CIBO, Alderano
Nacque a Genova il 16 luglio del 1613 da Carlo I Cibo Malaspina, duca di Massa, e da Brigida di Giannettino Spinola. Mentre il primogenito Alberico veniva educato per succedere al padre nel governo di Massa, i fratelli minori Alderano, Odoardo e Lorenzo furono indirizzati alla carriera ecclesiastica.
Giunto a Roma nel 1641, il C. entrò in prelatura e fu nominato referendario utriusque Signaturae, esercitando alcuni incarichi minori in diverse congregazioni. Nel 1644 Innocenzo X lo nominò maggiordomo pontificio e l'anno seguente, nel concistoro del 24 aprile, lo creò cardinale prete del titolo di S. Pudenziana, all'età di trentadue anni. Pur dovendo la berretta cardinalizia ai meriti della famiglia e della nascita, il C. si differenziò in parte dai membri del Sacro Collegio di grande famiglia (Medici, Este, Savoia, ecc.), seguendo, dopo la nomina a cardinale, l'iter consueto del tempo. Fu così inviato l'anno seguente, come cardinaì legato, a Urbino, quindi, il 15 giugno 1648, destinato alla legazione di Romagna, e ancora, il 3 luglio 1651, alla legazione di Ferrara. La forse prematura nomina a cardinale lo aveva tuttavia escluso da una tappa di particolare importanza nel cursus della Curia romana, quella di nunzio apostolico, privandolo di un'esperienza diblomatica e internazionale, della quale il C. sentirà notevolmente in seguito la mancanza quale segretario di Stato del pontefice Innocenzo XI.
Durante gli anni delle sue legazioni tuttavia il C. dimosirò doti notevoli di energia e fermezza di carattere. Ad Urbino riaffermò fermamente tutti i diritti della S. Sede nel ducato, tornato solo da pochi anni (1631) sotto il diretto dominio pontificio. In Romagna si occupò principalmente di ristabilire l'ordine e la pace sociale, turbati da torbidi e violenze dovuti al diffùso brigantaggio. Promosse inoltre lavori di bonifica nella regione e per eliminare gli inconvenienti delle continue alluvioni dei fiumi Ronco e Montone, che devastavano le campagne, ne fece regolamentare i corsi con la costruzione di due canali e un acquedotto. A Ferrara riformò le procedure dei processi civili e rinnovò modernamente i criteri d'imposizione fiscale, imponendo il pagamento in contanti anche per le imposte minori. Ordinò imponenti lavori di arginatura al fiume Reno e al Po, per evitare il pericolo di alluvioni.
Al suo ritorno a Roma il C. ottenne da Alessandro VII, il 24 apr. 1656, il vescovado di Iesi. Della sua lunga attività pastorale occorre ricordare il sinodo celebrato nel 1658, i cui atti vennero dati alle stampe nel 1695. Si occupò del seminario, dandogli una nuova sede nel centro della città, e protesse in particolare la Congregazione di S. Filippo Neri, donandole la chiesa di S. Giovanni. Nel 1671 rinunziò alla sede di Iesi in favore del fratello Lorenzo.
Dopo essere stato trasferito nel 1668 al titolo di S. Prassede e ad altri vescovadi suburbicari, nel 1687 passò al titolo e al vescovado di Ostia, dove restaurò il palazzo vescovile, l'antica cattedrale e la cappella di S. Monica. Si occupò anche di migliorare le condizioni di vita della città, iniziando il prosciugamento delle vicine zone paludose. Nel 1698 convocò congiuntamente il sinodo delle due diocesi di Velletri e Ostia, delegando tuttavia a presiederlo il fratello Odoardo, patriarca di Costantinopoli.
Nei suoi cinquantacinque anni di cardinalato il C. partecipò a ben sei conclavi, lasciandone preziose testimonianze in numerose lettere e resoconti, prima al padre Carlo I, poi al fratello Alberico Il e al nipote Carlo II, conservate oggi nell'Archivio di Stato di Massa.
Del suo primo conclave, nel 1655, che vide l'elezione Al o VII Chigi, il C. fornisce un'importante testimonianza in un Ristretto mandato... e fatto per la verità al padre Carlo I. In tale conclave, durato ottanta giorni, i cardinali si erano divisi in due partiti: l'uno favorevole alla Spagna e all'Impero, al quale aderivano i cardinali "fiorentini e pamfiliani" e lo stesso C., "tutti per un soggetto di somma integrità di vita, eminente nella virtù et habile al peso del pontificato"; l'altro favorevole alla Francia, guidato dai Barberini e al quale aderivano anche i cardinali Durazzo, Spada, Grimaldi, Lomellino, Este, Ottoboni e Borromeo. La candidatura del Chigi viene segnalata dal C. sin dalle prime votazioni, e risulta, sia pur tra le righe, l'iniziale opposizione francese, del Mazzarino in particolare, vinta grazie alla mediazione del cardinal Sacchetti.
Del conclave seguente, nel 1667, il C. scrive soprattutto pieno di soddisfazione per l'elezione del suo amico Rospigliosi, che lo aveva ricevuto in un'udienza, il 2 luglio, "molto affettuosa". Irrilevanti invece le notizie del C. sul conclave di Clemente X Altieri, mentre assai più interessanti appaiono quelle relative al conclave di Innocenzo XI Odescalchi. Il C. e l'Odescalchi erano stati creati cardinali da Innocenzo X nello stesso coqcistoro ed erano legati da stretta amicizia. Essi facevano entrambi parte del piccolo gruppo di cardinali che propugnavano l'indipendenza del Sacro Collegio dalle influenze straniere, chiamato dall'ambasciatore spagnolo lo squadrone volante. Il C. fu quindi sin dall'inizio dei conclave, pur essendo egli stesso considerato uno dei papabili, lo strenuo sostenitore della candidatura dell'amico Odescalchi, svolgendo un'abile azione diplomatica fra il gruppo dei cardinali filofrancesi e quello spagnolo e imperiale. Decisivo fu tuttavia l'intervento dei cardinali Chigi e Rospigliosi, che riuscirono ad ottenere l'assenso di Luigi XIV alla candidatura Odescalchi, dopo il veto iniziale dell'inviato francese a Roma d'Estrées. Il 21 sett. 1676 quindi seguì l'elezione dell'Odescalchi, accolta dal C. e da altri con entusiasmo per la eccellente fama di cui godeva di difensore dell'immunità ecclesiastica, nemico del nepotismo, sostenitore di riforme ecclesiastiche e civili. Il 3 ottobre così il C. descriveva al fratello Alberico II il ruolo avuto in tale elezione: "il conclave dalli 16 agosto alli 21 settembre fu tutto in mia mano et a me fu adusato dalli Signori Cardinali capi di fattione il trattare la prattica del Sig. Card. Odescalco sino al fine". E in effetti gli stretti legami. del C. con il neocletto pontefice furono subito confermati dalla sua nomina a segretario di Stato, carica che tenne nei tredici anni del pontificato di Innocenzo XI.
Nel conclave seguito alla morte di questo pontefice, nel 1689, il C. tenne una posizione di equidistanza tra i diversi partiti cardinalizi, anche per la sua posizione di decano del Sacro Collegio e soprattutto per le fatiche dovute alla "lunga e rigorosa clausura... et alla applicationi quotidiane di sei hore ne' scrutini". Tuttavia scriveva che tra "molti concorrenti fu stimato più idoneo... il Sig. Card. Ottobono per esser stato Auditore di Rota e Cardinale esercitato e pratico nelle materie di stato". L'ultimo conclave al quale partecipò il C. iniziò la sera del 12 febbr. 1691 e terminò il 12 luglio con l'elezione del cardinale Pignatelli, col nome di Innocenzo XII. Questa volta "i patimenti" del C., provato non solo dalla lunghezza del conclave e dal suo ruolo di decano, ma anche dalla tensione della sua stessa candidatura, furono descritti dal fratello Odoardo. Questi, che era divenuto grazie al C. patriarca di Costantinopoli, "la prima dignità dopo quella di Cardinale", svolse spesso a Roma le veci e le funzioni dell'anziano fratello. Scrivendone alla corte di Massa metteva in rilievo che il C. per ben due volte era stato proposto come caildidato, in marzo e in giugno, e che soprattutto l'età orinai avanzata era stata l'ostacolo maggiore, anche se poi era stato eletto il Pignatelli, di due soli anni più giovane.
La figura e'la personalità del C., che neanche come segretario di Stato fu fatto oggetto di studi particolari, non emergono con chiarezza nemmeno da lavori più ampi, come quelli del Pastor. In realtà il suo comportamento in molte occasioni fu certamente ambiguo e nello svolgimento del suo ufficio, per la sua stessa formazione, non portò né doti di diplomatico né certamente di politico. Come si è detto, il suo rapido cursus ecclesiastico lo aveva portato più che altro ad approfondire la conoscenza dei problemi interni dello Stato della Chiesa, ma non quelli più ampi di politica estera; inoltre non sembra avesse avuto una profonda formazione teologica. Ed infatti durante il suo segretariato di Stato andò incontro ad alcuni equivoci, a volte clamorosi. Su di lui pesa inoltre l'accusa di venalità che, al di là delle solite biografie apologetiche del tempo, risulta sicuramente provata. Non solo infatti riceveva una pensione da Luigi XIV come cardinale, ma continuò a riscuoterla anche dopo la nomina a segretario di Stato. Alla sua morte lasciò al nipote Carlo Il duca di Massa la somma, non ceito indifferente, di 500.000 scudi. Una non piccola contraddizione con quanto egli stesso aveva scritto molti anni prima: "sempre che Nostro Signore provvedesse al mio bisogno, sarebbe certo notabile errore il prendere provvisione da Re". E soprattutto contraddizione con la, ferma politica di rigorosità voluta sin dall'inizio dei suo pontificato da Innocenzo XI, che attribuì al C. gli uffici di sopraintendente generale dello Stato ecclesiastico e la legazione di Avignone, ma senza stipendi.
Tuttavia l'attività e l'opera del C. quale segretario di Stato, soprattutto in considerazione dei gravi avvenimenti del pontificato di Innocenzo XI, meritano una trattazione più ampia. Nei tredici anni nel quali egli esercitò il suo ufficio, infatti, la S. Sede si trovò a fronteggiare, sia nel campo della politica estera sia in quello della difesa dei suoi diritti contro l'assolutismo di Luigi XIV, momenti assai gravi, data la fermezza e il carattere risoluto di Innocenzo XI. Occorre tuttavia rilevare che, se inizialmente il pontefice ripose ogni fiducia nel C., dopo qualche anno, proprio perché sospettava che questi si mantenesse troppo favorevole verso la Francia, preferì indirizzarsi sempre di più al segretario della Cifra Agostino Favoriti e al suo successore Lorenzo Casoni. Quest'ultimo, grazie anche alle sue iúdubbie capacità, ridusse praticamente il C. alla. sola direzione nominale degli affari.
La perdita di favore del C., anche se i legami di affetto e di amicizia con il pontefice rimasero immutati, fu segnalata anche dagli osservatori contemporanei e dagli ambasciatori stranieri. Tipica una relazione dell'inviato spagnolo a Roma, conservata a Simancas. Del resto lo stesso pontefice manifestò apertamente la sua sfiducia verso il C. sia nel 1680, in occasione dei contrasti per l'elezione del vescovo di Pamiers, sia nel 1687 per le divergenze con Luigi XIV sulla libertà di quartiere dell'ambasciatore francese a Roma, e ancora in altre occasioni quando erano in gioco gli interessi della Francia. Il C. venne a conoscere, ad esempio, il testo dell'allocuzione del pontefice nel concistoro del 13 genn. 1681, contro il diritto di regalia di Luigi XIV, solo la sera prima.
Tuttavia in altri avvenimenti, soprattutto in occasione delle trattative per la conclusione della pace di Nimega, primo importante affare trattato dal C., e di quelle per la lega contro i Turchi, il ruolo del C. fu assai incisivo e di pieno gradimento del pontefice.
Già dal gennaio 1676 a Nimega era giunto l'inviato inglese di Carlo II, che aveva assunto la parte di mediatore fra le potenze cattoliche e protestanti in conflitto. Tuttavia l'imperatore Leopoldo avrebbe desiderato accanto agli inglesi un rappresentante papale, così come era accaduto durante le trattative per la pace di Münster, con il nunzio Fabio Chigi. Il pontefice avrebbe visto volentieri tale partecipazione purché fosse stata svolta, proprio come a Münster, insieme ad una seconda potenza cattolica come Venezia. Ma tutti i tentativi del C. per ottenere tale partecipazione furono vani per le gravi divergenze insorte fra Venezia e gli Asburgo di Spagna. Così l'inviato, pontificio a Nimega, monsignor Luigi Bevilacqua, svolse da solo il suo ruolo di mediazione, limitato per volontà del pontefice alle sole potenze cattoliche. Lo scopo primo di Innocenzo XI era infatti quello di poter raggiungere al più presto la pace per poter rilanciare l'idea di una lega delle potenze cattoliche contro i Turchi. Ma, come lo stesso C. ammise alcuni anni dopo, il congresso di Nimega aveva mostrato troppo bene l'inutilità di una mediazione pontificia. La pace conclusa il 10 ag. 1678 fra l'Olanda e Luigi XIV e accettata dalla Spagna e poi dall'Impero era tutta dovuta all'abilità diplomatica di Luigi XIV. Ma proprio la politica del sovrano francese, tutta tesa a contrastare Vienna e l'Impero, doveva risultare il maggior ostacolo alla progettata lega di Innocenzo XI contro i Turchi. A questo si aggiungevano i cattivi rapporti tra la Russia e la Polonia e fra questa e lo stesso imperatore Leopoldo. Presso la corte polacca infatti l'influenza dell'inviato francese Béthune era ormai forte e il suo scopo principale consisteva proprio nell'impedire ogni alleanza tra la Polonia e l'Impero. Lo stesso C., nell'ottobre del 1677, accusò il re Giovanni III Sobieski di aiutare gli insorti ungheresi contro l'imperatore, promettendo loro protezione e asilo in Polonia. L'opera di mediazione del C. fu quindi indispensabile, aiutando e favorendo quei partiti che in Polonia e a Vienna erano favorevoli alla guerra e alla lega. Ma tutti i tentativi dovevano scontrarsi con la realtà della volontà di Luigi XIV allora all'apice della sua potenza, senza il cui assenso né la Polonia né gli altri Stati volevano prendere l'iniziativa. La stessa offensiva turca contro l'Impero nell'estate del 1682 iniziò dopo l'assicurazione dell'inviato francese a Costantinopoli che l'imperatore Leopoldo non avrebbe avuto alcun aiuto francese. Tutti gli sforzi della diplomazia pontificia e del C. furono quindi rivolti, dopo l'attacco turco, ad ottenere Paiuto del re di Polonia e a favorirne l'alleanza con l'imperatore. Grazie all'abile lavoro dei nunzi O. Pallavicino e F, Buonvisi e ai sussidi e alle decime promesse dal pontefice, il 1° apr. 1683 venne firmato l'accordo di alleanza. Tutte le vittorie seguite nella lotta contro i Turchi furono dovute alla inflessibile volontà di Innocenzo XI: dalla liberazione di Vienna, alla formazione della lega santa, alla presa di Buda, fino alla vittoria di Batudschina, la cui notizia giunse a Roma il 13 sett. 1689 quando il pontefice era già morto. Gli sforzi finanziari del papa per aiutare la Polonia, l'Impero e Venezia furono notevolissimi. Gli stessi cardinali, pur esentati dalle decime ecclesiastiche, diedero notevoli contributi, e il C. Personalmente, in vari anni, contribuì con 50.000 scudi.
La piena rispondenza fra l'azione del pontefice e quella del C. come segretario di Stato nell'affrontare i difficili problemi della lotta contro i Turchi e della lega santa venne tuttavia a mancare del tutto in altri campi, soprattutto nei rapporti con la Francia. Nel conflitto sostenuto da Innocenzo XI contro l'assolutismo e il gallicanismo del sovrano francese, nella condanna dell'Assemblea del clero francese e dei quattro articoli gallicani del 1682 il C. giocò un ruolo troppo ambiguo. A proposito dell'elezione del vescovo di Pamiers nel 1680 lo stesso pontefice era dell'opinione che l'atteggiamento audace della Francia fosse proprio dovuto alla fiducia nell'influenza del re sul Cibo.
Ancora nel conflitto per la libertà di quartiere, nel 1687, la posizione del C., equivoca tra il pontefice e il re, gli aveva alienato la fiducia di entrambi, come egli stesso ammise con il cardinal d'Estrées.
Secondo il Pastor la posizione del C. fu inoltre poco chiara sul problema dell'abolizione del nepotismo: la minuta della bolla fu fatta preparare da Innocenzo XI nel 1677 "all'insaputa del segretario di Stato Cibo". E la stessa opposizione dei vari nipoti dei passati pontefici sperava molto da lui. In realtà, com'è stato di recente dimostrato, il C. stesso aveva incaricato il generale dei gesuiti padre Oliva, già l'anno precedente, di preparare un progetto di riforma della Curia; progetto nel quale il generale dei gesuiti aveva già avanzato la proposta dell'abolizione del nepotismo. Abolizione che del resto lo stesso pontefice aveva sancito con la scelta del C. a segretario di Stato, o meglio, come quest'ultimo scriveva al fratello, a "suo Primo Ministro con tutta l'autorità". Del resto in una lettera dello stesso anno al nunzio a Madrid il C. osservava ferniamente e con chiarezza: "Non è più tempo di sapere le opinioni dei Theologi e canonisti... ma bisogna chiedere alli computisti quali rendite e quali debiti ha trovato questo Pontefice". Se tuttavia il C., per l'opposizione fatta a Innocenzo XI da molti cardinali, non riuscì a firmare la bolla contro il nepotismo come segretario di Stato, vi riuscì anni doM come decano del Sacro Collegio nella bolla Romanum decet Pontificem (22 giugno 1698), con la quale Innocenzo XII sanzionò la fine di tale pratica.
Il pontificato di Innocenzo XI non fu tuttavia ricco solo di avvenimenti politici e diplomatici di rilievo. Anche sul piano teologico si verificarono diverse e importanti controversie, nelle quali il C., sia come segretario di Stato sia come cardinale, parve a volte incerto e insicuro.
Già nei rapporti con i giansenisti francesi e in particolare con Antoine Arnaud, nonostante la prudenza del papa, alcune lettere favorevoli del C. furono male interpretate. Da una frase di una sua lettera all'Arnaud si dedusse in Francia addirittura che il papa lo volesse far cardinale. Molto incerto fu inoltre l'atteggiamento del C. nei confronti del diffondersi dei quietismo del Molinos in, Italia, anche se questa volta il suo non fu un caso isolato. Gli stessi cardinali Azzolini, Ricci, Capizucchi e i consiglieri del pontefice Favoriti e Casoni furono inizialmente sostenitori del giovane Molinos a Roma, come pure l'allora cardinale Odescalchi. Tuttavia quando nel 1680 apparve il primo vero attacco alle dottrine dei Molinos, ad opera di Paolo Segneri, il C. permise una confutazione di Pier Matteo Petrucci, che aveva conosciuto e stimato quando era vescovo di Iesi, a lui dedicata, nonostante questi fosse il maggior esponente del quietismo italiano. L'anno seguente lo stesso Petrucci, nominato vescovo di Iesi e consacrato dal C. gli dedicò la sua opera La contemplazione mistica acquistata. Lo stesso arresto del Molinos del resto, avvenuto il 18 luglio 1685 ad opera dell'Inquisizione a Roma, fu dovuto soprattutto alle ripetute denunce di immoralità contro il mistico spagnolo. Cosicché il Petrucci nel 1686 poteva essere croato cardinale. Ma ormai il processo avviato contro il Molinos aveva portato alla luce tutti i possibili pericoli e gli eccessi insiti nel quietismo. Il 3 sett. 1687 a Roma ebbe luogo l'abitira e la condanna del Molinos. Si rese inoltre necessario un processo contro lo stesso Petrucci, nonostante i tentativi del C. e dello stesso pontefice addolorato da questo intervento contro un cardinale da lui stesso da poco creato. Tuttavia il pontefice ne affidò lo svolgimento ad una congregazione di quattro cardinali, fra i quali l'Azzolini noto per le sue posizioni favorevoli al Petrucci. La congregazione si pronunciò per la proibizione dei libri del Petrucci, per la sua confessione e ritrattazione da farsi al cardinal C., ricevendone da lui l'assoluzione. E la ritrattazione avvenne il 17 dic. 1687 nella camera del Cibo.
Con la morte di Innocenzo XI nel 1689 e l'età avanzata il C., pur partecipando ai conclavi del 1689 (appoggiò l'elezione di Alessandro VIII Ottoboni) e del 1691, non svolse più un ruolo attivo nella Curia romana. Prese ancora parte, nel 1693, alla polemica sul probabilismo del generale dei gesuiti Gonzales, pronunciandosi a favore del gesuita spagnolo, da lui già protetto in precedenza intercedendo anche presso Alessandro VIII. Ma negli ultimi delegò anche le cure delle sue diocesi di Ostia e Velletri al fratello Odoardo, patriarca di Costantinopoli.
Il C. morì a Roma il 22 luglio 1700.
Venne sepolto nella cappella in S. Maria del Popolo, da lui stesso fatta ricostruire da Carlo Fontana e decorare da Carlo Maratta - che per il C. dipinse anche la Morte di Maria - e da Daniele Seiter. Il suo archivio e la sua ricca biblioteca, descritta dal Montfaucon nel 1739, vennero trasferiti nel palazzo ducale di Massa, dove tuttavia la biblioteca fu dispersa nel corso del XVIII secolo, mentre l'archivio è oggi conservato nell'Archivio di Stato di Massa.
Fonti e Bibl.: Arch. Segr. Vaticano. Acta Cameralia, 19, f. 58: nomina a legato di Urbino; ibid., f. 279: vescovo di Iesi; Acta miscellanea, 40, f. 116: legato di Romagna; f. 179: legato di Ferrara; Segret. di Stato, Nunziatura, 1676-1689, per il carteggio del C. quale segretario di Stato, da completare con il carteggio conservato nell'Archivio di Stato di Massa; Archivo general de Simancas, Papeles de Estado, Negociacion de Roma, legajos 3055, 3059, 3061: note sopra il modo di procedere del card. C., avvisi sull'autorità e il favore del C. (1677-1679); Bibl. Ap. Vaticana, Urb. lat. 1631, ff. 29-30; Ott. lat. 2686, ff. 44-48; Vat. lat. 7440, ff. 46-47: biografie dei C. scritte da Orazio d'Elci, l'ultima corretta a suo favore; Var. lat. 10406, f. 55: breve di Innocenzo X per la nomina a legato di Urbino; Arch. di Stato di Massa, Archivio ducale, Archivio del cardinale Alderano Cibo, ff. 1-31: carteggio fra il C. e i duchi e principi di Massa, 1640-1700; ff. 33-41: lettere di vari sovrani, Luigi XIV, Leopoldo I, Giovanni Sobieski, Carlo I di Spagna, Carlo II e Giacomo II Stuart e altri, al card. C.; ff. 45-51, 52-55: lettere di mons. Niccolini e mons. Cenci vicelegati di Avignone (1677-1685, 1686-1689); ff. 57-63: lettere di mons. Mellini e dei card. Durazzo, nunzi in Spagna (1677-1683, 1686-1689); ff. 64-84: lettere di cardinali e principi, (1674-1689); ff. 55-89: lettere del C. a diversi (1685-1689); Archivio ducale, f. 484: testamento del C.; Archivio di Stato di Firenze, Mediceo del Principato, ff. 3828-3839: lettere dei C. al granduca Cosimo III. La bibliografia sul C., per il suo ufficio di segretario di Stato, è vastissima e strettamente legata a quella su Innocenzo XI, che in questa sede si è costretti a tralasciare: G. Gualdo Priorato, Scene d'huomini ill. d'Italia, Venezia 1659, pp. 86 ss.; M. Giustiniani, Gli scrittori liguri, I, Roma 1667, pp. 38-39; A. Oldoini, Athenaeum Ligusticum seu Syllabus scriptorum Ligurum, Perusiae 1680, pp. 7 ss.; Ordinationes et Decreta in Sjnodo Aesina IV-VI Iulii MDCLVIII celebrata..., Anconae 1695; Constitutiones synodales... editae et promulgatae ab Alderano episcopo Ostiense et Veliterno S.R.E. cardinale Cybo..., Romae 1699; L. Moréri, Le grand dict. historique, III, Bâle 1731, p. 162; G. Tiraboschi, Biblioteca modenese, Modena 1781-1785, II, pp. 38-39; F.M. Renazzi, Notizie stor. dei maggiordomi pontifici..., Roma 1784, pp. 128-129; L. Cardella, Memorie stor. dei cardinali..., VII, Roma 1793, pp. 64-67; G. Viani, Memorie della famiglia Cibo..., Pisa 1808, pp. 45, 131-134; E. Gerini, Memorie stor. di Lunigiana..., Massa 1829, I, pp. 201-203; C. Gerin, Le pape Innocent XI et la révol. anglaise de 1688, in Revue de questions histor., XX (1876), pp. 427-457 (in particolare pp. 427 ss.); Id., Le pape Innocent XI et la révocation de l'édit de Nantes, ibid., XXII (1878), pp. 402-30; Id., Le pape Innocent XI et l'élection de Cologne en 1688, ibid., XXVII (1883), pp. 82-84; Id., Le pape Innocent XI et le siège de Vienne en 1683, ibid., XXX (1886), pp. 100, 123; F. Bojani, Innocent XI. Sa correspondance avec ses nonces, I-III, Roma 1910-1912, ad Indicem; L. Mussi, Il cardinal A. dei principi Cybo Malaspina, Massa 1913; Id., Alcune memorie di conclavi del secolo XVII, Assisi 1915; E. Jovy, Les archives du cardinal A. C. à Massa, Paris 1918, Id., Six lettres originales de Bossuet... conservées aux Archives... de Massa, Paris 1912 (lettere al C.); L. v. Pastor, Storia dei papi, Roma 1932, XIV, 1, pp. 143, 311; 2, pp. 4, 6, 15, 16, 39; G. B. Scapinelli, Il memoriale del p. Oliva S. J. al card. C. sul nepotismo (1676), in Riv. di storia della Chiesa in Italia, II (1948). pp. 262-273; Sacrum Poloniae millennium..., Romae 1956, pp. 648 ss. (lettere e carteggi del C., 1687-1688); L. Ceyssens, Les archives du cardinal A. C. examinées au point de vue de l'histoire de Belgique, in Bull. de l'Inst. histor. belge de Rome, XXVII (1953), pp. 105ss.; G. Moroni, Diz. di erudizione storico-ecclesiastica..., XII, pp. 127-128; P. Gauchat, Hierarchia eatholica..., IV, pp. 28, 71. Sulla cappella fatta costruire dal C. in S. Maria del Popolo da Carlo Fontana, vedi ora H. Hager, La cappella del card. A. Cybo in S. Maria del Popolo, in Commentari, XXV (1974), pp. 47-61, e F. Bentivoglio-S. Valtieri, S. Maria del Popolo, Roma 1976, pp. 127-31. Per la biblioteca vedi B. De Montfaucon, Bibliotheca bibliothecarum manuscriptorum nova, Paris 1739, numero 10239. Per l'archivio vedi: Inv. sommario dell'Archivio di Stato di Massa, a cura di R. Mori, Roma 1952, pp. 20 s., 27, 32 ss.