ALCIDAMANTE ('Αλκιδάμας; Alcidămas)
Nato a Elea in Eolia, fu uno degli avversarî d'Isocrate (il quale morì nel 338 a. C.), nell'oratoria e nell'insegnamento stesso dell'eloquenza. Scolaro di Gorgia, A. ne mantenne distintamente i caratteri sofistici: all'eloquenza di gabinetto, dotta e laboriosa, euritmica e studiata in ogni effetto stilistico del suo avversario Isocrate, egli oppose la oratoria d'improvvisazione brillante e di effetto immediato, sebbene anch'essa elaborata nello studio del periodo. Delle sue teorie e della sua lotta con Isocrate ci resta documento diretto nell'unica sua orazione a noi giunta, riconosciuta da tutti come autentica: Intorno a coloro che compongono orazioni scritte, o Sopra i sofisti, in cui sostiene che vero ufficio del maestro di oratoria è preparare alla vita pubblica, ove la virtù dell'improvvisazione è necessaria sopra ogni altra. Nella sua polemica con Isocrate non sempre è giusto, ma dimostra acume e vigore agonistico, per cui è tuttora piacevole questo discorso che dovette avere molta risonanza nei tempi in cui fu composto.
Non autentica è generalmente giudicata la declamazione, di carattere sofistico e di valore letterario minimo, intitolata: Il discorso di Ulisse contro il tradimento di Palamede. In contrasto con l'Archidamo d'Isocrate pare sia stato scritto uno dei discorsi più famosi di Alcidamante, il Messenico, non giunto sino a noi, in cui era contenuta la celebre sentenza ricordata da Aristotele (Rhetor., I, 13, p. 1373 b 18, e scolio ad loc.): "Il Dio a tutti gli uomini diede libertà: nessuno la natura fece schiavo"; sentenza che si accorda con l'altra, pure di Alcidamante, riferitaci ancora da Aristotele (op. cit., III, 3, p. 1406 b 21): "La filosofia è una macchina d'assalto contro le leggi e le consuetudini". Onde si vede che Alcidamante apparteneva alla schiera di quei lontani precursori del giusnaturalismo alla quale appartennero Ippia e Antifonte sofista. Famoso ai suoi tempi, probabilmente riassunto da Posidippo, in un epigramma (Antol. Pal. IX, 359), e discusso ancora nell'età di Epicuro (v. E. Bignone, in Riv. di Filologia class., 1924, p. 162 segg.), fu un altro suo scritto, l'Elogio della morte, che (come sappiamo da Cicerone, Tusc., I, 116) non era fondato sopra sottili argomentazioni filosofiche, ma sull'enumerazione dei mali della vita. Di carattere letterario e pedagogico doveva essere il Museion, che probabilmente era titolo più ampio di una raccolta contenente anche l'Elogio sopraddetto. In quest'opera (come congetturò il Nietzsche ed è ora provato da un recentissimo papiro di Alcidamante pubblicato dal Winter, in Transact. and Proceedings of the Amer. Philol. Association, 1925) era il racconto di quella immaginata Tenzone fra Esiodo e Omero che, attraverso tardi rifacimenti, è giunta a noi nell'Agone di Omero e di Esiodo (ediz. nell'Esiodo del Rzach, 1914).
Bibl.: Le orazioni si trovano in appendice all'edizione di Antifonte del Blass, Iª ed., Lipsia 1871; 2ª ed., ivi 1881; cfr. F. Blass, Die attische Beredsamkeit, 2ª edizione, Lipsia 1887-1893, II, p. 345 segg.; J. Vahlen, Der Rhetor Alkidamas, in Sitzungsberichte der Wien. Akad., XLIII, p. 507 segg.