Cicognini, Alessandro
Compositore, nato a Pescara il 25 gennaio 1906 e morto a Roma il 10 novembre 1995. Ha fatto parte di quel ristretto gruppo di artisti, in cui spicca il nome di Nino Rota, che più ha influenzato il gusto e la pratica della musica cinematografica italiana tra gli anni Trenta e gli anni Sessanta. Avvicinatosi alla composizione di musica per lo schermo sull'onda di quell'idealismo che, all'indomani dell'avvento del sonoro, aveva visto nel cinema il potenziale e legittimo erede del teatro musicale, C., forte di una solida tecnica e di una cultura eclettica, seppe attraversare senza incertezze le varie fasi ideologiche ed estetiche del cinema italiano. In particolare, partecipò alla grande stagione del Neorealismo, servendosi però di registri e modelli espressivi che erano piuttosto il retaggio stilistico del melodramma ottocentesco, con l'effetto di una peculiare discrasia linguistica, di cui sarebbe stato consapevole solo retrospettivamente. Fu il primo presidente dell'Associazione nazionale dei compositori di musica cinematografica, carica che ricoprì fin dal 1965.
Diplomatosi nel 1927 presso il Conservatorio G. Verdi di Milano, all'inizio degli anni Trenta, C. compose una cantata, Saul (1932), un'opera lirica, Donna lombarda (1933), e alcune pagine cameristiche. L'esordio nel cinema avvenne nel 1936 con Il corsaro nero di Amleto Palermi, ma fu con Ettore Fieramosca (1938) di Alessandro Blasetti che C. strinse il primo dei suoi inossidabili sodalizi. Erano chiari fin dall'inizio i tratti della sua scrittura: la predilezione per la voce umana e le ampie forme corali, la generosa cantabilità del melodizzare, i rutilanti impasti timbrici, il lirismo castigato e un'attitudine alla rilettura di tradizioni musicali nazionali che si sarebbe rivelata particolarmente proficua, in chiave mimetica, nel cinema in costume. C. colse risultati non meno felici in altre due opere di Blasetti: Un'avventura di Salvator Rosa (1939), dove rivisitava sapidamente la formula dell'opera buffa, e La corona di ferro (1941), pervaso anch'esso di baldanze ed esotismi di ascendenza operistica, e intessuto di soluzioni coloristiche memori del magistero di O. Respighi.
Nel secondo dopoguerra C. avviò con Vittorio De Sica una collaborazione che si sarebbe protratta negli anni; il regista, sensibile a un pathos di tipo pucciniano, sollecitò al compositore partiture, come quella per Sciuscià (1946), o la successiva per Ladri di biciclette (1948, premiata con il Nastro d'argento), o infine l'altra per Umberto D. (1952), tutte di squisita fattura formale, ma lontane dall'estetica neorealista, e tendenti invece all'estenuazione lirica, o addirittura al patetismo. Fu piuttosto dall'incontro con gli umori più surreali e cordialmente anarchici dello sceneggiatore Cesare Zavattini che nacquero gli esiti migliori: così in Prima comunione (1950), ancora di Blasetti, come in Miracolo a Milano (1951) e nel tardo Il giudizio universale (1961), ambedue di De Sica, l'arguzia melodica del musicista si coagulò con l'ironia agrodolce dei testi zavattiniani in tre deliziose filastrocche che ben compendiano la cifra morale e l'intima natura musicale degli apologhi messi in scena. Il nome di C. è poi legato ad alcuni film interpretati da Totò, come Guardie e ladri (1951) di Steno e Mario Monicelli, e L'oro di Napoli (1954) di De Sica, oltre che alla fortunata serie inaugurata da Pane, amore e fantasia (1953) di Luigi Comencini, e all'inesauribile epopea di Don Camillo: prodotti di gusto bozzettistico, tipici di un certo neorealismo rosa e di una satira politica leggera e popolare. Per quanto non prive di soluzioni vivaci e di una lepida inventiva, queste partiture erano già frutto della parabola discendente di C., di cui mostrano l'abilità e il mestiere più che la creatività. Al di là degli esiti sempre meno convinti e sottilmente anacronistici degli anni Sessanta, che ne preannunciarono il ritiro dal set, il compositore affidò il suo vero testamento a un kolossal mitologico del 1954, Ulisse di Mario Camerini: questo policromo affresco sinfonico, che accoglie episodi modali e un impiego della vocalità femminile di singolare suggestione, resta a testimoniare l'equilibrata densità d'espressione ma anche l'ampio respiro evocativo cui C., nella sua versatilità 'inattuale', fu in grado di pervenire.
F. Savio, Intervista ad Alessandro Cicognini, in Cinecittà anni Trenta, a cura di T. Kezich, Roma 1979; Dialogo sulla musica con Carlo Rustichelli e Alessandro Cicognini, a cura di M. Giusti, in "Filmcritica", 1980, 31, pp. 239-42; E. Comuzio, Alessandro Cicognini. Un musicista italiano per il cinema, in Trento cinema 1990: incontri internazionali con la musica per il cinema, Trento 1990, pp. 35-70.