Albania
di Silvia Lilli
Stato dell’Europa mediterranea, posto nel settore sudoccidentale della penisola balcanica. Al censimento del 2011 la popolazio ne risultava di 2.831.741 ab., con una decrescita del 7,7% rispetto al censimento del 2001, dovuta a un tasso di emigrazione che si mantiene piuttosto alto (−3,31‰ nel 2014) e a un incremento naturale contenuto (5,5‰ nel 2013); nel complesso, il 48% degli abitanti ha meno di 29 anni. Per il 2014 UNDESA (United Nations Department of Economicand Social Affairs) stimava una popolazione di 3.185.413 abitanti. La popolazione urbana ha superato, per la prima volta, quella rurale (53,7%); il maggiore centro urbano, Tirana, nel 2011 registrava 418.500 abitanti. La composizione etnica è piuttosto variegata e numerose sono le minoranze accanto alla maggioranza albanese (82%); composito anche il quadro religioso, con una prevalenza di musulmani (56,7%), seguiti da cattolici (10%) e ortodossi (6,7%). Le condizioni socioeconomiche presentano alcune criticità: quasi il 9% della popolazione non ha accesso ai servizi sanitari e il 14% vive al di sotto della soglia di povertà; la disoccupazione rimane molto elevata (17%), mentre il lavoro minorile è al 12%.
L’economia albanese si fonda ancora in maniera prevalente sul settore agricolo che impiega quasi la metà della popolazione; prevalgono l’agricoltura di sussistenza e l’allevamento condotto su microfondi, mentre in espansione è la coltivazione di Cannabis indica. Il settore industriale è poco sviluppato e contribuisce a meno di un quinto del PIL. Ruolo fondamentale per l’economia albanese è il flusso di rimesse degli emigrati, che coprono circa il 10% del PIL. Altissimo rimane tuttavia il settore sommerso dell’economia, soprattutto per quanto riguarda la tratta degli esseri umani destinati allo sfruttamento sessuale e al lavoro forzato.
Negli ultimi anni l’A. ha rafforzato i rapporti con l’Europa e con gli Stati Uniti, aderendo alla NATO nel 2009 e firmando nel 2006 un accordo di stabilizzazione e associazione con l’Unione Europea (UE), entrato in vigore nel 2009. Nel giugno 2014 l’A. ha ottenuto lo status di Paese candidato per l’ingresso nell’Unione Europea, in considerazione dei progressi fatti verso il soddisfacimento dei criteri politici (riforme giuridiche e della Pubblica amministrazione, lotta al crimine organizzato).
di Lorena Pullumbi
L’integrazione euroatlantica rimase il pilastro dei programmi politici dei governi che si susseguirono nel primo decennio del 21° sec. in Albania. Un passo importante in tale direzione fu la firma dell’Accordo di stabilizzazione e associazione con l’Unione Europea (UE) nel 2006, in forza del quale il Paese poté contare su un importante sostegno istituzionale e finanziario da parte della UE. Nell’aprile del 2009 l’A. presentò la sua richiesta formale di adesione al-l’Unione, che venne rifiutata, ma controbilanciata dall’istituzione di un regime di esenzione dall’obbligo di visti Schengen per i cittadini albanesi. Tale decisione sollevò tuttavia critiche e timori di un aumento delle domande di asilo.
Il divario tra i due poli dello spettro politico – guidati rispettivamente dal Partito socialista (PS) e dal Partito democratico d’Albania (PD) – rimaneva assai ampio, con l’eccezione dell’emergente Movimento socialista per l’integrazione (LSI) che, nato sotto la leadership dell’ex premier Ilir Meta come forza politica di rinnovamento distaccatasi dal PS, si dimostrò abile nell’usare il suo potere contrattuale per trattare con entrambi gli schieramenti. In questo contesto, le elezioni parlamentari del giugno 2009 costituirono uno spartiacque nella storia politica dell’A.: dopo il voto, che vide prevalere per soli 4 seggi la coalizione a sostegno del PD (70 seggi contro 66), per la prima volta andò al potere un governo di coalizione che comprendeva partiti di entrambe le fazioni dello schieramento politico (PD, LSI e Partito repubblicano). Alla guida dell’esecutivo fu confermato il leader del PD Sali Berisha, tra i principali protagonisti della politica albanese negli anni della transizione postcomunista.
Per garantire lo sviluppo economico, il premier promise un’ampia riforma del sistema fiscale al fine di supportare l’imprenditoria e attrarre gli investimenti stranieri, proseguendo inoltre il processo di privatizzazione delle principali imprese del Paese e assicurando maggiori sforzi per combattere il fenomeno corruttivo assai radicato in A., con accuse di corruzione pendenti anche su alcuni uomini del suo precedente governo. Berisha rivendicò inoltre i successi della sua politica di avvicinamento all’Occidente, culminata nell’adesione del Paese alla NATO nell’aprile del 2009. Il peso militare di Tirana ebbe un modesto impatto strategico sull’Alleanza atlantica, ma la sua adesione contribuì a favorire un’ulteriore stabilizzazione della regione balcanica. La gravitazione verso Occidente dell’A. fu tuttavia minata dalla paralisi nella quale entrò la vita politica per via di una forte opposizione agli esiti delle elezioni da parte del PS. Esponenti del partito iniziarono uno sciopero della fame che fu interrotto dopo che la Commissione di Venezia – organo del Consiglio d’Europa – venne chiamata a dare la sua opinio ne. La tensione politica raggiunse il suo apice il 21 gennaio 2011, quando le guardie repubblicane spararono dall’edificio del governo uccidendo quattro civili disarmati, durante una manifestazione antigovernativa indetta dal PS, in seguito a uno scandalo di corruzione che coinvolgeva Meta. Il peso di questo episodio non minò la reputazione politica di Meta, il quale nel 2013 entrò nella coalizione di governo guidata da Edi Rama – leader del PS uscito vincitore dalle elezioni parlamentari del mese di giugno – diventando il nuovo presidente del Parlamento. All’indomani della sconfitta elettorale, Berisha decise di lasciare la leadership del PD. La proiezione di Tirana verso la UE fu ulteriormente rafforzata nel giugno 2014 con la concessione all’A. dello status di Paese candidato all’ingresso nell’Unione.