è conservato, presso gli Albanesi di Sicilia, un gruppo che esalta le gesta del grande patriota e guerriero Giorgio Castriota Scanderbeg, riprodotti e riadattati nelle Rapsodie d'un poema albanese (1866) di Girolamo de Rada.
Un solo poeta d'arte troviamo nel settentrione, Neçin bey, le cui elegie, in dialetto ghego cosparso di voci turco-arabo-persiane (a sfoggio dell'erudizione dell'autore), sono di difficile intelligenza; ma anche, almeno a giudicare dagli otto saggi che ne dà il Hahn, di scarso valore poetico. Celebrano la bellezza di un nipote a lui carissimo, e, mortogli questi, quella di un altro adolescente, secondo il costume diffuso tra i Gheghi di avere, prima che con la fidanzata, un legame di affetto - quasi sempre puro - con giovinetti. Solo presso gli Albanesi immigrati in Italia (1399-1744) e stabilitisi in alcuni paesi della Calabria e del Palermitano (Piana dei Greci) si ebbe, appunto per le tanto differenti condizioni di vita e per lo stretto contatto con la nostra civiltà, una fioritura letteraria notevole. A ragione vien lodata l'originalità, la grazia, la fine comicità del santo prete Giulio Variboba (nato circa il 1730), che in un poemetto polimetro cantò La vita di Santa Maria Vergine. Accanto alla sua poesia rustica, ma fresca e spontanea, fanno piuttosto magra figura, per quanto ben più pure di lingua e tornite di stile, le opere del prete Santori, del bohémien Serembe, del socialista Straticò. Né possiamo fermarci su alcune opere intorno alle origini albanesi, come quelle di Vl'ncenzo Dorsa, nelle quali il patriottico entusiasmo non si accompagna ad una seria preparazione scientifica. Fra i più recenti e benemeriti cultori della lingua e letteratura patria, accenniamo solo a M. Marchianò e G. Schirò, ambedue solerti editori e traduttori di canti popolari e di poesie sacre e il secondo (che tenne la cattedra di albanese, fondata nel 1900, nell'Istituto orientale di Napoli) poeta egli stesso (Canti della battaglia, Nella terra straniera, Mili e Haidhia). In questi ultimi decennî anche la letteratura prende più viva parte al risveglio intellettuale del popolo mediante riviste, traduzioni e opuscoli patriottici, ma senza che vi emergano scrittori di fama europea.
Bibl.: E. Legrand e H. Gûys, Bibliographie alb... du XV siècle à 1900, Parigi 1912; A. Straticò, Letteratura albanese, Milano 1896; 2ª ed. 1928 (poco felice tentativo, ma che ha diritto ad indulgenza, come primo del genere); J. G. von Hahn, Albanesische Studien, Jena 1854 (nella seconda parte, numerosi saggi di canzoni, proverbî, ecc., p. 169); D. Camarda, Appendice al Saggio di grammatologia comparata sulla (sic) lingua albanese, Livorno 1864 e Prato 1866; G. Schirò, Canti sacri delle colonie albanesi in Sicilia, Palermo 1907; id., Saggi letterarî albanesi, 1909.
Arte.
L'Albania è priva di un'arte originale sua propria, per ragioni che si riferiscono anche alla sua conformazione geografica e alle sue vicissitudini storiche. Regione assai montana, è poco abitata e quindi priva di grandi agglomerati di gente che potessero esigere costruzioni notevoli, abbellite dalle manifestazioni dell'arte. Inoltre il continuo susseguirsi dei dominî stranieri, durato fino a pochi anni or sono, ha impedito il sorgere e il fiorire d'un'arte propriamente albanese. Anzi le vestigia monumentali sono resti di architetture erette esclusivamente da stranieri, e non sono nemmeno manifestazioni artistiche prodotte dagli indigeni ad imitazione di quelle dei dominatori. Il popolo albanese è stato ed è così profondamente conservatore del proprio patrimonio culturale che, come ha conservato anche oggi interessanti usanze che risalgono a tempi omerici, così non ha quasi mai accolto o rielaborato le forme culturali delle genti colle quali è venuto a contatto.
Soltanto l'impero romano riuscì a far penetrare in qualche misura negl'Illirî, i progenitori degli odierni Albanesi, la propria civiltà. Così, del periodo bizantino, rimangono in Albania non poche tracce, le quali in generale s'incontrano specialmente nelle zone meridionali, cioè nelle provincie di Argirocastro, Valona e Còrizza più vicine al mondo greco-bizantino. Per esempio, su l'acropoli di Feniki, scavata nel 1926 dalla Missione archeologica italiana, un thesauros del IV sec. a. C. fu trasformato in battistero. Ma eccellono, su tutti, i resti scoperti nell'acropoli di Butrinto (antica Buthrotum) durante gli scavi compiuti nella primavera del 1928 dalla Missione archeologica italiana in Albania. Tra questi è specialmente notevole un diruto battistero (forse del sec. VIII d. C.) di forma circolare, di circa 19 m. di diametro, con vasca battesimale marmorea nel centro e 16 colonne di granito che reggevano la copertura. Il pavimento è a mosaico policromo, con due rappresentazioni simboliche (il Battesimo e l'Eucarestia), 64 animali racchiusi in medaglioni, nonché varî motivi decorativi geometrici e floreali. Notevole costruzione bizantina di data antica è pure la semidistrutta chiesa dei Santi Quaranta, posta a pochi minuti dall'omonimo scalo marittimo albanese. Più recente, poiché risale circa al 1000, è la chiesa di Mesopotamo presso Delvino, la quale, per le cupole e le decorazioni a mattoni diritti e curvi formanti disegni geometrici, si ricollega alle consimili chiese della Grecia continentale. Alcune chiese albanesi di questa età presentano iscrizioni poste lungo le facciate esterne ed eseguite pure con mattoni nel muro di pietra.
A Venezia si devono le costruzioni specialmente di numerosi forti e castelli, ora quasi tutti in rovina. Ai primi, sorti forse verso la fine del 1200, ne seguirono altri, ben più potenti, costruiti durante l'epica lotta che Venezia, aiutata poi dagli stessi Albanesi guidati dallo Scanderbeg, sostenne contro i Turchi invasori dei Balcani. Sulle porte di alcuni castelli, ad es. quello di Scutari, era il leone alato. Anche a Butrinto sono resti notevoli del castello veneziano; presso Valona, si notavano fino a pochi anni fa ruderi di fortificazioni veneziane; a Vunò, nell'Acroceraunia, esiste un'assai rozza scultura locale rappresentante il simbolo della Serenissima. Sono invece soltanto parzialmente veneziane le fortificazioni di Durazzo e di Alessio. Verso la fine del 1400, alla influenza politica e commerciale di Venezia segue in Albania il dominio turco, che la getta nella schiavitù e nell'avvilimento, determinando un periodo d'inerzia artistica, che anche da parte turca ha poche eccezioni in qualche moschea e torre, specie nell'Albania centrale. Ma anche di qui è per lo più lontano ogni principio artistico; anzi in qualche caso l'odierna giāmi‛ non è che una chiesa bizantina o veneziana, trasformata con la sola aggiunta di un minareto.
L'Albania è invece ricchissima d'arte applicata alle piccole industrie, etnograficamente interessanti. Alla passione vivissima dell'Albanese per le armi vengono incontro gli orafi locali, adornandole con metalli preziosi e lavorandole finemente. Alcune impugnature di spade e di pistole, eseguite in argento, oppure larghi cinturoni femminili, anche di argento bulinato e cesellato, costituiscono spesso vere opere d'arte. Assai caratteristici sono anche tutti gli altri ornamenti dei costumi nazionali, tanto maschili quanto femminili. Anche il legno scolpito è assai ricercato, specie nell'Albania settentrionale, come a Scutari, e lo si vede soprattutto in speciali rivestimenti di stanze. Le stoffe infine, lavorate al telaio o a mano dopo la tessitura, hanno una singolare varietà di disegni e vivacità di colori. I motivi ornamentali, in genere, sono molto antichi nel soggetto, nello stile e nella disposizione.