ALBANY, Luisa, principessa di Stolberg, contessa d'
Figlia del principe Gustavo Adolfo di Stolberg-Gedern, nacque a Mons, nel Belgio, il 20 settembre 1752. Allevata nel monastero di SainteWaudru, ne divenne, a sedici anni, canonichessa. Era una giovinetta leggiadra, tedesca di nome, ma francese di spirito e di brio, che ebbe presto adoratori. A lei pensò il duca d'Aiguillon, ministro di Francia per gli affari esteri, quando, nel 1771, volle dar moglie al pretendente inglese, Carlo Eduardo Stuart. Così la politica di Luigi XV gettava una graziosa inesperta fanciulla tra le braccia d'un uomo che, da giovine, avea rivelato altezza d'animo e tentato con fortuna di riacquistare il trono avito, ma poi, perduta ogni speranza, s'era invecchiato anzi tempo, era divenuto ubriacone, brutale, misantropo per vanità ferita. Egli era l'ultimo della famiglia, e la Francia aveva interesse che questa non si estinguesse. Per non destare i sospetti dell'Inghilterra, la corte francese volle che il matrimonio si celebrasse quasi segretamente: il che avvenne a Macerata, il 15 aprile 1772, nella cappella del palazzo Marefoschi. Gli sposi si stabilirono a Roma, ove Carlo Eduardo tentò invano di far riconoscere la sua sovranità dalla S. Sede, che pure avea già riconosciuto quella di suo padre Giacomo III, e donde egli bruscamente partì nel 1774, per stabilirsi a Firenze, essendogli stati negati gli onori che credeva dovuti al suo rango.
Verso la fine del '77, Vittorio Alfieri viene a Firenze, comincia a frequentare le conversazioni della contessa. "Un dolce focoso negli occhi nerissimi accoppiatosi (che raro addiviene) con candidissima pelle e biondi capelli, davano alla di lei bellezza un risalto, da cui difficile era di non rimanere colpito e conquiso. Età di anni venticinque; molta propensione alle bell'arti e alle lettere; indole d'oro; e, malgrado gli agi di cui abbondava, penose e dispiacevoli circostanze domestiche, che poco la lasciavano essere, come il dovea, avventurata e contenta" (Vita, ep. IV, c. V). Questa donna, che diede all'Alfieri la "quarta ed ultima febbre del cuore", era "angustiata da intimi dispiaceri domestici cagionatile dal querulo, sragionevole e sempre ebro attempato marito" (Vita, ep. IV, c. VII). Il Bertana considera "il degno amore" come il più complicato problema psicologico della vita dell'Alfieri. Fu la contessa d'Albany, egli domanda, il mortale numen del poeta, o non piuttosto la donna ritratta dal D'Azeglio nei Miei ricordi, dal Giordani nello scritto Intorno alla spedizione di C.O. Stuart, dal Brofferio ne' Miei tempi? Ma non si comprende come si possano confondere due donne così diverse, come la Luisa d'Albany giovane bella arguta, riverita come regina, adorata dall'Alfieri, e la contessa d'Albany, a cui si riferiscono quelle tarde testimonianze, vecchia disfatta scettica, e, per di più, invescata nella ridicola tresca col pittore Fabre, sopravvissuta vent'anni all'Alfieri. Il Bertana vuol confutare il Reumont, che chiama questo amore "il centro della vita spirituale dell'Alfieri" e non vede nella contessa d'A. alcuna vera bontà o virtù, ma soltanto una superficiale cultura da regina di salotto (dipingeva, raccoglieva incisioni, nelle sue note di viaggio descriveva opere d'arte), molta e piacevole finezza nell'arte di conversare, una natura morbida e serena. Tuttavia, essa fu un'amica ragionevole e discreta, quale occorreva a un poeta che non volea sacrificare studî e poesia all'amore; e poté ispirargli le liriche più belle, e l'Alceste seconda ultimo mirabile frutto della fantasia alfieriana. Lo stesso Alfieri dice che in essa trovò "sprone e conforto ed esempio ad ogni bell'opera" (Vita, ep. IV, c. VI). Lusingata, in essi, era anche un po' la vanità: ella, una regina; lui, il poeta più grande d'Italia e, in parte per merito di lei, il più illustre. Ma, certo, nel loro amore era, accanto alla reciproca soddisfazione d'un alto amor proprio, anche una fervida passione, mutatasi con gli anni in una cara abitudine, in una tenera amicizia.
Esasperata dalla volgarità del marito, la contessa, nel 1780, riuscì a rifugiarsi, con l'aiuto del governo toscano, nel convento delle Bianchette, donde chiese protezione e asilo a Roma al cardinale Enrico di York, fratello di Carlo Eduardo. Il cardinale le ottenne, con breve di Pio VI, facoltà di ritirarsi nel convento delle Orsoline a Roma. Di qui, mercé l'intervento di Maria Antonietta regina di Francia, che le fece assegnare una pensione per renderla indipendente dal marito, verso la fine di marzo del 1781, essa andò ad abitare nel palazzo della Cancelleria, residenza del cardinale di York. Qui l'Alfieri la raggiunse; ma lo scandalo sollevato costrinse il poeta a lasciar Roma il 4 maggio 1783; fino a che, avendo la contessa, col favore di Gustavo III re di Svezia, ottenuta la separazione legale da Carlo Eduardo, egli si ricongiunse a Colmar, in Alsazia, nell'agosto dell'84, alla sua donna. Da allora, sino al '92, i due amanti stettero quasi sempre insieme o in Alsazia o a Parigi. L'Alfieri non amava Parigi: lo si vedeva ne' circoli parigini tenere il pomo d'oro della sua mazza su le labbra, quasi novo Arpocrate: aveva imparato "da quei ciarlieri la sublime arte del tacere". E forse si rammaricava di non poter brillare di luce propria, lui taciturno cupo scontroso, nel salotto della contessa, che, gaia loquace briosa, era corteggiata dai più insigni uomini di Parigi o di passaggio a Parigi, mentre egli se ne stava in un canto burbero e accigliato. Frequentavano quel salotto il David, il Beaumarchais, il Necker, Giuseppina di Beauharnais, Madame de Stael, il Malesherbes, il Pindemonte, i due fratelli Chénier, il più geniale de' quali, Andrea, fu l'unico francese caro al nostro poeta. Nel febbraio del 1788, Luisa Stolberg ricevé la nuova della morte del marito a Roma. I due amanti non si sposarono: non giovava alla contessa d'Albany diventare contessa Alfieri, né a lui "avere una semplice contessa per moglie, potendo avere per amante una regina!" Avvicinandosi i giorni del Terrore e le feroci persecuzioni contro gli aristocratici, e ottenuti a stento i passaporti (le schiavesche patenti), essi fuggirono da Parigi, il 18 agosto 1792, "mezzi nudi, con molto stento e non senza varî pericoli"; e si stabilirono a Firenze, nel palazzo Gianfigliazzi sul Lungarno di mezzogiorno, che divenne il luogo di convegno serale dei migliori letterati che allora vivessero o capitassero a Firenze, attirati dalla grazia e dallo spirito della contessa: Lorenzo Pignotti, A. M. Bandini, Onofrio Boni, Angelo Maria d'Elci e altri. Nel testamento del 14 luglio 1793, l'Alfieri aveva istituito sua erede universale la contessa d'Albany, la quale alla morte di lui (1803) gli fece erigere in Santa Croce un monumento, degna opera del Canova.
Libera, con un cavalier servente discreto e prudentissimo, quale F. S. Fabre, Luisa d'A. volle allora diventare la regina dei salotti italiani: e aprì quel suo famoso salotto politico e letterario, che fu, per circa vent'anni, il primo d'Italia, non meno famoso di quello della Staël a Coppet, al quale faceva riscontro. Intermediario tra questi due salotti era il Sismondi, che aveva relazione epistolare con la contessa, e veniva a trovarla in compagnia del Bonstetten, il quale l'informava dei progressi delle idee e le rinfocolava l'antipatia pel governo imperiale napoleonico. Napoleone finì col prender ombra d'un ritrovo che poteva nuocere al suo ascendente in Italia, e costrinse la contessa a starsene a Parigi sino a nuovo ordine. Ella vi passò l'anno 1810; ma poi, concessole il ritorno, dopo una breve parentesi romana e napoletana, riaprì il suo salotto, diventato veramente il più illustre d'Italia. Basti ricordare che esso ospitò il Lamartine e lo Chateaubriand, il Canova e il suo glorificatore Leopoldo Cicognara, il Byron e il suo fedele John Cam Hobhouse, il card. Consalvi e lord John Russell, Samuele Rogers e Tommaso Moore, il Sismondi e il Roscoe. Nell'agosto del 1812, vi fu accolto come un trionfatore Ugo Foscolo, poeta antinapoleonico. La contessa d'A. accettò con affetto più che materno l'amicizia del figlio spirituale del suo grande amico: e il Foscolo, in quella casa, dai ricordi di colui del quale seguiva gli esempî nella vita e nell'arte, traeva "spirito e nervi a far meglio". In quel salotto il poeta dei Sepolcri rivide la Roncioni Bartolommei, Eleonora Nencini, che aveva favorito i suoi amori con la giovinetta pisana, la poetessa Massimina Fantastici Rosellini; e conobbe Quirina Mocenni Magiotti, la "donna gentile". La contessa non fu poi da tanto da poter comprendere il Foscolo soldato del 1814, pronto a combattere per la salvezza del pericolante Regno Italico; e molto meno l'esule del 1815, al quale spietatamente scriveva: "Il vous a plu d'aller errer les montagnes, et si cela vous a amusé, vous avez bien fait". Certo, mancò a questa donna bella e spiritosa, per poter esercitare notevole azione sulla politica e sulle lettere, non che il genio e la dottrina, un po' di quell'attività insonne che fece della Staël una vera potenza, la sola potenza che, senza baionette né cannoni, potesse tener testa a Napoleone: onde il salotto di Firenze, se, per le speciali condizioni d'Italia, fu un ritrovo quasi cosmopolitico di prim'ordine, non si può, per l'efficacia sua, paragonare a quello, meno splendido ma più attivo, di Coppet.
La contessa d'A. si spense serenamente il 29 gennaio 1824. Il Fabre, suo erede universale, volle erigere alla memoria di lei un monumento in quello stesso tempio di S. Croce, ove ella ne aveva eretto uno al poeta che le diede l'immortalità.
Bibl.: A. Reumont, Die Gräfin von Albany, Berlino 1860, e traduz. italiana di A. Di Cossilla, Genova 1868, e Gli ultimi Stuardi, la C. d'A. e V. Alfieri, in Archivio stor. italiano, s. 4ª, VIII (1881); Saint-René Taillandier, La C. d'A., Parigi 1862; Vernon Lee, The Countess of Albany, Londra 1884; G. L. Pélissier, Lettres et écrits divers de la C. d'A., Parigi 1901; id., Le portefeuille de la C. d'A., Parigi 1902; id., Canova, la C. d'A. et le tombeau d'Alfieri, in N. Archivio Veneto, n. s., I, iv, p. 1; id., Lettres inédites de la C. d'A. à ses amis de Sienne, Parigi 1904, I; E. Bertana, V. Alfieri studiato nella vita, nel pensiero, nell'arte, 2ª ed., Torino 1904; E. Del Cerro, V. Alfieri e la C. d'A., Torino-Roma 1905; C. Antona Traversi e D. Bianchini, Lettere ined. di Luisa Stolberg c. d'A. a U. Foscolo, ecc., Roma 1887; E. Bertana, La C. d'A. e U. Foscolo, in Giornale stor. d. lett. ital., XXXVIII, p. 244; C. Antona Traversi, U. Foscolo e Luigia Stolberg, in U. Foscolo, raccolta di studî, Milano 1926.