FARNESE, Alessandro
Nacque a Parma il 10 genn. 1635, secondogenito del duca Odoardo Il e della duchessa Margherita de' Medici.
Il peggioramento dei rapporti tra il Ducato di Parma e la S. Sede per la questione di Castro rese impossibile un suo avviamento alla carriera ecclesiastica. Perciò, insieme con il fratello minore Orazio, gli venne impartita un'educazione militare. Nel 1653, mentre Orazio veniva nominato generale della Repubblica veneta, Ranuccio Il iniziò una trattativa con Filippo IV di Spagna per indurlo a chiamare il F. presso di sé, conferendogli un incarico adeguato al suo rango. Le prime risposte del re furono però negative: il sovrano si schermiva ed offriva l'aiuto del proprio ambasciatore a Roma per la ricerca di un cardinalato. Invece, la prematura morte di Orazio, nel novembre 1656, permise al F. di subentrargli nel grado e cominciare la sua lunga carriera militare e politica.
Andò subito a Venezia, ma non raggiunse la zona d'operazioni prima dell'agosto successivo, quando s'imbarcò su di una galea diretta in Dalmazia. Durante il viaggio conobbe Giuseppe Castelli, un benestante di Ripatransone, nell'Ascolano, fuggito dal suo paese dopo un omicidio, che più tardi sarebbe entrato al suo servizio fino al punto di diventarne il complice biografo.
Poiché la campagna in Dalmazia non gli diede alcuna soddisfazione, nel 1658 il F. rinunciò al generalato della cavalleria e tornò a Parma, dove le trattative con la Spagna continuavano. Tra il 1659 e il 1660 Filippo IV premiò l'insistenza del duca Ranuccio promettendogli che avrebbe esaudito il suo desiderio.
Il F. allora, volendo preparare degnamente il suo ingresso in Spagna ed acquisire esperienza e amicizie internazionali, organizzo un lungo viaggio per l'Europa, con meta finale Madrid. Il fratello gli assicurò le risorse finanziarie necessarie per dare ovunque buona impressione di sé. Il 6 ott. 1660, attorniato da un numeroso seguito di servitori, lasciò Parma alla volta della Francia. Dopo una breve sosta a Lione, alla fine di novembre, l'8 dicembre il gruppo arrivò a Parigi.
Perfettamente a suo agio all'estero, turbato solo dall'insorgere in lui dell'obesità ereditaria, il F. entrò con facilità in rapporto con l'alta aristocrazia, grazie all'ostentazione della maggiore opulenza possibile, di una costosa vita di corte, gioco, guardaroba, avventure galanti e teatro. Nel frattempo evitava, per quanto possibile, di prendere posizioni politiche, per non crearsi inimicizie od usurpare le prerogative del fratello duca che, proprio per questo, aveva dato ordine ai suoi ambasciatori di aiutare in ogni modo il principe e riferirgli qualsiasi cosa facesse.
Il 20 dicembre il F. ebbe udienza da Luigi XIV e dalla regina Maria Teresa d'Austria, che lo ammisero poi il 10 genn. 1661 al rito della guarigione delle scrofole. Conobbe il Mazzarino, Luigi II di Borbone principe di Condé ed altre personalità francesi. Nel marzo 1661 le notizie sulla restaurazione monarchica in Inghilterra lo indussero a partire per Londra. Il 2 maggio poté assistere alla solenne incoronazione di Carlo Il Stuart. Prima di ritornare in Francia, il 15, andò a visitare alcune navi da guerra inglesi.
Alla fine del mese, a Fontainebleau, il F. ottenne una buona notorietà a corte in virtù di recite, assai gradite dal re e dalla regina, della sua compagnia di comici italiani, che aveva fatto venire da Parma, ponendovi a capo un proprio servitore, A. Donati, nel ruolo di Tartaglia, e successivamente O. Zanotti. Il 2 agosto proseguì il viaggio, visitando le più importanti città delle Fiandre e dell'Olanda. Infine, convinto di avere ormai una sufficiente conoscenza delle cose del mondo, il 4 dicembre, dopo aver mandato il Castelli (che si era conquistato ormai la sua fiducia) a Colonia si diresse, via terra, verso Madrid.
Filippo IV accolse il F. con gli onori di un grande di Spagna, ma la conquista di un effettivo grado militare elevato e di un incarico di governo richiesero tempi più lunghi del previsto. Dal momento che la Spagna si trovava allora in stato di guerra con il Portogallo, il F. insistette perché gli fosse concessa l'occasione di dar prova delle sue virtù militari. Nel giugno 1662, così, andò in Estremadura per prendere contatto con i comandanti dell'esercito spagnolo ivi stanziato.
Li però, a causa di una malattia, il F. non poté muoversi fino ad ottobre, quando, per mancanza di rifornimenti, le operazioni militari vennero sospese. Guarito, e sempre accompagnato dalla sua corte di servitori e informatori (come P. Carri, che riferiva all'ambasciatore di Ranuccio II P. G. Lampugnani), lasciò nuovamente Madrid il 7 maggio 1663, al seguito dell'esercito di don Giovanni d'Austria, il suo più fidato amico spagnolo.
L'8 giugno il F. prese parte alla battaglia di Evora ed in premio, il 2 settembre, il re gli concesse il grado di generale della cavalleria italiana che, per ritardi burocratici e controversie con il generale Diego Corea, assunse effettivamente solo il 17 nov. 1664.
Il F. conduceva la guerra a modo suo. Non privo di ardimento sul campo di battaglia, poco si curava della disciplina della vita castrense. Come a corte, la sua principale preoccupazione era quella di dimostrare visibilmente l'altezza del proprio stato, spendendo grandi somme di denaro e concedendosi tutti gli agi e i lussi possibili. E proprio mentre in Estremadura si dedicava al suo svago preferito, il teatro, vide la giovane "comediante" Maria de Laó y Carillo, di Caceres, nota meretrice, di cui s'innamorò perdutamente.
Nonostante lo scandalo il F., a parte incontri occasionali con altre donne della medesima condizione, rimase legato alla Carillo per tutta la vita ed ebbe con lei quattro figli: due maschi, cui diede il suo stesso nome (il primo dei quali morì nel 1666, in tenera età, per un trauma cranico provocatogli da una caduta accidentale, alla presenza del padre), e due bambine, Margherita e Caterina, destinate giovani al monastero di S. Pietro in Parma.
Il Lampugnani tempestò di lettere il duca Ranuccio II, scrivendo preoccupato come il principe si facesse vedere assai più con quella donna che con i suoi ufficiali, i quali mormoravano "esagerando la mala vita che tiene" (Archivio di Stato di Parma, Casa e corte Farnesiana, s. 2, busta 31, f. 6). Se tali mormorazioni fossero arrivate al re, sosteneva, la carriera del F. sarebbe stata gravemente compromessa. Filippo IV, naturalmente, venne a sapere tutto. Nel gennaio 1665, per suo ordine, la Carillo fu condotta a forza in un monastero di Caceres, senza però essere privata del patrimonio e della possibilità di comunicare con l'amante. Questi non esitò a contravvenire a un comando regio: convinse il vescovo della città che, per potere meglio pentirsi, sarebbe stato più conveniente allontanare la donna da lui, mandandola lontano, a Madrid. Il 22 febbraio la Carillo uscì, in carrozza, da Caceres, ma appena fuori città "persone incognite" la rapirono, riportandola nascostamente al Farnese. A luglio la coppia si mostrò pubblicamente a Badajoz, dove la donna, considerandosi come una moglie, si firmava, tra lo stupore di tutti, Maria de Laó Farnese.
Filippo IV punì il F., ordinando, ancora senza effetto, che gli fosse tolta la donna ed affidando al Corea il comando generale della cavalleria di Estremadura. Il F. parve sul punto di dimettersi per l'affronto, ma Ranuccio II glielo sconsigliò, spronandolo a continuare il suo servizio presso gli Asburgo.
Tornato al fronte, il 19 febbr. 1665, il F. ideò un piano per prendere di sorpresa la città di Valenza d'Alcantara, che fallì per la mancata collaborazione dei comandanti le fanterie. Costoro infatti, avendo poca stima di lui, mal sopportavano i suoi ordini. Dopo la presa di Villa Viciosa, il 17 giugno il F. caricò, alla testa della sua cavalleria, i mercenari inglesi nella battaglia di Montesclaros. Durante lo scontro colpì con la spada il loro generale, il tedesco F. A. Schomberg. Per qualche tempo si credette che lo avesse ucciso, e il fatto salvò la buona reputazione militare del F., nonostante l'andamento sempre più negativo della guerra contro il Portogallo.
Filippo IV morì il 14 sett. 1665; nel 1666 la reggente Marianna d'Austria concesse al F. il sospirato comando generale della cavalleria dell'esercito d'Estremadura, in sostituzione del Corea, fatto prigioniero. La campagna continuò fiaccamente con scontri di mediocre entità, scorrerie e saccheggi, finché nel 1668 venne firmata la pace che sancì il riconoscimento dell'indipendenza portoghese.
Il F. si traferì a Madrid, in compagnia della Carillo, alla ricerca di altri incarichi, restandovi fino al 1675, quando per breve tempo divenne viceré di Navarra. Il 25 luglio 1676 Carlo II, appena uscito dalla minorità, lo nominò viceré di Catalogna.
Il F. trascurò del tutto l'amministrazione civile di quel paese, completamente assorbito dai problemi militari creati dalle pretese di Luigi XIV sulle frontiere. Già il 10 agosto, tre giorni dopo il giuramento nella cattedrale di Barcellona, mosse con l'esercito a Gerona per difendere la pianura dell'Ampurdán. Per risolvere la situazione, nel 1677 progettò un'offensiva nel Rossiglione. Il 3 maggio cominciò l'avanzata verso il confine francese ma, non volendo la Spagna rischiare una nuova guerra dichiarata contro la Francia, il 25 fu rimosso dall'incarico e richiamato a Madrid.La vita disordinata del F. aveva ora aggiunto all'ormai evidente obesità una dolorosa gotta (che finì con l'impedirgli di montare a cavallo) e i debiti, pari a 33.506 dobloni gravati da un interesse del 12% annuo. Nel 1678 toccò a Giovanni d'Austria chiedere al F. di rinunciare a quel legame che gli impediva di "assurgere a incarichi più gloriosi", in cambio del grado di generale del mare. Rispose di "non tenere genio al mare" e rifiutò. In giugno però riuscì ugualmente a farsi nominare cavaliere dell'Ordine del Toson d'oro e, non appena ricevette il prezioso collare, corse ad impegnarlo per poter disporre di denaro liquido, anche se Ranuccio II continuava ad inviargli sovvenzioni, rapidamente dilapidate.
Il F. attese un altro incarico di governo per un anno e mezzo, finché, dopo ripetuti tentativi, il nuovo inviato di Parma a Madrid, l'abate C. Ridolfi, riuscì ad "aggiustare" per lui la nomina a governatore generale dei Paesi Bassi, l'11 apr. 1680.
Il 31 luglio Carlo II ne diede l'annuncio ufficiale agli Stati e ai Consigli di giustizia di quelle province, dopodiché il F. s'imbarcò a La Coruña per le Fiandre, dove giunse il 19 ottobre. Su questa nomina il Ridolfi scrisse immediatamente una lunga relazione a Ranuccio II, pregando il duca che raccomandasse al fratello di porre fine al pubblico scandalo, di non fregiarsi del titolo di Altezza nei Paesi Bassi, dove era usato solo per gli arciduchi e gli infanti di Spagna, e di tener conto del malcontento di Fiamminghi e Spagnoli che già lo accusavano di "poca economia, di superflua ostentazione e di certa subordinazione pregiudiziale". Qualora le cose fossero andate male, presagiva il Ridolfi, egli avrebbe cercato di far concedere al F. il grado, già rifiutato, di generale del mare, per "levarlo dalle Fiandre" salvando l'onore.
Il F. ebbe cura questa volta di occultare il legame con la Carillo che, dopo una breve e comoda permanenza in un monastero, fece maritare a un compiacente segretario reale, Feliz de Ghia. Non volle però sentire ragioni in merito al proprio titolo: il 14 dicembre scrisse egli stesso a Ranuccio II, dicendogli che, piuttosto di accettare l'appellativo di Eccellenza e "soffrire una mortificazione cosi ingiusta" per la casa Farnese, si sarebbe dimesso (Archivio di Stato di Parma, Carteggio Farnesiano estero, busta 116, f.n.n. dal titolo: A. Farnese governatore dei Paesi Bassi). Il duca, ignorando gli ammonimenti del Ridolfi, nel gennaio 1681 difese le ragioni del fratello (e il suo stesso prestigio) con lettere a Carlo II e ai suoi ministri.Per la verità, gli Stati di Bruxelles avevano accolto bene il F., accettando di votargli, al suo arrivo, un donativo di 25.000 fiorini. Convinto però di rivivere le glorie del duca suo omonimo, non si accorse di trovarsi in un paese impoverito dalle guerre e dalla cattiva amministrazione. Attraverso un comportamento in pari tempo rude e militaresco, da una parte, e facendo mostra di lusso, vanità e favoritismi, dall'altra, s'inimicò tanto il partito fiammingo quanto il ceto burocratico spagnolo. Questi, di solito ostili l'uno all'altro, fecero così fronte unico contro il comune straniero. Inutilmente perciò il F. richiese al Parlamento nuovi sussidi e ingaggiò un'inutile lotta contro i deputati sui termini di pagamento dell'imposta annuale, che voleva anticipare.
La sua formazione militare lo portò, inoltre, a privilegiare i problemi della difesa e subordinare ad essi le questioni politiche ed economiche. Infatti, nel timore di un attacco francese, un mese dopo il suo insediamento nella carica concluse con le Province Unite un accordo commerciale che offriva vantaggiose tariffe alle loro esportazioni, in cambio di un contributo di truppe alle guarnigioni di frontiera. Gli effetti dannosi all'economia del paese si videro subito, i soldati olandesi invece no.
Nel 1681 un piano per la leva di nuove milizie non poté essere attuato perché mancavano i soldi per pagare quelle esistenti, gran parte delle quali, allo sbando, sopravviveva con atti di brigantaggio. Un progetto di riforma amministrativa ebbe simile destino, mentre l'ambizioso ampliamento della profondità dello Zuudleye, per permettere il passaggio diretto alle navi di grande stazza da Ostenda ad Anversa, incontrò l'opposizione della città di Bruges. Infine, l'arresto di un deputato della corporazione dei giardinieri rischiò di far scoppiare una rivolta generale a Bruxelles e fu giocoforza liberarlo, concedendo un'amnistia generale.
Il F. si rese conto che stava perdendo l'appoggio della corte spagnola, sommersa dai reclami contro di lui, ma non riuscì a modificare la situazione. Temendo di perdere anche quello del fratello, spedì a Parma documenti sul proprio governo, che imputavano all'anarchia delle autorità locali la triste situazione dei Paesi Bassi, e copie di ambascerie che gli inviavano Carlo II Stuart, Ernesto Augusto d'Osnabrúck, gli Olandesi ed altri principi.
Ranuccio II, proiettando la sua ambizione in quella del fratello, non interveniva su di lui in alcun modo e seguitava ad inviare sussidi tramite un suo agente a Venezia, P. Crescenzi. Il F. non smetteva infatti di aumentare le spese, stipendiando una corte degna di un re, dove imperavano i favoriti italiani, si mettevano in scena costose opere teatrali e, nonostante le condizioni di salute non sempre ottimali, avevano libero accesso "le amiche sue, che il rovinavano".
Carlo II, per non infliggere al F. un'altra umiliante destituzione, gli affiancò il 30 marzo 1682 il marchese di Grana Enrico ottone Dei Carretto, con l'incarico ufficiale di comandante l'esercito. Il F. capì il significato politico dell'atto e il 1º aprile, con una vera e propria fuga per evitare i creditori, lasciò Bruxelles, accompagnato dal figlio Alessandro. Nei Paesi Bassi, dei suoi molti progetti, era solo riuscito a realizzare quello di riaprire la scuola di equitazione e scherma per nobili dell'Accademia.
Ricomparve a Piacenza ed affidò al fratello il giovane Alessandro, perché fosse mantenuto in una condizione degna del suo rango. Quindi, prima che i documenti con i suoi debiti lo raggiungessero, colse l'opportunità offertagli di nuovo dalla Repubblica di Venezia ed il 21 dicembre accettò il grado di generale della fanteria nell'armata che, al comando di F. Morosini, combatteva per la conquista della Morea.
Ranuccio II fu travolto dalle lettere dei creditori e dei dipendenti del principe, abbandonati a loro stessi. Non bastando più le sue lettere di cambio per pagare un conto di 233.630 fiorini, per ordine del marchese di Grana il banchiere A. Zety di Anversa procedette all'asta pubblica dei beni del principe. Questa richiese, tanti erano gli oggetti da inventariare e i creditori da registrare, qualche anno per essere condotta a termine a Bruxelles. Il duca riuscì a portare in Italia, alla fine, solo parte della tappezzeria e della biancheria, ma non se ne dolse troppo, preoccupato solo del fatto che il fratello tornasse quanto prima in Spagna. Infatti, nello stesso 1682, tramite l'ambasciatore A. Serafini, aveva aperto una trattativa con Carlo II, allora però il momento e le circostanze erano ancora inopportuni.
Nel 1687, tacitata finalmente una buona parte dei creditori, il F. prese congedo da Venezia, che coniò per lui una medaglia, e rientrò a Madrid in ottobre. Lo seguiva il conte Gaspare Scotti con l'incarico, affidatogli dal duca, di far sì che tutte le vertenze esistenti con quella monarchia fossero messe da parte, di fronte all'esigenza prioritaria di far avere al F. una carica adeguata nel tempo più breve possibile. Il F., in effetti decise di accettare il grado di generale del mare ed ottenne anche il titolo di consigliere di Stato e gentiluomo di camera del re.
La regina, Maria Luisa d'Orléans, aveva persino intenzione di combinargli un matrimonio, ma Ranuccio II la pregò di desistere, affinché non si desse di nuovo adito alle voci del passato e "alle Gazzette materia simile". Tanto più che neanche il F. lo voleva, perché appena tornato in Spagna, riprese contatto con la Carillo, in tempo per salvare lei e il marito dallo sfratto e poco prima che la morte gliela togliesse definitivamente. Poiché in Spagna gli era rimasto ben poco di suo, ed aveva dovuto chiedere in prestito l'argenteria al fratello, in brevissimo tempo, con altri debiti, il F. creò una nuova corte personale. Il suo palazzo di Madrid, preso in affitto dal genovese Luca Giustiniani, si popolò di domestici italiani e spagnoli, due schiavi negri cristiani comprati a Lisbona, una ricca quadreria che annoverava una Natività del Caravaggio. Ranuccio II lo lasciò fare, contento di aver rinsaldato il legame della sua casa con la Spagna.
Nel dicembre 1688 peggiorarono le condizioni di salute del F., che stava pensando di richiamare a sé il figlio. Sembrava una malattia non grave ma, perdurando la febbre, decise di fare testamento. Nominò il fratello duca erede universale, raccomandandogli i tre figli, la servitù, e pregandolo di "degnarsi di pagare i suoi debiti". Morì, a Madrid, dopo ottanta giorni di infermità, l'11 febbr. 1689, probabilmente di meningite.
Il suo cadavere fu imbalsamato e sepolto, di notte, nella cappella di Nostra Signora di Capocavana della chiesa degli agostiniani scalzi di Madrid. Alla semplice cerimonia, in netto contrasto col suo tenore di vita, presenziò il principe Vincenzo Gonzaga. Lasciò offerte per 4.000 messe.
Ranuccio II si trovò nuovamente obbligato a far fronte ai debiti del fratello: anche questa volta dovette pagare vendendo tutti i beni lasciatigli in eredità e licenziando in tronco la maggioranza della servitù. Né il duca, né il figlio del F., Alessandro, riuscirono ad evitare due lunghe cause contro il marito e il padre della Carillo, Giuseppe (cui si aggiunsero altre persone), circa la proprietà della casa dove costoro abitavano e dei prestiti che anch'essi, anni prima, gli avevano concesso. Le vertenze si risolsero più tardi col pagamento, da parte dei Farnese, degli "alimenti".
Gli Spagnoli avrebbero forse tributato esequie più solenni al F. se, immediatamente dopo la sua morte, non fosse sopraggiunta anche quella, inaspettata, per indigestione della regina Maria Luisa. D'altra parte, nemmeno Ranuccio Il sarebbe stato così sollecito nei confronti dei creditori del fratello se, in conseguenza di ciò, non avesse progettato di dare sua figlia Margherita in sposa al re di Spagna. Questi si orientò invece verso Maria Anna di Neuburg, della cui sorella, Dorotea Sofia, lo stesso duca di Parma aveva chiesto la mano per il suo primogenito Odoardo.
La memoria del F., anche a causa delle disavventure del figlio, sopravvisse a lungo, come i suoi debiti. Ancora nel marzo 1723 un suo ex servitore venne chiamato in tribunale per giurare che il principe era morto davvero nel 1689.
Il F. non eguagliò il duca Alessandro, come avrebbe voluto, perché si lasciò prendere troppo dalle pompe e dall'esteriorità del secolo in cui visse, che però, proprio per questo, lo conobbe come uno dei più ragguardevoli membri della casa ducale di Parma e Piacenza. A testimonianza di ciò, numerosi furono i componimenti poetici a lui dedicati, raccolti da G. Melandro nelle Odi al principe A. F. generale contro le armi ottomane (non se ne conosce il luogo e la data di stampa) e da M. A. Gasperini in Il sonno. Oda per l'a. s. di A. F. principe di Parma, cavaliere dell'Ordine del Tosone e generalissimo dell'infanteria della Repubblica di Venezia, pubblicata a Venezia nel 1683.
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