VISALBERGHI, Aldo
VISALBERGHI, Aldo. – Nato a Trieste il 1° agosto 1919, trascorse buona parte della sua infanzia a Monfalcone, dove risiedevano i suoi genitori, Wanda Janovitz e Roberto Wieselberger (dopo l’annessione di Trieste al Regno d’Italia il cognome paterno fu italianizzato in Visalberghi), ingegnere presso i cantieri navali.
Compì i suoi studi secondari a Trieste, nel liceo-ginnasio Dante Alighieri. Tra i suoi professori c’erano studiosi come Giani Stuparich e Giorgio Radetti, che ebbero profonda influenza nel precisarsi dei suoi orientamenti culturali. A diciotto anni andò alla Scuola normale superiore di Pisa e fu compagno di studi di Carlo Azeglio Ciampi. Conseguì la laurea in filosofia nell’anno accademico 1941-42 con Guido Calogero. Di quest’ultimo condivise gli ideali politici, che l’avevano indotto a fondare, insieme ad Aldo Capitini, il movimento liberalsocialista. Nel 1943 sposò Noela Ricci, sua compagna di università, e dal matrimonio nacquero tre figli: Anna Valeria, Marco ed Elisabetta.
Sottotenente dei granatieri di Sardegna, l’8 settembre 1943 Visalberghi prese parte a Roma ai combattimenti di porta S. Paolo, nel corso dei quali fu ferito. In Piemonte, partecipò con la moglie alla guerra partigiana nelle formazioni di Giustizia e libertà. Fu arrestato due volte, e rilasciato infine dopo il 25 aprile 1945. Nel periodo successivo alla Liberazione si impegnò nel movimento fino al suo scioglimento, avvenuto il 20 ottobre 1947. Passò quindi nel Partito socialista italiano, condividendo le scelte della corrente di sinistra, che aveva in Riccardo Lombardi il principale esponente.
Nel corso degli anni Quaranta i suoi interessi, originariamente orientati alla letteratura e alla filosofia, si andarono precisando in direzione pedagogica. Dedicò alcuni studi alle opere di Scipio Slataper (Scipio Slataper, in Lettere d’oggi, III (1941), 3, pp. 3-18) e Giani Stuparich (Giani Stuparich, in Lettere d’oggi, III (1941), 8, pp. 1-7). Ma crebbe, fino a diventare prevalente, il suo interesse per la cultura educativa e in particolare per le opere di John Dewey, del quale pubblicò nel 1949 la traduzione dell’imponente Logica, teoria dell’indagine. Il punto d’approdo dei suoi interessi può trovarsi nella monografia John Dewey (1951). Nuove direzioni di ricerca sarebbero venute dalla fruizione di una borsa Fulbright: Visalberghi non riuscì tuttavia a incontrare Dewey, già morto quando arrivò negli Stati Uniti.
Al ritorno in Italia ebbe importanti esperienze di insegnamento presso l’Istituto magistrale di Aosta e cominciò il suo percorso accademico nelle università di Torino e Milano. Nel 1955 conseguì la libera docenza in pedagogia. Compreso nella terna dei vincitori, fu chiamato nel 1962 alla cattedra di pedagogia della facoltà di lettere dell’università di Roma. Sul versante teorico rivolse il suo impegno ad approfondire aspetti del pensiero deweyano relativi alla metodologia della ricerca, alla struttura del giudizio valutativo, alla centralità delle attività ludiche nello sviluppo cognitivo: a questi temi è dedicato Esperienza e valutazione (1958). Sul versante della ricerca empirica, che in Italia nella prima metà del secolo, soprattutto come conseguenza delle scelte culturali del fascismo, non aveva assunto la rilevanza raggiunta altrove, si impegnò per riprendere il cammino intrapreso fino alla prima guerra mondiale, specialmente da studiosi di orientamento positivista (culminato nella definizione da parte di Maria Montessori del metodo che reca il suo nome). Visalberghi operò per restituire sistematicità agli orientamenti della ricerca empirica in campo educativo. Nel 1955 pubblicò Misurazione e valutazione nel processo educativo, un libro che avviava in Italia la riflessione in un settore di importanza crescente per adeguare la didattica alle nuove esigenze della scolarizzazione, ma anche per migliorare, superando gli schematismi di senso comune, la qualità dei giudizi che investono le pratiche e gli effetti dell’educazione, ai diversi livelli di macro e microsistema.
L’inizio degli anni Sessanta fu caratterizzato da un aspro confronto sulla riforma della scuola media, a cui Visalberghi fornì un contributo essenziale, non limitato agli aspetti ordinamentali. Riteneva, infatti, che la riforma offrisse l’occasione per promuovere un nuovo approccio ai problemi dell’educazione e sostenne la necessità di affiancare a nuove norme un forte impegno per la ricerca nell’ambito della Commissione nazionale di indagine sullo stato e sullo sviluppo della scuola pubblica in Italia, che vedeva la partecipazione congiunta di parlamentari ed esperti. Grazie anche al sostegno politico che gli forniva Tristano Codignola, spostando l’asse delle argomentazioni dagli enunciati valoriali verso interpretazioni più comprensive, Visalberghi contribuì in modo rilevante a orientare i lavori della commissione. Le proposte allora formulate sono ancor oggi un esempio di ciò che si sarebbe potuto fare e che non si è fatto, lasciando che lo sviluppo del sistema scolastico fosse prevalentemente trascinato dal manifestarsi della domanda d’istruzione. Il salto di qualità verso il quale spingeva, comportava che si rinunciasse a considerare un numero modesto di variabili per la funzione indipendente o dipendente a esse riconosciute nel senso comune, e cioè che si considerassero indipendenti le variabili descrittive degli allievi, e dipendenti i risultati ottenuti tramite l’educazione scolastica. In altre parole, a suo dire occorreva respingere il determinismo nelle interpretazioni educative, lasciando che in esse prevalesse l’idea che le caratteristiche degli allievi dovessero essere considerate predittive degli effetti dell’educazione. Non si negava che potessero presentarsi eccezioni: forme di cooptazione consentivano a un piccolo numero di allievi delle classi subalterne di intraprendere un percorso di mobilità ascendente.
Negli anni Sessanta sono state sviluppate critiche radicali del determinismo educativo. La ricerca sociologica ha posto in evidenza gli effetti del condizionamento sociale e quella psicologica ha ridimensionato le predizioni di successo associate a interpretazioni genetiche dell’abilità mentale. La ricerca pedagogica ha raccolto tali indicazioni, nelle quali ha individuato grandi possibilità di estensione degli spazi di libertà per l’innovazione didattica. Ma ciò richiedeva, come Visalberghi aveva posto in evidenza, che fosse rivisto l’impianto delle dimostrazioni educative. Si trattava di passare da modelli nei quali cause ed effetti erano posti in successione lineare a modelli che considerassero cause ed effetti dal punto di vista sia sincronico sia diacronico.
Era abbastanza scontato che a migliori caratteristiche individuali corrispondessero risultati scolastici più positivi. Quel che non era per nulla scontato era che le migliori caratteristiche individuali fossero da considerare cause. Numerose ricerche avevano mostrato che le caratteristiche individuali, se rilevate in senso diacronico, fossero da considerare variabili dipendenti. Ma, dal momento che le caratteristiche individuali solo in parte erano da considerare effetti dell’educazione scolastica, si giungeva a una conclusione paradossale e cioè che i risultati scolastici fossero nella maggior misura l’effetto di esperienze non scolastiche.
Quella che si andava precisando negli anni Sessanta era una linea interpretativa che prendeva in considerazione l’insieme delle esperienze educative degli allievi. Visalberghi pose l’enfasi sulla rilevanza da riconoscere ai condizionamenti di contesto curando la pubblicazione nel 1964 di Educazione e condizionamento sociale. Si trattava di una serie di ricerche empiriche attraverso le quali acquistavano consistenza aspetti dell’educazione su cui, nei casi migliori, era stata riversata un’attenzione, per così dire, filantropica. È opportuno considerare che dall’impostazione che si è definita filantropica a quella volta a rilevare la concomitanza delle variazioni tra le esperienze esterne e quelle interne alla scuola c’è una differenza sostanziale: nel primo caso il modello complessivo dell’educazione non poteva che essere deterministico, per il fatto che individuava in caratteristiche proprie degli allievi le variabili indipendenti dei processo di istruzione, mentre nell’altro caso doveva essere considerata quanto meno una certa circolarità fra variabili indipendenti e variabili dipendenti al variare dei punti di vista. Se si fosse riconosciuto che alla base del determinismo c’era la solidificazione di una forma piuttosto rustica di induzione (quella per conferma), sarebbe emersa una complessità ben maggiore, che escludeva l’espressione di giudizi assertori solo giustificati dal riproporsi in tempi lunghi di fenomeni non troppo dissimili.
Le nuove linee dell’interpretazione educativa che venivano affermandosi dopo la metà del Novecento si orientavano verso la sostituzione di un criterio di dimostrazione centrato sul successo con uno capace di analizzare l’ampiezza e le ragioni degli insuccessi. Possiamo, infatti, sempre supporre che un esito positivo derivi dal congiungersi casuale di condizioni favorevoli, ma non il contrario, e cioè che l’insuccesso sia da riferire al caso. Ovviamente, a questa conclusione si giunge integrando apporti di varia origine: dalla biologia alla storia politica e sociale, dalla cultura letteraria a quella matematica e scientifica, dalla politica e dalla moltitudine delle scienze dell’uomo. Era questa la via virtuosa che Visalberghi aveva tracciato, nei confronti della quale si manifestava consenso purché non si pretendesse di ricavarne scelte capaci di modificare equilibri preesistenti.
Quella per la quale Visalberghi riteneva giusto impegnarsi era una scuola democratica, capace di assicurare un’effettiva uguaglianza delle opportunità educative. Per raggiungere tale uguaglianza occorreva assicurare le condizioni perché un corredo culturale di base fosse acquisito da tutti. Era un obiettivo condiviso con altri studiosi europei e americani, accomunati dal rifiuto di interpretazioni di senso comune: la scuola veniva meno al suo compito se accettava la predeterminazione sociale dei suoi esiti. Erano le posizioni espresse, con Visalberghi, da Benjamin Bloom, Torsten Husén, John Bissell Carroll e altri studiosi che, sulle due sponde dell’Atlantico, affermavano una comune fiducia sulla possibilità di contribuire attraverso l’educazione al progresso e alla pace. Molti di loro si trovarono d’accordo nel promuovere l’International Association for the evaluation of educational achievement (IEA), che agli inizi degli anni Settanta effettuò la prima grande indagine comparativa sull’apprendimento scolastico (Six subjects). La partecipazione italiana a quell’indagine fu sostenuta da Visalberghi, che propose anche, inascoltato, di istituire un Istituto nazionale per la ricerca educativa. I compiti dell’Istituto erano stati discussi in Problemi della ricerca pedagogica (1965). I risultati della ricerca IEA segnalavano tendenze negative che le ricerche successive non hanno fatto che confermare. Le misure ottenute mostravano una forte varianza nei risultati rilevati nelle diverse aree geografiche, fra scuole di vario tipo e in relazione alle differenze esistenti da un punto di vista sociale e culturale.
Negli anni Ottanta continuò a impegnarsi per la conoscenza educativa orientando in tal senso l’attività del Centro europeo dell’educazione, del quale era presidente. Visalberghi richiamò l’attenzione su temi che solo successivamente sarebbero stati considerati, come l’educazione alla pace, il rispetto per l’ambiente, la sostituzione del servizio militare con quello civile (anche per le ragazze), il contrasto dell’irrazionalità che trovava espressione in credenze parascientifiche. Anche dopo aver lasciato l’insegnamento continuò a impegnarsi per il progresso dell’educazione, in un quadro qualificato da una fruizione generalizzata dei diritti civili. Pubblicò volumi e coordinò collane presso molte case editrici e, insieme a Maria Corda Costa e Raffaele Laporta, diresse a lungo Scuola e città, la rivista fondata da Ernesto Codignola che nella seconda metà del Novecento ebbe una più decisa funzione di orientamento per la pedagogia laica. Non cessò mai il suo impegno politico: nel 1993 fu tra i fondatori del Movimento d’azione giustizia e libertà e nel 1997 fu candidato al Consiglio comunale di Roma. Morì il 12 febbraio 2007.
Opere. Gran parte degli scritti di Visalberghi sono disponibili in formato pdf nel sito spaziogutenberg.uniroma3.it/AldoVisalberghi. Si vedano inoltre, tra i suoi scritti, John Dewey, Firenze 1951; Misurazione e valutazione nel processo educativo, Milano 1955; Esperienza e valutazione, Torino 1958; Educazione e condizionamento sociale, Bari 1964 (con contributi di E. Becchi et al.); Problemi della ricerca pedagogica, Firenze 1965; Scuola aperta, Firenze 1973; Educazione e divisione del lavoro: prospettive della formazione tecnica e professionale nelle società tecnologicamente avanzate, Firenze 1973 (con la collaborazione di L. Borelli et al.); Linee di storia della pedagogia, I-III, Torino 1975 (con N. Abbagnano); Orientamenti per la sperimentazione didattica, Torino 1975 (con M. Corda Costa - B. Vertecchi); Pedagogia e scienze dell’educazione, Milano 1978 (con la collaborazione di R. Maragliano - B. Vertecchi); Scuola e cultura di pace: suggerimenti e spunti per gli insegnanti, Firenze 1985 (con la collaborazione di P. Cardoni).
Fonti e Bibl.: I figli di Visalberghi hanno donato all’Università di Roma La Sapienza 158 scatoloni di libri e documenti relativi all’attività di pedagogista, partigiano e cittadino socialmente impegnato che Visalberghi stesso aveva selezionato. Questa eccezionale documentazione è andata tutta perduta.
Evaluation. Studi in onore di A. V., a cura di N. Siciliani De Cumis, Roma 2002; A. V., in Cadmo. Giornale italiano di pedagogia sperimentale, XXVII (2019), 2, monografico pubblicato in occasione del centenario dalla nascita; A. V. e la pedagogia del Novecento, a cura di B. Vertecchi - C. Angelici, Roma (in corso di stampa).