ALCOOLISMO (II, p. 262; App. I, p. 84)
Negli anni successivi all'ultimo conflitto mondiale il problema dell'a. ha assunto una rilevante importanza ed è stato oggetto di particolare attenzione sotto i più svariati aspetti, da quello medico-scientifico a quello sociale, da quello terapeutico a quello legislativo. Ciò è avvenuto per due motivi principali: il progressivo diffondersi e accentuarsi del fenomeno e il miglioramento dello standard medico sociale per il quale, risolti problemi quali la tubercolosi, la lue, la poliomielite, ecc., sono divenuti prevalenti altri che prima dovevano essere trascurati.
Definizione. - L'alto numero di definizioni dell'a. che sono state fino a oggi elaborate testimonia la difficoltà del compito e bisogna ammettere che ancora non si è neanche riusciti a determinare il punto in cui finisce l'uso e comincia l'abuso. Generalmente si tende ad ammettere che mediamente un consumo di 1/2-1 litro di vino al giorno (o la corrispondente quantità di alcool etilico a mezzo di altre bevande quali aperitivi, digestivi e superalcolici) possa essere privo di dannose ripercussioni sulla salute fisica e psichica dell'individuo, purché questi sia esente da malattie o predisposizioni che lo rendano intollerante o ipersensibile.
La tendenza generale è di considerare l'a. come una malattia (non un vizio da condannare) che ha strette analogie con le tossicomanie. L'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) così definisce l'alcolista: "Alcolisti sono quei bevitori eccessivi la cui dipendenza o schiavitù all'alcool è tale da indurre palesi disturbi psichici o da interferire con la loro salute fisica e psichica, con i loro rapporti interpersonali e con la loro efficienza sociale ed economica, ovvero quei soggetti che presentano i segni premonitori di una siffatta condizione. Essi, pertanto, necessitano di cure". La stessa OMS ha confermato l'analogia tra alcool e sostanze stupefacenti affermando: "l'alcool possiede un'azione farmacologica che lo colloca, per tipo e grado, in una posizione intermedia tra le droghe che inducono tossicomania e quelle che inducono abitudine, poiché può determinare desiderio invincibile e dipendenza in quei soggetti che per particolarità individuali sono spinti a cercare e a trovare nell'abuso dell'alcool la soluzione dei loro problemi". In effetti l'alcool possiede le proprietà che sono ritenute necessarie per definire una sostanza "stupefacente": può determinare irresistibile desiderio e bisogno di continuare ad assumerlo e di procurarselo con ogni mezzo, induce tolleranza (tendenza ad aumentare la dose per ottenere l'effetto richiesto), può scatenare una serie di disturbi fisici e psichici se il suo uso viene bruscamente soppresso in chi è abituato ad abusarne da lungo tempo.
Sotto questo aspetto l'alcool è stato considerato sostanza psicotropa ad azione deprimente del sistema nervoso centrale con analogie con gli oppiacei e i barbiturici: assunto contemporaneamente a questi esercita un'azione potenziante e sinergica. La soppressione brusca dell'alcool nell'alcolista cronico, specie se associata o conseguente a traumi e malattie (frequentemente polmonite, fratture, interventi chirurgici) può far insorgere una sindrome detta "da soppressione" che va dall'ansietà, tremori, convulsioni fino a un delirium tremens conclamato. Si conoscono casi di delirium tremens da soppressione in neonati da madri alcoliste che avevano continuato a bere fino al momento del parto. Conseguentemente a tale orientamento le istituzioni e le pubblicazioni scientifiche aventi per finalità lo studio e la lotta contro l'a. hanno modificato la loro denominazione aggiungendo al termine a. quello di tossicomanie: per es. l'Istituto internazionale per l'alcool e l'a. nel 1968 è stato ribattezzato "Istituto internazionale per l'a. e le tossicomanie". Nella recente legge italiana sulle tossicomanie (1975) l'a. figura tra le forme morbose prese in considerazione, e la legge regionale del Lazio (1976) in sua attuazione è stata denominata: "Prevenzione, cura e riabilitazione dell'alcoolismo e delle tossicodipendenze", dando così la dovuta rilevanza alla tossicomania da alcool.
Diffusione. - La facilità degli spostamenti degl'individui e dei gruppi e la diffusione dei mass media hanno facilitato lo scambio fra culture diverse e così droghe che erano specifiche di determinati popoli sono entrate nell'uso di altri e viceversa. Ciò è avvenuto per gli stupefacenti derivati dall'oppio che dall'Oriente si sono diffusi in Occidente e per le bevande alcoliche che dall'Occidente si vanno sempre più infiltrando nel resto del mondo.
Difficile è la valutazione delle dimensioni dell'a. in una determinata popolazione anche perché è difficile stabilire chi debba essere considerato alcolista. Generalmente gli elementi indicativi del livello di alcolizzazione sono: i consumi di bevande alcoliche, le morti per cirrosi epatica e i ricoveri in ospedale psichiatrico per psicosi alcolica. E. M. Jellinek dava importanza prevalente alle morti per cirrosi del fegato; oggi però si ritiene più indicativo il dato dei consumi anche perché il concetto della dannosità del cattivo uso dell'alcool non è più limitato ai casi nei quali si realizza l'a. cronico, ma si estende anche alle devianze del comportamento legate a un singolo e sporadico abuso, perché tali devianze nell'attuale società possono rivestire una particolare perniciosità come nel caso della guida d'auto sotto l'influenza dell'alcool. Nella tab. 1 vengono riportati in ordine decrescente i consumi di 20 paesi per i superalcolici, il vino e la birra con a fianco l'equivalente in alcool assoluto; i valori sono espressi in galloni statunitensi e si riferiscono al consumo annuo per persona di età di 15 anni ed oltre.
Nella tab. 2 sono riportate le variazioni dei consumi avvenute in 17 paesi negli anni indicati:
In queste tabelle non compaiono i paesi dell'Est europeo, ma è noto che anche quelle popolazioni sono sempre più gravemente colpite dall'a. e i loro livelli di consumo si collocano in posizioni prossime a quelle degli SUA come si vede dalla tab. 3. Per quanto riguarda l'Italia si è visto dalla tab. 2 che l'aumento di consumi dal 1957 al 1969 è stato globalmente dall'1%; ciò non induce però all'ottimismo in quanto l'alcolizzazione del nostro paese era già così notevole che non ci si poteva aspettare un ulteriore incremento. L'esame delle statistiche dei nostri consumi pone costantemente l'Italia al secondo posto della graduatoria mondiale (dopo la Francia) e a livelli ben più alti di quelli di paesi per i quali si ammettte la gravità del problema.
Questa considerazione vale anche per epoche più remote: nel 1910 il consumo complessivo annuo pro capite era per l'Europa di 9 litri di alcool anidro, per gli SUA di 6 litri e per l'Italia di ben 13,18 litri. Valori simili si registrano nel 1968: Europa 7,20, SUA 9,91 e Italia 15,23. Negli ultimi decenni si è verificata in Italia una modifica qualitativa di consumi nel senso di una diminuzione di quelli del vino e uno spiccato aumento di quelli dei superalcolici e della birra. Altri dati che forniscono un'immagine della gravità del problema dell'a. in Italia, sono quelli relativi alla spesa per bevande alcoliche (circa 2000 miliardi nel 1973, pari al 10% della spesa media annua per l'alimentazione), alle morti per cirrosi del fegato (9,32 per 100.000 nel 1941;29,90 nel 1972) e ai ricoveri negli ospedali psichiatrici per psicosi alcolica (4,6% sul totale dei primi ricoveri nel 1947; circa il 19% nel 1974).
Fattori causali e patogenetici dell'alcoolismo. - In considerazione del fatto che l'alcool possiede stretta analogia con le sostanze stupefacenti, sarebbe più proprio distinguere due diverse situazioni: l'alcolomania e l'a., intendendo nel primo caso quelle situazioni nelle quali l'individuo per motivi vari (somatici, psichici, sociali) è diventato dipendente dall'abuso dell'alcool derivandone soltanto disturbi della condotta, e considerando nel secondo caso i quadri caratterizzati da compromissione somatica e psichica secondari all'abuso dell'alcool. Per brevità di esposizione nella presente trattazione si prescinde da tale distinzione, ritenendo sufficiente il cenno che se ne è fatto, con l'ulteriore precisazione che non si deve ritenere che l'alcolomania conduca sempre, obbligatoriamente, all'a., così come quest'ultimo può non essere preceduto da una condizione alcolomanica, come si verifica, per es., in quei soggetti che bevono quantità eccessive di alcool per passiva e ignara accettazione di usi, costumi e tradizioni, e non per una spinta tossicomanica. Poiché l'a. è una condizione morbosa che trae origine da cause di svariata natura, il problema del suo sviluppo è stato affrontato da studiosi di differente estrazione professionale, ovviamente sotto angoli visuali sensibilmente differenti: fisiologici, psicologici, sociologici. Le teorie esplicative che ne sono scaturite, e delle quali si ricordano le più significative, nei fattori che vi sono valorizzati, esprimono le differenze degli strumenti culturali impiegati.
A) Teorie fisiologiche. - 1) Teoria genetotrofica. - Sostiene che nell'alcolista esiste una deficienza enzimatica congenita che conduce a stati di malnutrizione: se il soggetto "impara" a correggere i disturbi conseguenti con l'uso dell'alcool, si sviluppa l'alcoolismo. 2) Teoria genetica. - Recentemente questo indirizzo ha riscosso nuovo interesse in seguito alle ricerche di D. W. Goodwin, secondo le quali, mentre nella popolazione in genere la probabilità di diventare alcolista è del 3-5% negli uomini e dello 0,1-1% nelle donne, per i figli di genitori alcolisti, invece, questa probabilità diventa del 20-50% e del 3-8%. Per dimostrare l'importanza del fattore ereditario contro quello ambientale, Goodwin ha eseguito ricerche su gemelli e su figli di alcolisti adottati da non alcolisti, e conclude confermando l'importanza dei fattori genetici nei casi di grave alcoolismo. 3) Teoria endocrina. - H. Binswanger sostiene che l'appetenza eccessiva all'alcool è conseguenza di una compromissione congenita o acquisita delle ghiandole surrenali: ricerche posteriori interpretano questa condizione come conseguenza e non come causa dell'alcoolismo.
B) Teorie psicologiche. - In linea generale, l'a. è considerato espressione di un disturbo fondamentale della personalità o dell'emotività, oppure di ambedue. 1) Teoria psicoanalitica. - L'a. è riferito a tendenze inconsce come l'autodistruzione, la fissazione orale e l'omosessualità latente (scuola freudiana), la ricerca del potere (G. Adler); secondo altre interpretazioni, rappresenta una risposta ad un conflitto interno tra le tendenze alla dipendenza e gl'impulsi aggressivi. La natura di queste teorie rende praticamente impossibile ogni dimostrazione sperimentale di esse. 2) Teoria dell'apprendimento. - L'ingestione di alcool costituisce una risposta riflessa a certi stimoli quali, per es., la paura e l'ansietà: una volta appreso questo tipo di soluzione, viene favorito il ripetersi e lo stabilizzarsi del ricorso all'alcool; lo stesso stato di ansietà e il senso di colpa susseguenti all'abuso diventano il motivo per un nuovo ricorso all'alcool. L'applicazione terapeutica di questa teoria, consistente nel condizionamento avversivo, ha dato risultati contrastanti. 3) Teoria della personalità. - Un largo gruppo di autori, sulla scorta di ricerche psicologiche, sostiene che tutti gli alcolisti presentano delle caratteristiche nella loro personalità prealcolica che costituiscono una predisposizione all'alcoolismo. Queste consistono in scarsa tolleranza alle frustrazioni, scarsa socialità, senso d'inferiorità con atteggiamenti di superiorità e spiccata tendenza alla dipendenza. L'uso dei test proiettivi e oggettivi ha evidenziato negli alcolisti una struttura di personalità comune che sarebbe responsabile dell'alcolomania. Il lato debole di questi indirizzi è nella difficoltà di precisare quali degli aspetti psicologici siano preesistenti all'alcolomania e quali da questa determinati.
C) Teorie sociologiche. - Poiché l'a. ha una differente incidenza nei differenti gruppi culturali e nazionali, si ritiene di doverne ricercare la causa in fattori esterni all'individuo. 1) Teoria culturale. - R. F. Babes afferma che il tipo di cultura può agire in tre modi sullo sviluppo dell'a.: secondo il grado in cui induce nei suoi membri tensioni interne o necessità di rapidi adattamenti, secondo l'atteggiamento che esso determina nei confronti della libagione e, infine, nella misura in cui fornisce validi mezzi alternativi di soddisfazione. Le differenze quantitative e qualitative tra a. maschile e femminile confermano l'importanza del fattore culturale. 2) Teoria della condotta deviante. - Nel presupposto che l'a. sia una condotta deviante, esso è stato spiegato secondo le reazioni della società a questa devianza. Si distingue una condotta deviante primaria e una secondaria: nel primo caso, se le caratteristiche psicologiche (particolarmente della personalità) che differenziano un soggetto dagli altri sono identificate come devianti, la società lo considererà come tale e lo costringerà a condotte devianti (alcoolismo). Nel secondo caso il soggetto avrà una condotta deviante (alcoolismo) per la sua accettazione passiva di un ruolo deviante imposto da fattori esterni. In entrambi i casi egli è un emarginato e l'atteggiamento della società lo forza a restare nel gruppo deviante rendendo difficile il suo rientro nella norma. L'approfondimento e la migliore conoscenza delle cause socio-culturali dell'a. potranno rendere più efficaci i programmi di prevenzione.
Classificazione degli alcolisti. - S. Wieser, tenendo presenti le distinzioni proposte dall'OMS e da E. M. Jellinek, distingue i bevitori in "non alcolisti e alcolisti; fra i primi considera i bevitori moderati e gli eccessivi, distinguendo, fra questi ultimi, gl'irregolari e gli abituali; fra gli alcolisti, considera i "non" maniaci e i maniaci, o alcolisti propriamente detti. Jellinek suddivide i bevitori in quattro gruppi di differente gravità, che contraddistingue con le lettere dell'alfabeto greco: il tipo alfa, contrassegnato da dipendenza psicologica, tale, però, da non escludere la possibilità di astinenza e di controllo delle libagioni; il tipo beta, caratterizzato da alterazioni somatiche e da dipendenza sociale; il tipo gamma, che differisce dai due precedenti per un grave stato di bisogno di alcool, una condizione di dipendenza dapprima psichica, successivamente fisica, per la compromissione della salute fisica, della salute psichica e del comportamento; il gruppo delta, infine, rappresentato da un ulteriore aggravamento delle condizioni proprie del tipo precedente, con l'impossibilità di una qualsiasi sobrietà. P. Fouquet, che segue differenti criteri, classifica le varie forme in: alcoolosi o nevrosi alcolica, in cui l'a. è sintomo di situazioni conflittuali e mezzo di evasione da esse; alcoolite, che comprende le forme cliniche classiche dell'a. e somato-alcolosi, che decorre con episodici abusi e stati di ubriachezza abnorme.
Manifestazioni somatiche. - L'alcool viene assorbito dallo stomaco e dall'intestino passando nel sangue: il 10% viene eliminato, non metabolizzato, attraverso i reni, i polmoni e le ghiandole sudorifere; il restante 90% va incontro a un processo metabolico che lo trasforma in acetaldeide e, poi, in CO2 e H2O: questa trasformazione avviene a livello del fegato, ad opera di un enzima (alcool-deidrogenasi: A D H) e di un coenzima (dicotinamideadenina dinucleotide: N A W) ivi presenti. Questi processi determinano una diminuzione dell'ossigeno nei tessuti (anche nell'encefalo) e un aumento dell'idrogeno con conseguente decremento di grasso nel fegato ed elevazione del tasso lipidico nel sangue.
L'organismo può normalmente metabolizzare circa 7 gr. di alcool etilico ogni ora e da questo ricava calorie che però sono "vuote", inutili, cioè, ai fini nutrizionali. Dall'azione diretta dell'alcool e dei processi del suo metabolismo derivano, in casi di abuso, le manifestazioni morbose delle quali, a livello somatico, le più importanti sono rappresentate da gastrite, ulcera gastrica e duodenale, insufficienza pancreatica e pancreatite, degenerazione grassa del fegato, epatite, cirrosi epatica, cardiopatia, miopatia, compromissione del sistema endocrino. Lo stato di malnutrizione indotto dall'abuso di alcool, con deficienze vitaminiche, è in larga parte responsabile di queste affezioni e le ricerche più recenti hanno individuato una "cardiomiopatia alcolica" e una "miopatia alcolica", dimostrando anche l'origine alcolica della cirrosi epatica quando il fabbisogno calorico dell'organismo è soddisfatto per il 50% o più dall'alcool, anche se in associazione con una dieta per il resto normale. L'azione dannosa dell'alcool è più spiccata in presenza di malattie concomitanti quali, particolarmente, il diabete, la gotta, l'arteriosclerosi, le psicosi e l'epilessia.
Importanza particolare ha assunto di recente lo studio dell'aumento dei lipidi e delle lipoproteine nel sangue degli alcolisti, per il significato di fattore causale di arteriosclerosi che si attribuisce a questo aumento. Pre-β-lipoproteine, β-lipoproteine e trigliceridi sono infatti aumentati nell'alcolismo. G. Bonfiglio e S. Falli hanno visto che lo stesso pasto consumato dallo stesso individuo dà valori di pre-β-lipoproteine e trigliceridi più elevati se consumato in associazione ad alcool. Sotto questo profilo (e altri), l'uso e l'abuso dell'alcool hanno assunto particolare rilevanza nella dietologia e nella scienza della nutrizione. Altro campo di ricerca recente è quello dei rapporti tra alcool e carcinoma esofageo che è risultato molto più frequente nei forti bevitori.
Manifestazioni psichiche. - Se ben conosciute sono le manifestazioni neuropsichiatriche dell'intossicazione cronica da alcool (dal delirium tremens alla demenza alcolica), è però vero che restano ancora oggi sconosciuti i meccanismi attraverso i quali questa sostanza danneggia il sistema nervoso centrale. Perfino per la più comune manifestazione di compromissione neuropsichica, l'ubriachezza, non sono conosciuti gl'intimi meccanismi che la determinano. È dimostrato soltanto che alte dosi di alcool riducono il consumo di ossigeno del cervello e l'utilizzazione di glucosio. Nel complesso l'azione dell'alcool sul sistema nervoso centrale è simile a quella di altri anestetici: dopo una eventuale fase di eccitazione, induce una depressione.
Con un'alcolemia dello o,05% si riducono le capacità d'inibizione e di valutazione dei colori, mentre cominciano a sbiadirsi le acquisizioni più recenti; a livelli dello 0,10% si deprimono i centri nervosi di più antica formazione, compaiono disturbi della parola e della motricità, l'autocritica è gravemente compromessa e possono comparire fenomeni illusionali; allo 0,20% si aggrava il quadro precedente e grave diviene la compromissione motoria; allo 0,30% inizia lo stato stuporoso che diventa coma allo 0,40%. A concentrazioni superiori compaiono gravi alterazioni dell'attività respiratoria e cardiaca; a livello ancora più alto si ha il decesso.
A seguito di abusi ripetuti, s'instaurano le classiche forme cliniche neuropsichiatriche che vanno dalla polineurite alla malattia di Marchiafava-Bignami; per alcune di queste è stata dimostrata la natura malnutritiva, in particolare da deficienza di vitamine del gruppo B.
E. M. Jellinek afferma che nel 10% degli alcolisti si sviluppa una psicosi. Ricerche recenti hanno dimostrato una "sindrome da soppressione di alcool" nei cronici alcolisti alla quale sarebbe da attribuirsi una gran parte dei casi di delirium tremens. L'esistenza di disturbi da soppressione dell'alcool è oggi universalmente accettata: il malessere del mattino (hang-over) caratterizzato da tremori, sudorazione e ansietà è conseguenza dell'astinenza notturna e infatti si corregge rapidamente con l'ingestione di alcool. Frequente il delirium tremens da soppressione in soggetti alcolisti che interrompono bruscamente le libagioni in occasione di malattie intercorrenti e traumi (specie se fratturativi): in questi casi all'interruzione si associa una sofferenza biologica di altra natura. Il meccanismo di formazione del delirium tremens da astinenza è stato spiegato con l'accentuazione della funzione delle strutture eccitative del sistema nervoso centrale tendente a contrastare l'azione sedativa dell'alcool: in assenza di questo vi è un prevalere delle funzioni eccitative che si manifesta con agitazione, tremori, allucinazioni, ecc. Efficaci, infatti, nella prevenzione e nella terapia di questa condizione sono risultati farmaci che elevano il livello di acido gamma-amino-butirrico (GABA) che riduce la trasmissione degl'impulsi eccitativi.
La fase terminale delle manifestazioni neuropsichiche dell'intossicazione è la demenza, ma oggi si ritiene che il processo demenziale s'inizi precocemente e che le sue prime manifestazioni siano proprio quell'insieme di sintomi che fanno porre la diagnosi di a. cronico: restringimento del campo degl'interessi, incapacità ad acquisire nuove nozioni o attività, decadimento etico-morale e, particolarmente, gli episodi di amnesia per quanto avvenuto durante un episodio di ubriachezza (black-out). G. Bonfiglio e S. Falli sostengono che l'abuso protratto di alcool facilita e anticipa i processi arteriosclerotici cerebrali e, inoltre, che la sindrome dell'a. cronico altro non è che una forma iniziale (e fatalmente evolutiva se non cessa l'intossicazione) di demenza arteriosclerotica. L'aumento dei lipidi nel sangue degli alcolisti è, oltre ad altri dati clinici e anatomopatologici, una conferma di tale inquadramento.
Sotto questo aspetto l'uso dell'alcool appare come un elemento da valutare nella prevenzione dell'arteriosclerosi.
L'abuso di alcool e la guida dei veicoli a motore. - L'abuso di alcool con il suo conseguente turbamento delle funzioni psicomotorie è la causa di molti incidenti, particolarmente oggi che il rapporto uomo-macchina (che richiede la perfetta idoneità dell'utente) è così frequente e diffuso. Fra questi, però, quelli stradali sono i meglio conosciuti e documentati. Le statistiche eseguite in più paesi dimostrano che dal 30 al 55% degl'individui coinvolti in incidenti mortali del traffico, erano sotto l'influenza dell'alcool; negli SUA il 50% delle morti per incidenti del traffico è attribuito ad abusi di alcool e le percentuali sono tanto più alte quanto più grave era lo stato tossico: 28.000 morti nel 1969 in quel paese giustificano le severe misure repressive, del resto adottate in quasi tutte le nazioni. Nelle singole legislazioni è stato fissato un livello di alcool nel sangue oltre il quale è proibito guidare qualsiasi automezzo: da molti si stabilisce la presunzione di responsabilità di un incidente per il solo fatto di guidare con un livello ematico non consentito. Il tasso varia, a seconda del paese, dallo 0,05% allo 0,10% (milligrammi per millilitri) e in alcune nazioni dell'Est europeo sono considerati illegali valori anche più bassi. In Italia, nonostante i 12.000 morti annuali per incidenti del traffico e gli altissimi livelli di consumo di alcolici, non è stabilito alcun tasso alcolemico limite né alcun regolamento per la sua determinazione; il Codice della strada vigente dice soltanto che è vietata la guida in stato di ebbrezza.
Associazione alcool-droghe e alcool-farmaci. - Con il diffondersi delle tossicomanie giovanili e dell'uso indiscriminato (autoricettazione) di farmaci in genere e di psicofarmaci in particolare, si è imposto oggi il problema dell'associazione di questi con l'alcool. Si può affermare che tutte le sostanze usate come droghe trovano nell'alcool un sostituto in casi di mancanza, o un potenziante in casi di disponibilità di quantità ritenute insufficienti. Molto frequenti le segnalazioni di soggetti che lasciate le droghe sono diventati alcolomani.
Per quanto riguarda i farmaci, si deve distinguere l'associazione dell'alcool con sedativi, tranquillanti, ipnotici e analgesici da un lato e dall'altro con sostanze medicamentose varie: nel primo caso si verificheranno situazioni derivanti dalla sommazione dell'effetto sedativo, nel secondo disturbi fisici e psichici in rapporto agli effetti tossici legati all'azione della sostanza che si è formata dalla associazione del farmaco con l'alcool etilico. Particolare rilevanza hanno quelli che si manifestano nel caso di terapie con alcuni antidepressivi, antidiabetici orali, antitricomona, e acido acetil-salicilico. Infine si ricorda l'azione tossica combinata dell'alcool e del tabacco, che presenta notevole importanza per la sua alta frequenza (il bevitore è quasi sempre forte fumatore) e per l'effetto dannoso di entrambi sull'apparato cardio-vascolare.
Terapia. - Tenendo presente che l'a. è una malattia spesso cronica e spesso ricorrente e che le sue cause sono di natura genetica, biologica, psicologica, psichiatrica e socio-culturale, è evidente che le tecniche terapeutiche debbono tener conto di questa multifattorialità causale spesso in varia combinazione nei singoli pazienti.
I tipi di trattamento dovranno essere diversi a seconda della fase della malattia in cui s'interviene - e saranno tanto più efficaci quanto più precoci. Sotto questo punto di vista è particolarmente importante l'azione che possono svolgere i medici generici, i quali, venendo in contatto col paziente per motivi diversi, hanno l'opportunità di scoprire un errato uso dell'alcool in una fase in cui questo rappresenta soltanto una cattiva abitudine facilmente emendabile.
Due le direttive terapeutiche fondamentali: quella medica, che interverrà negli aspetti somatici dell'intossicazione (epatopatie, vasculopatie, nefropatie, pneumopatie, ecc.) e quella psichiatrica, che affronterà le manifestazioni dipendenti dalla compromissione del sistema nervoso (delirium tremens, allucinosi, delirio di gelosia, stati demenziali). Ma oltre che a queste complicanze della cronica intossicazione, la terapia dovrà mirare all'eliminazione della spinta tossicomanica a continuare a bere e alla risoluzione delle problematiche psicopatologiche che la determinano.
Altro ordine d'intervento è quello psico-sociale che avrà il compito di eliminare le motivazioni ambientali al bere intervenendo sulla famiglia, sul genere di lavoro, sul tipo di abitazione, sulle amicizie, ecc.
Su queste direttive si sono affermate le seguenti tecniche:
a) psicoterapia e psicoanalisi individuale e di gruppo; b) comunità terapeutica; c) terapia deterrente con disulfiram, sostanza che determina una intolleranza all'alcool (se si usa alcool nel corso della terapia insorgono disturbi neurovegetativi così gravi che sconsiglieranno successive assunzioni); d) tecniche avversive che inducono un riflesso condizionato nel senso che alla vista, odore o gusto dell'alcool si ripresentano fenomeni sgradevoli (nausea, vomito, sudorazione, ecc.) precedentemente provocati a mezzo di somministrazione di apomorfina o emetina; e) organizzazioni di ex alcolisti (Alcoholics anonymous) che si adoperano per mantenere lontano dall'alcool il soggetto e per dare un nuovo contenuto spirituale (a volte religioso) alla sua vita. La generale tendenza è quella di provvedere a tutta questa varietà d'interventi a mezzo della creazione di servizi e istituti specializzati; in alcuni paesi si sono organizzate scuole e corsi d'insegnamento (anche universitari) per questa nuova branca della medicina che è stata denominata "alcoologia".
Prevenzione. - L'importanza della prevenzione nel campo dell'a. è dimostrata non solo dalle vaste proporzioni del problema, ma anche dal fatto che la guarigione è evenienza non frequente. Si distingue una prevenzione primaria e una prevenzione secondaria. La prima ha lo scopo di prevenire lo sviluppo della tossicomania attraverso la creazione di condizioni psicologiche e sociali tali da non determinare nei soggetti la necessità di sottrarsi alla realtà ricorrendo all'alcool (o ad altre droghe). La seconda mira alla lotta contro il progredire della malattia, una volta che si è instaurata.
Programmi di educazione sanitaria, corsi d'informazione nelle scuole e nelle comunità lavorative, istituzione di centri d'informazione presso i quali ogni individuo che pensa di avere un problema con l'alcool si possa rivolgere senza essere stigmatizzato come deviante o vizioso; corsi di aggiornamento e propaganda nei riguardi degli operatori sanitari (medici compresi) e l'istituzione di servizi ove indirizzare chiunque sia in stato di ebbrezza (consentendo così un precoce intervento terapeutico) sono i più importanti elementi su cui deve fondare l'attività preventiva. Di alto valore preventivo è risultata la dimostrazione degli effetti dannosi del cattivo uso dell'alcool sugl'incidenti stradali, sull'insorgenza dell'arteriosclerosi, sulla riduzione della capacità sessuale e sulla senilità precoce.
La prevenzione però, per i limiti che inevitabilmente presenta in quanto a risultati, non può rappresentare un'alternativa alle attività e alle iniziative terapeutiche.
Bibl.: E. M. Jellinek, The disease concept of alcoholism, New Haven, Connecticut, 1960; H. Wallgren, H. Barry, Actions of alcohol, Amsterdam, Londra, New York 1970; M. M. Glatt, A guide to addiction and its treatment, Lancaster 1974; G. Bonfiglio, S. Falli, Alcool e arteriosclerosi, in Lavoro neuropsichiatrico, vol. 58, fasc. 1/2, Roma 1976.