GAROSCI, Aldo
Nacque a Meana di Susa (Torino) il 13 agosto 1907, terzogenito di Antonio (1861-1941), commerciante e imprenditore agroalimentare, e di Alessandra Sampò (1879-1938).
La famiglia, pur di recente inurbamento (il padre era oriundo sanremese, la madre era nata a Bene Vagienna, in provincia di Cuneo), era ben inserita negli ambienti della media borghesia cittadina: la zia materna Nelda studiò lettere e sposò il medievista Giorgio Falco; le cugine Clotilde e Cristina Garosci furono, a partire dagli anni Venti, affermate traduttrici dal polacco. La seconda, molto legata alla madre di Garosci di cui era quasi coetanea, sposò il medico Mario Agosti: il loro figlio Giorgio, nato nel 1910, strinse fin dall’infanzia con Aldo un legame destinato a diventare politico e intellettuale e a durare tutta la vita.
Dopo aver frequentato la scuola elementare statale Federico Sclopis, il giovane Garosci condusse gli studi ginnasiali e liceali presso l’Istituto sociale dei padri gesuiti: un percorso non inusuale per i figli della borghesia cittadina, come attestato dall’incontro, avvenuto in tale contesto, con Mario Soldati e Carlo Dionisotti. Con quest’ultimo in particolare nacque una profonda amicizia, incentrata sui comuni interessi intellettuali e letterari. Eco di questa originaria vocazione di Garosci si trova in una serie di articoli che scrisse sul Baretti anni più tardi, dedicati alla rilettura di autori rinascimentali (Baldassarre Castiglione, Matteo Bandello): pezzi dal gusto erudito e dallo stile aulico, a volte ampolloso, che sembra si possano ricondurre alla prima formazione soprattutto per la mancanza di riferimenti, espliciti o impliciti, al metodo crociano, che fu invece una costante della ricerca garosciana successiva.
Iscrittosi nel 1925 alla facoltà di lettere dell'Università di Torino, Garosci dopo un anno passò a giurisprudenza, conseguendo la laurea in filosofia del diritto nel 1929 con una tesi dedicata a «La Repubblica di Jean Bodin», dalla quale sarebbe successivamente nato il suo primo libro. Relatore fu Gioele Solari, alla cui scuola si formarono numerosi filosofi e storici delle idee (fra gli altri, Norberto Bobbio, Luigi Firpo, Alessandro Passerin D’Entreves, Luigi Pareyson), nonché una intera generazione di antifascisti (Piero Gobetti, Mario Andreis, Giorgio Agosti, Dante Livio Bianco). Quelli dell’università furono gli anni di una rapida e profonda politicizzazione antifascista, nella quale giocarono un ruolo fondamentale prima il compagno di corso Fernando De Rosa, socialista, poi il pittore Carlo Levi. L’incontro con quest’ultimo avvenne all’interno dell’ambiente 'gobettiano', che Garosci iniziò a frequentare nel 1926 e dal quale fu profondamente influenzato. Per il tramite di Levi, egli venne in contatto con i temi caratterizzanti il pensiero del giovane editore torinese: la concezione attivistica del liberalismo, visto come processo e non come dato, l’attenzione al movimento operaio, l’interesse per le tematiche consiliari. Tali temi costituirono l’impalcatura teorica di un antifascismo che assunse ben presto tratti metapolitici, 'esistenziali', e vissuto come contrapposizione radicale a tutto ciò che il regime rappresentava.
La dimensione pratica e cospirativa dell’opposizione, inizialmente limitata ad atti dimostrativi circoscritti agli ambienti studenteschi e universitari, ricevette un impulso decisivo dall’adesione a Giustizia e Libertà (GL), avvenuta pochi mesi dopo la costituzione del movimento nel 1929. Garosci fu uno degli animatori della prima rete giellista torinese, che divenne subito uno dei nuclei più consistenti a livello nazionale. In particolare, ebbe un ruolo di punta nell’esperienza di Voci d’Officina, probabilmente la più importante fra le varie attività della GL subalpina: il foglio clandestino, di cui uscirono in tutto tre numeri, fu il principale tentativo dell’antifascismo 'borghese' di instaurare un dialogo con la classe operaia, tentativo in cui echeggiava nitidamente l’eco gobettiana. Nonostante l’esilità dei contatti con gli ambienti proletari e la probabile scarsa diffusione del giornale, esso si attirò le attenzioni degli organi di polizia, che nell’autunno del 1931 smantellarono l’intera organizzazione: mentre gli altri redattori (fra i quali Andreis e Luigi Scala) vennero arrestati, il 12 gennaio 1932 Garosci riuscì a fuggire in Francia, dove visse per i successivi nove anni.
Il soggiorno parigino costituì un altro momento fondamentale per la formazione della sua personalità politica e intellettuale. Coinvolto fin da subito nelle attività del centro estero di GL, divenne rapidamente uno dei più stretti collaboratori di Carlo Rosselli, al cui socialismo liberale aderì con convinzione, seppure non in maniera acritica. Di fatto, fu solo dopo che il movimento ebbe recepito alcune delle istanze avanzate dal gruppo di Torino (e sostenute da Levi e dallo stesso Garosci), relative in particolare all’accentuazione della critica al socialismo e al liberalismo tradizionali e all’attenzione verso la classe operaia come soggetto rivoluzionario, che egli divenne uno dei più convinti sostenitori delle linea rosselliana.
La militanza in GL non consistette solo nella partecipazione al dibattito ideologico, ma si sostanziò anche di una costante attività pratica, fatta di collaborazione alle pubblicazioni del movimento, di partecipazione alle attività delle pur labili organizzazioni territoriali, di costanti tentativi di costruire e mantenere contatti con la cospirazione in Italia. Ciò fu reso possibile pure dalla relativa stabilità di cui Garosci godeva, grazie prima al supporto economico della famiglia, poi all’occupazione presso il critico d’arte in esilio Lionello Venturi (uno dei dodici professori a non aver accettato il giuramento al regime), per il quale lavorò per gran parte del periodo francese. Agli anni parigini risale anche il legame con Madeleine Bride, che fu sua compagna fino alla fine dell’esilio, e alcune delle più forti amicizie di Garosci: Alberto Cianca, Fernando Schiavetti, Paolo Vittorelli e soprattutto Leo Valiani e Franco Venturi. Con questi ultimi in particolare strinse, sul finire degli anni Trenta, un sodalizio umano e intellettuale destinato a durare per tutta la vita.
Spicca in tale panorama l’organizzazione dell’intervento di GL nella guerra di Spagna, che Garosci condusse in prima persona recandosi a Barcellona nell’estate del 1936 per prendere contatto con le autorità rivoluzionarie. Alla lotta antifranchista contribuì poi sia prendendo direttamente parte alle operazioni militari della colonna italiana guidata da Rosselli, che dovette però presto abbandonare a causa di una ferita, sia con una costante azione di propaganda svolta sul settimanale del movimento, preludio alla successiva opera di costruzione della memoria e del mito dell’intervento antifascista nella guerra civile che avrebbe portato avanti nei decenni successivi. Di fatto, l’esperienza spagnola costituì un momento decisivo nella biografia di Garosci, un acme mai più raggiunto di impegno esistenziale; e la rivoluzione catalana, per i suoi peculiari caratteri di spontaneismo e di autogoverno, rimase per lui a lungo un modello paradigmatico.
Alla morte di Rosselli, ucciso col fratello Nello il 9 giugno 1937, Garosci assunse la guida di GL assieme a Cianca, Schiavetti, Emilio Lussu e Silvio Trentin, cercando di portare avanti, senza molto successo, la linea indicata dal defunto leader, incentrata sull’unificazione delle forze antifasciste rivoluzionarie e, conseguentemente, sul dialogo con i partiti proletari; e questo nonostante il radicato sospetto che egli nutriva nei confronti dell’autoritarismo comunista fin da prima dell’esilio. Lo scoppio della seconda guerra mondiale e l’invasione della Francia segnarono però il tramonto delle prospettive rivoluzionarie gielliste. Garosci, come molti suoi compagni di militanza, riparò negli Stati Uniti, dove si mantenne appartato dalle attività della comunità antifascista, lavorando per i servizi di propaganda in lingua italiana e dedicandosi ad attività di studio e di ricerca. Al soggiorno americano, che durò dall’agosto del 1941 al giugno del 1943 risale anche il matrimonio con Bride, anche lei riparata oltreoceano.
Quello newyorkese fu per Garosci un periodo di ripensamento e rielaborazione dottrinaria, dal quale sortirono sia la sua opera forse più celebre, La vita di Carlo Rosselli, sia il più articolato tentativo di sistemazione teorica delle sue prospettive politiche. La prima segnò il netto volgersi dello sguardo verso la storia contemporanea: se nel periodo francese, con la pubblicazione, rivista e ampliata, della tesi (Jean Bodin. Politica e diritto nel Rinascimento francese, Milano 1934) e con uno studio andato perduto su Jacques Necker (Torino, Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea, Archivio Garosci, b. 66, f. 1392: Per la pubblicazione dei miei scritti), egli si era attenuto agli originari interessi modernistici, ora l’attenzione si spostava bruscamente ai tempi recentissimi.
La biografia del capo di GL, pubblicata a Roma nel 1946 ma scritta in gran parte nel periodo americano, rappresentò il primo esempio compiuto del modulo storiografico garosciano, i cui elementi distintivi furono da un lato la convinta assunzione del magistero di Croce, dall’altro una peculiare maniera di declinare il rapporto fra storia e memoria, fra testimonianza personale e ricerca documentaria. L’impostazione storicista appariva evidente nella centralità riconosciuta all’elemento ideale, nella continua ricerca delle essenze spirituali dei fenomeni politici e sociali, nell’adozione massiccia di un lessico idealista. La stessa impostazione, tracciando una netta differenziazione fra gli elementi 'vitali' e quelli residuali del divenire storico, permetteva di separare il passato, anche recente, dal presente, costruendo quella soluzione di continuità necessaria a distinguere la storia dalla cronaca.
Al contempo, Garosci andò precisando in una serie di articoli sui Quaderni Italiani diretti dal giellista Bruno Zevi quella che più tardi definì la propria «personale utopia» (Garosci, 1984b, p. 29) e che, di fatto, era un aggiornamento alla luce delle esperienze francesi di suggestioni provenienti dagli ambienti gobettiani torinesi. A questi risaliva la nozione chiave di autonomia, intesa tanto nella dimensione collettiva di libertà dei soggetti sociali di organizzarsi e gestirsi da sé, quanto in quella individuale di possibilità dei singoli di determinare la propria esistenza. Essa era completata e definita dal concetto di distinzione, che postulava un modello di società in cui le diverse sfere (economica, politica, culturale, spirituale) fossero nettamente separate e ordinate secondo principi differenti e indipendenti. In tale concetto, che probabilmente risentiva della crociana teoria dei distinti, confluivano le riflessioni sul totalitarismo come «tendenza di accentramento e di burocratizzazione» (Magrini [pseud. di Garosci], Verso una società liberalsocialista, in Quaderni Italiani, 1944, vol. 4), che Garosci aveva sviluppato a partire dai tardi anni Trenta assieme a Valiani e Venturi e che approfondì nell’ambiente statunitense. Infine, il modello di movimento antitotalitario lì prefigurato, che avrebbe dovuto racchiudere in sé tutte le possibili alternative politiche della società futura, rimandava direttamente alla proposta rosselliana di partito unico del proletariato.
Alla caduta del fascismo Garosci rientrò in Italia con il supporto dei servizi alleati e passò le linee nel dicembre del 1943. Prese parte alla Resistenza romana, collaborando con l’ala militare (in particolare con Riccardo Bauer) del neonato Partito d’Azione (PdA) ma mantenendosi ai margini della vita politica della formazione. Fedele alla propria idea di rivoluzione autonomista, condivisa dal gruppo giellista operante in Alta Italia (che comprendeva fra gli altri Agosti, Andreis, Valiani, Venturi, Vittorio Foa), egli demandava la definizione delle strutture politiche future all’iniziativa dal basso dei Comitati di liberazione nazionale (CNL), secondo una linea che recuperava le suggestioni consiliari del primo dopoguerra. Fu solo dopo la fine del conflitto, quando si affermarono chiaramente le prospettive di continuità dello Stato, che abbandonò le ambizioni rivoluzionarie e ripiegò su un’interpretazione più tradizionale dell’endiadi socialismo-liberalismo: si batté allora per la costruzione di una terza forza socialista democratica, autonoma dalla Democrazia cristiana (DC) e dal Partito comunista italiano (PCI), europeista e riformatrice. Il sostanziale fallimento di tale progetto, privo di spazio nell’Italia della guerra fredda, lo portò ben presto ad abbandonare la militanza di partito: l’ultimo impegno diretto fu la battaglia contro la 'legge truffa' (la legge elettorale del 1953), che combatté nei ranghi di Unità popolare. Non rinunciò comunque all’impegno politico, mantenuto costante attraverso il proprio ruolo di intellettuale pubblico.
Durante la lotta di Liberazione, conobbe a Roma Irene Nunberg (1911-1995), azionista ebrea di origine polacca e moglie di Manlio Rossi-Doria, con la quale strinse un sodalizio affettivo e intellettuale destinato a durare tutta la vita; nel 1950 nacque la loro unica figlia, Adriana. Separatisi dai rispettivi coniugi, i due si stabilirono nella capitale, dove Garosci si diede alla professione giornalistica, in cui aveva mosso i primi passi in esilio, nella redazione di Giustizia e Libertà. Fra il 1947 e il 1949 diresse L’Italia socialista, quotidiano indipendente erede dell’organo del PdA; dopo la chiusura del quotidiano lavorò come free-lance specializzandosi in recensioni e commenti di politica estera.
Scrittore estremamente prolifico, ebbe collaborazioni più o meno stabili con decine di testate italiane e straniere. Fra le più significative, quelle con il mensile Comunità, espressione dell’omonimo movimento fondato da Adriano Olivetti, e con il settimanale Il Mondo, sul quale redasse per dieci anni (1956-1966) la rubrica di affari internazionali 'XX secolo'. Da ricordare anche l’attività di autore di rassegne stampa e approfondimenti per il terzo programma radiofonico della Rai, iniziata nel 1950 e protrattasi fino agli anni Sessanta inoltrati, e quella di recensore nei primi anni di vita de L’Espresso.
Ai primi due decenni del dopoguerra risalgono anche molte delle sue opere storiografiche più famose, sovente frutto dell’approfondimento di spunti provenienti dall’attività pubblicistica: così fu per la Storia dei fuorusciti (Bari 1953), una prima versione della quale uscì a puntate sul Mondo nel 1950, e per Gli intellettuali e la guerra di Spagna (Torino 1959), nata da una serie di conversazioni radiofoniche. Da tale carattere d’occasione, che in certa misura è presente anche in altre opere (quali San Marino. Mito e storiografia tra i libertini e il Carducci, Milano 1967; Pensiero politico e storiografia moderna, Pisa 1954) e che dà ragione dell’eterogeneità dei temi trattati, sarebbe tuttavia erroneo inferire una frammentarietà sostanziale della produzione garosciana. Al contrario, essa appare caratterizzata da una chiara omogeneità di fondo, derivante dalla decisa adesione al magistero crociano, a una storia etico-politica intesa soprattutto come «storia del formarsi di una coscienza» (Archivio Garosci, b. 15, f. 382, 3 marzo 1954: Garosci a C. Dionisotti), del maturare ed evolvere dei fattori ideali.
L’opzione idealistica conferiva alla ricerca di Garosci una sostanziale unità di metodo, incentrata sull’attenzione pressoché esclusiva alla produzione testuale delle élites politiche e culturali, nonché una seppur debole filosofia della storia, in grado di riportare fenomeni lontani nel tempo e nello spazio a un denominatore comune, sostanzialmente, alla crociana storia della libertà. Da tale impostazione derivavano tanto una significativa capacità di contestualizzare e interpretare i fenomeni studiati all’interno di tendenze di lungo periodo – un lungo periodo molto diverso da quello della storia sociale – quanto il rischio di costruire una rappresentazione teleologica del divenire storico, schiacciata sulle categorie e le esigenze del presente. Inoltre, ponevano la produzione garosciana, indifferente quando non ostile all’economia e alle scienze sociali, nettamente al di fuori della contemporanea evoluzione della disciplina: il che ne spiega in buona parte il limitato successo. Essa gli valse comunque l’ingresso nell’accademia, che avvenne nel 1961 al primo concorso di storia contemporanea. A partire dallo stesso anno e fino al 1974 tenne corsi di storia moderna e storia del Risorgimento all’Università di Torino, per poi passare a insegnare la seconda materia nell’Ateneo della capitale.
L’attività lavorativa e quella scientifica, assieme all’importante ruolo svolto nella lotta antifascista, contribuirono ad accreditare Garosci come importante figura del discorso pubblico del primo trentennio repubblicano. Egli non abbandonò mai il modello di stretta compenetrazione fra attività intellettuale e militanza, che era stato alla base della sua politicizzazione giovanile, applicandolo a numerosi contesti differenti sebbene tutti esterni (ma non estranei) ai partiti organizzati. La sua adesione al Movimento federalista europeo (MFE) datò dai primissimi anni di vita di quest’ultimo, e durò ininterrotta per i decenni successivi: convinto sostenitore della linea del 'cominciare in occidente' propugnata da Altiero Spinelli, Garosci alla fine degli anni Quaranta e nel corso degli anni Cinquanta fece parte degli organi direttivi del MFE, sebbene senza assumere responsabilità effettive. Lo assorbì di più, anche se fu meno prolungata nel tempo, l’attività di sostegno agli antifranchisti spagnoli, esuli e non: nel corso degli anni Sessanta, Garosci fu un importante membro prima del Comitato italiano per la libertà del popolo spagnolo, nel quale svolgevano un ruolo centrale i comunisti, e poi, dopo la rottura con questi, del Comitato italiano per la Spagna democratica (dove l’aggettivo stava a rimarcare, oltre all’opposizione al franchismo, la distanza rispetto al PCI). Sebbene poco strutturati e dalla vita breve, tali organismi svolsero un’intensa attività di sensibilizzazione internazionale, tramite conferenze, appelli, raccolte di firme, e cercarono anche – difficile stabilire con quanto successo – di sostenere materialmente gli oppositori interni della dittatura iberica.
Se nel caso della Spagna si trattò per Garosci anche di una forma di fedeltà al proprio passato, così non fu per l’impegno con l’associazione Italia-Israele, di cui nel 1960 fu tra i fondatori. Sensibile alla minaccia antisemita fin dalle leggi razziali del 1938, e personalmente coinvolto dal suo legame con Nunberg (che aveva sposato nel 1957), egli fu entusiasta ammiratore e fervido sostenitore della patria ebraica, se pure sempre da una prospettiva laica, incentrata esclusivamente sulla dimensione politica e ideale e indifferente a quella religiosa. Agli occhi di Garosci, Israele rappresentava non solo uno dei più riusciti tentativi di costruzione di un socialismo autonomo e democratico (elemento comune ad ampi settori della sinistra non comunista almeno fino al 1967), ma anche un esempio di tensione morale, di concretizzazione di un ideale di libertà e liberazione che echeggiava, probabilmente, le antiche convinzioni della giovinezza. In stretta collaborazione con la moglie, si impegnò specialmente nella campagna internazionale a favore degli ebrei sovietici e del loro diritto a emigrare, condotta prima in un’attitudine dialogica con i comunisti e poi, a partire dai tardi anni Sessanta, in dura polemica con loro. Il legame con lo Stato ebraico fu però qualcosa di più profondo, identitario: la coppia si recò più volte in Israele, strinse amicizie con ebrei italiani emigrati nel nuovo Stato, divenne un punto di riferimento per ampi settori della comunità israelitica.
Tale nuova appartenenza ideale, che perdurò almeno fino al giugno del 1982, quando venne fortemente scossa dall’invasione del Libano, andava a sommarsi alle antiche fedeltà e reti di relazioni dei tempi della lotta clandestina. Per tutta la sua vita Garosci non solo mantenne solidarietà, amicizie, relazioni con numerosi esponenti giellisti e azionisti (oltre ai nomi citati, Luciano Bolis, Vindice Cavallera, Alessandro Galante Garrone, Ernesto Rossi, Altiero Spinelli), ma contribuì in maniera significativa alla costruzione della memoria dell’antifascismo e della Resistenza. Nel duplice ruolo di storico e di testimone, partecipò a convegni, dibattiti e manifestazioni pubbliche plasmando il ricordo e il giudizio su GL e sul suo capo, sulla guerra di Spagna, sull’antifascismo in esilio. Fra tutti gli elementi che composero il suo agire pubblico, fu questo forse il più duraturo nel tempo: continuò, e anzi andò accentuandosi negli anni Ottanta e Novanta, fino al limite estremo della sua esistenza.
Su altri fronti, invece, Garosci si ritrasse progressivamente dalla vita politica. Nel 1966 promosse un manifesto degli intellettuali a favore dell’unificazione socialista ed entrò nel nuovo Partito; dopo il fallimento dell’operazione, optò per il PSDI, di cui diresse l’organo ufficiale, L’Umanità, fra il 1969 e il 1972. Un cambio di maggioranza in direzione lo costrinse però alle dimissioni e pose fine a tale seconda, breve stagione di militanza. Nel frattempo andò sviluppando un duro e intransigente anticomunismo, a partire dall’esplodere della contestazione studentesca, cui egli fu sempre ostile. Fin dagli anni Venti aveva espresso timori o avversione per le carenze liberali e democratiche del PCI, che si erano accentuati in seguito all’affermazione dello stalinismo (che dalla sua prospettiva francese aveva potuto seguire fin dagli esordi), al patto Molotov-Ribbentropp e soprattutto all’espansione sovietica del dopoguerra. Tuttavia, solo negli anni Settanta Garosci pervenne a un anticomunismo intransigente, militante e per molti versi conservatore, che lo portò a collaborare con Il Giornale di Indro Montanelli e anche, se pur episodicamente, con Resistenza democratica di Edgardo Sogno. La linea di 'difesa democratica' di fronte all’avanzata comunista caratterizzò i suoi ultimi anni di attività pubblica. Con gli anni Ottanta e il mutare della situazione interna e internazionale, essa venne meno: collocato a riposo nel 1982, Garosci si ritrasse progressivamente dai molteplici impegni che era stato solito assumere; dopo una lunga vecchiaia, morì a Roma il 3 gennaio 2000.
La produzione garosciana è estremamente vasta e variegata, e di essa ancora manca una bibliografia completa; utile soprattutto per i testi scientifici è E. Savino - P. Acanfora, Guida bibliografica degli scritti di Aldo Garosci, in A. Garosci, Rileggere Carlo Rosselli nell’Italia del dopoguerra, a cura di L. Rossi - E. Savino, Milano 2015. Per la produzione storiografica e politologica, cfr. almeno, oltre ai testi citati, Storia della Francia moderna, Torino 1947; Il pensiero politico degli autori del “Federalist”, Milano 1954; Gli ideali di libertà dal Risorgimento alla crisi fascista, Roma 1955; Nuove questioni del leninismo, Roma 1958; Introduzione a C. Rosselli, Socialismo liberale e altri scritti, 1919-1930, a cura di J. Rosselli, Torino 1973; Antonio Gallenga: vita avventurosa di un emigrato dell'Ottocento, Torino 1979; Adolfo Omodeo, a cura di M. Griffo, Roma 2013 (ristampa di Adolfo Omodeo. I. La storia e l’azione, in Rivista storica italiana, LXXVII (1965), pp. 173-198; Adolfo Omodeo. II. La guerra, l’antifascismo e la storia, ibid., pp. 639-686; Adolfo Omodeo. III. Guida morale e guida politica, ibid., LXXVIII (1966), pp. 140-180); Communism in Western Europe, Ithaca, NY, 1951 (con J-M. Domenach e M. Einaudi). Per quanto riguarda i testi memorialistici e autobiografici, da ricordare, inoltre, L’attentato di Bruxelles, in No al fascismo, a cura di E. Rossi,Torino 1957; L’era di Carlo Levi, in Carlo Levi. Disegni dal carcere, 1934. Materiali per una storia (catal.), Roma 1983; Dino Gentili tra cospirazione, politica e impresa, in Fra politica e impresa. Vita di Dino Gentili, prefazione di P. Barile, Firenze 1984; Dalla Francia agli Stati Uniti, in A. Varsori et al., L’antifascismo italiano negli Stati Uniti durante la seconda guerra mondiale. Atti del convegno di Cesena, 4-6 novembre 1983, a cura di A. Varsori, Roma 1984. Importanti anche i numerosi saggi pubblicati sulla Rivista storica italiana, su Studi piemontesi, sulla Rivista di studi crociani. Fra i periodici su cui più frequentemente scrisse, cfr. Quaderni di Giustizia e Libertà, Giustizia e Libertà, Quaderni Italiani, Nuovi Quaderni di Giustizia e Libertà, L’Italia Libera, L’Italia Socialista, Comunità, La Sentinella del Canavese, Il Mondo, Il Ponte, L’Espresso, Resistenza. Notiziario Gielle, L’Umanità, La Stampa.
Sugli anni dell’università, Torino, Archivio storico dell’Università, Facoltà di Giurisprudenza, Registri di matricola; ibid., Annuario, a. 1929-30. Per la cospirazione e l’esilio, Archivio centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Divisione polizia politica, Fascicoli personali, ad nomen; ibid., Divisione Affari generali e riservati, Casellario politico centrale, ad nomen; Tribunale speciale per la difesa dello Stato, b. 372: Atti del processo contro il gruppo di "Voci d’Officina”. Carte relative a Garosci sono conservate in Milano, Istituto nazionale Ferruccio Parri, Fondo Luigi Campolonghi; Firenze, Istituto storico della Resistenza in Toscana, Archivio Giustizia e Libertà; Fondo Fernando Schiavetti; Fondo Gaetano Salvemini; Torino, Centro studi Piero Gobetti, Fondo Umberto Calosso. Sul periodo post 1943, fondamentale è l’archivio personale di Garosci, ricchissimo di corrispondenze, documenti di partiti e associazioni, scritti editi e inediti, conservato a Torino presso l'Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea e cfr. inoltre, presso lo stesso Istituto, gli archivi Partito d'Azione e Giorgio Agosti; presso l'Istituto storico della Resistenza in Toscana il fondo Partito Socialista Unitario; presso l'Istituto nazionale Ferruccio Parri il fondo Mario Alberto Rollier.
G. De Luna, Storia del Partito d’Azione, Milano 1982; E. Signori - M. Tesoro, Il verde e il rosso. Fernando Schiavetti e gli antifascisti nell'esilio fra repubblicanesimo e socialismo, con una testimonianza di Aldo Garosci, Firenze 1987; A. Comba, Il contributo di A. G. al federalismo e all’europeismo, in Europeismo e federalismo in Piemonte fra le due guerre mondiali. Le Resistenza e i Trattati di Roma (1957), a cura di S. Pistone - C. Malandrino, Firenze 1999; L. Valiani, A.G., in Id. Testimoni del Novecento, Firenze 1999; M. Ferri, Amici scomparsi. Ricordo di A. G., in Rassegna storica del Risorgimento, LXXXVII (2000), 2, pp. 277-280; G. Russo, Ricordo di A. G., in Nuova Antologia, 2000, vol. 584, 2214; G. De Luna, Carlo Levi e A. G.: i percorsi dell’amicizia, in Gli anni di Parigi. Carlo Levi e i fuoriusciti 1926-1933 (catal.), Torino 2003; D. Grippa, Dubbi e certezze nel carteggio Garosci-Venturi, in Annali della Fondazione Luigi Einaudi, 2005, vol. 39; L'impegno e la ragione: carteggio tra A. G. e Leo Valiani (1947-1983), a cura di F. Fantoni, Milano 2009; San Marino tra mito e storia. Ripensando A. G. e la storiografia sulla Repubblica. Atti del seminario del 18 ottobre 2010, San Marino 2011; F. Fantoni, Il carteggio con A. G., in L’utopia necessaria. Leo Valiani a cento anni dalla nascita, a cura di C. Scibilia, in Annali della Fondazione Ugo La Malfa, 2012, vol. 27; D. Pipitone, Alla ricerca della libertà. Vita di A. G., Milano 2017; Id., Il carteggio Garosci-Montanelli. Antifascismo e anticomunismo nell’Italia degli anni ’70, in Passato e Presente, 2017, n. 100, 1, pp. 167-180.