Alessandro Magno
Re di Macedonia (356-323 a.C.), Alessandro III, detto Magno, nacque da Filippo II di Macedonia e Olimpiade. La sua nascita fu ben presto circondata da notizie misteriose, diffuse forse dalla stessa madre: lo si diceva concepito per opera di un serpente e per intervento di Zeus - nei mosaici della fine del sec. 4° d.C. di Baalbek (Ross, 1963a), in cui Filippo volge violentemente le spalle alla moglie, appare il fortunato schema di disconoscimento di paternità, ripreso nell'iconografia della Natività per s. Giuseppe - e già a quel primo istante risalgono le origini della sua straordinaria fortuna; ancora nel sec. 12° Ruperto di Deutz, nel De victoria verbi Dei (PL, CLXIX, col. 1408), riportava il prodigio.
A. ebbe come precettore Aristotele e un'eco del profondo rapporto che li legava sono le lettere, che si suppone l'allievo avesse scritto al filosofo durante la conquista dell'India e dove venivano raccontate straordinarie imprese, incontri con mostri e alberi meravigliosi, particolari teratologici di cui il Medioevo era avido, come testimonia la loro straordinaria fortuna iconografica. Tema invece di edificazione moralistica è quello di Aristotele cavalcato: il maestro, che aveva ammonito A. a guardarsi dall'amore di una cortigiana, accetta poi di servirle da cavalcatura, come mostra per es. l'affresco del 1303 di Memmo di Filippuccio nel palazzo del Podestà a San Gimignano. Re della Macedonia a soli vent'anni, A. mosse alla volta della Persia e nel 334 vinse Dario sul fiume Granico, iniziando così l'avanzata verso l'Asia Minore. Con la conquista di Persepoli e la morte di Dario nel 330, divenne l'incontrastato dominatore di tutto l'impero persiano; si volse ancora verso l'India, ma la stanchezza dei soldati lo costrinse a interrompere il cammino. Morì a Babilonia nel 323 a soli trentatré anni: la serie di ininterrotte conquiste dette immediato inizio a giudizi attoniti e meravigliati.
L'ammirazione 'popolare' per A. nel Medioevo fiorì attorno al Romanzo greco dello pseudo-Callistene (forse 200 d.C.), che si valse di fonti scritte e orali abilmente fuse fra loro: una traduzione latina, la prima, fu quella di Giulio Valerio, del 320-330. In essa non compare tuttavia l'episodio dell'ascensione al cielo sui grifoni: l'unica avventura che ebbe una versione monumentale, quindi l'unica ricca di significato anche per chi non fosse in grado di sfogliare i costosi manoscritti miniati; essa compare invece nella traduzione latina dell'arciprete Leone (fra il 951 e il 969), da un codice greco perduto nella sua forma originale. Il racconto era però già formato nel sec. 4°, come testimonia un accenno di rabbi Jona nel Talmud di Gerusalemme (Abodah Zara, 42c). Secondo il racconto, A., arrivato con l'esercito presso il mar Rosso e salito su una montagna così alta da sentirsi "quasi in cielo", pensò al modo di far realtà della sua impressione: fece costruire un ingenium, legarvi due grifoni con catene e, poste davanti a loro aste munite in cima di carne, prese a salire al cielo. Ma "una divinità, avvolgendoli con la sua ombra", li fece ricadere a terra incolumi: dall'alto la terra gli era sembrata come un'aia circondata dal mare, come fosse un serpente; l'avventura si conclude con l'acclamazione dell'esercito.
La più antica rappresentazione di tale immagine è su una stoffa, forse copta, del sec. 7°, conservata in Francia nel tesoro della chiesa di Saint-Martin a Montpezat-de-Quercy, già secondo l'iconografia più diffusa, con le braccia simmetricamente alzate fra due grifoni affrontati su un carro, che nel mondo occidentale può essere anche un paniere (una biga nel mondo bizantino). Nel costituirsi di questo schema confluirono vari temi, tutti di significato trionfale: basti ricordare la quadriga del sole, quella guidata dall'auriga vittorioso nelle corse del circo o quella dell'imperatore al ritorno da una guerra vittoriosa; anche la disposizione araldica della scena rimanda alla tipica espressione di dominio del 'master of animals'. L'ascensione tuttavia, proprio per il suo esplicito contesto trionfale, poteva - se recepita in una dimensione iperbolica - trapassare a un significato del tutto negativo, simbolo di un temerario e smisurato orgoglio (per un elenco completo delle fonti letterarie su A. nel Medioevo, in parte basato su quelle tramandate dall'Antichità, si veda Cary, 1956).
La sua figura fu tenuta viva da una mole imponente di traduzioni, in tutte le lingue, del Romanzo greco, testo caratterizzato da una stupefacente instabilità testuale, proprio per il continuo desiderio dei vari redattori di aggiungere ulteriori notizie e dettagli all'affascinante figura di Alessandro. Egli è presente anche in moltissime cronache, prediche e commenti biblici: delle due profezie di Daniele (Dn. 7, 6; 8, 3-6), quella del leopardo con quattro ali e quattro teste, quella del capro che attacca l'ariete per vincerlo e rompergli le corna, la canonica interpretazione, offerta per la prima volta da s. Girolamo (Comm. in Danielem; PL, XXV, col. 529ss.), è che si alluda alle conquiste del Macedone dovute alla volontà di Dio. Ancora nella Bibbia (1 Mac. 11, 17-62) si parla brevemente di A., della divisione del suo impero e dei suoi successori, fino ad Antioco, nemico e persecutore dei Maccabei e dei loro seguaci: fin da tempi assai antichi, così come i Maccabei divennero la raffigurazione del perfetto cristiano, Antioco divenne quella del diavolo e dell'Anticristo; A. nei commenti medievali a questi passi, che utilizzavano soprattutto i giudizi negativi di Orosio (Historiarum adversus paganos libri septem, III, 76; CSEL, V, 1882, p. 171ss.) e Giustino (Compendio delle Historiae Philippicae di Pompeo Trogo), divenne il simbolo della più luciferina superbia e la somma di tutti i vizi.
Questa linea era ormai tradizionale nel sec. 12°; l'immagine dell'ascensione di A., quando compare nel mondo occidentale nell'ambito di un edificio sacro, ha questo preciso significato didascalico negativo: la scalata al cielo, come già il biblico tentativo della torre di Babele, diviene così il simbolo di un colpevole orgoglio. In area tedesca si ricordi il portale laterale della chiesa parrocchiale di Remagen (sec. 13°), un capitello della cattedrale di Basilea (seconda metà del sec. 12°; la scena è unita a quella del Peccato di Adamo ed Eva) e uno del duomo di Friburgo in Brisgovia (sec. 13°), dove la raffigurazione è associata alla sirena, tradizionale simbolo di lussuria, forse allusione all'altra grande impresa di A., la discesa nel mare, che, a eccezione degli arazzi Doria (Roma, Gall. Doria Pamphilj), è confinata solo nelle miniature (Ross, 1967a). In Inghilterra il tema appare solo su cinque 'misericordie' intagliate, tra il 1330 e il 1340 (Remnant, 1969), come pura e semplice ripetizione di uno schema popolare, che ben si adattava allo spazio disponibile sulla parte inferiore del sedile degli stalli del coro. È il Meridione normanno l'area di massima diffusione della rappresentazione di questo tema in Italia, con connotazioni fortemente negative, dovute non solo al carattere di esemplarità accordato dalla Chiesa a questo tema profano, come appoggio a un discorso più propriamente religioso (nell'illustrazione del peccato di orgoglio), ma all'influenza di ambienti collegati alla corte normanna come fonte ispiratrice: infatti l'avversione normanna per i Bizantini (anche se il re normanno voleva apparire il naturale continuatore dell'imperatore di Costantinopoli), identificava nella figura del macedone il simbolo del re greco sconfitto. L'ascensione di A., modello nel mondo bizantino del kalós basiléus frustrato nella propria ambizione, convoglia in sé i due atteggiamenti estremi dell'ostilità e della desiderata emulazione. Il tema appare nel mosaico pavimentale della cattedrale di Otranto (1163-1165; associato alla torre di Babele), in quello frammentario della cattedrale di Trani (sec. 12°; con il Peccato dei progenitori), in due capitelli della cattedrale di Bitonto (sec. 13°; dove è anche mostrata la miserevole, rovinosa caduta) e nel distrutto mosaico pavimentale della cattedrale di Taranto (1160; riprodotto, ma già in uno stato troppo frammentario, in un disegno, perduto, del 1844; Antonucci, 1942). Motivo puramente decorativo è il rilievo della chiesa di S. Domenico a Narni (fine del sec. 12°). Il significato positivo che della leggenda si dà nella lunetta del portale di S. Maria della Strada a Matrice (Campobasso; sosta per i pellegrini in cammino verso S. Michele al Gargano o S. Nicola di Bari), cui viene unita l'iscrizione tratta da Mt. 7,21 a simboleggiare il desiderio del cielo da parte del buon cristiano, è da connettersi probabilmente all'influenza del 'programma' generale delle sculture di S. Maria, riferite alla Chanson de Roland, traduzione sulla pietra di racconti di ambito francese (ambito favorevole al Macedone). Al di fuori dell'area culturale normanna, ma pur sempre compreso nella sfera di influenza francese (per il confronto con miniature francesi del Romanzo in prosa) è il rilievo posto sul campanile destro della cattedrale di S. Donnino a Fidenza (sec. 12°-13°).
Gli esempi citati si concentrano per la massima parte nel sec. 12°: da notare che la superbia, radix vitiorum, è spesso rappresentata da un monarca in trono o come un re posto alla radice dell'albero dei vizi; tale dominio fu attribuito alla superbia sino alla fine del sec. 12°, trasferito invece all'avarizia a partire dalla prima metà del 13° secolo. Questo mutamento coincise con il sostituirsi a una nobiltà terriera di tipo feudale (che aveva come principale vizio la superbia e corrispondente virtù, l'umiltà) di una società di mercanti, il cui vizio 'professionale' era la cupidigia, condannata dalla predicazione degli Ordini mendicanti, soprattutto il francescano, che additavano come ideale supremo la povertà (Little, 1971).
Il declino della popolarità del tema dell'ascensione in complessi monumentali, destinati a un vasto pubblico, a partire dal sec. 13°, coincise con la detronizzazione di Superbia come regina vitiorum e con la sostituzione di Avarizia sul trono del peccato. Nel mondo occidentale solo la Francia accolse il tema in una dimensione non completamente negativa: la presenza di una forte tradizione cortese generò la fioritura di romanzi che avevano A. per protagonista positivo e cavalleresco, generoso eroe di coraggiose imprese in bellissimi manoscritti miniati, e influì anche sull'accoglimento nella versione monumentale della leggenda, che assunse un significato neutro o, seppure raramente, positivo. Si ricordi il distrutto mosaico di Moissac (descritto nella Cronaca di Aymery de Peyrac, abate di Moissac nel 1377-1406; Parigi, BN, lat. 4941 A, cc. 103v-104r) e il capitello dello stesso chiostro (1100 ca.; il tema è senz'altro interpretato positivamente, perché accostato a Davide che abbatte Golia); due capitelli (sec. 12°), uno ora a Thouars (Mus. Mun.) e l'altro nella cattedrale di Saint-Vincent a Chalon-sur-Saône; i rilievi del distrutto portale della cattedrale di Nîmes (sec. 13°), conosciuti da un disegno del 1625 (Parigi, BN, lat. 8648; Frugoni, 1973). Negli arazzi Doria (tessuti probabilmente a Tournai fra il 1450 e il 1460 per il duca di Borgogna Filippo il Buono), il sovrapporsi delle fattezze del duca a quelle del padre di A. (cui si è certo aggiunto anche il compiacimento per l'omonimia) e di Carlo il Temerario al Macedone che sale al cielo, mostrano quale perfetta integrazione esistesse fra la favola antica 'storicamente' vissuta nei suoi nobili protagonisti medievali e i modelli di vita proposti a un sovrano attraverso la grandezza di eroi classici, ridestatisi nei ricercati costumi e nelle meravigliose avventure di un cavaliere di romanzi. La pretesa alla signoria universale, propria dell'ideologia bizantina, è legata indissolubilmente alle straordinarie conquiste del Macedone: nei discorsi encomiastici per i vari imperatori, il paragone con A. divenne così un tópos letterario; modello dell'imperatore bizantino, lo stesso Macedone venne trasformato in uno di loro.
Il Romanzo di A. nella cultura dell'Impero romano d'Oriente ebbe un peso così notevole che a partire dal sec. 4° sostituì man mano tutte le altre fonti sulla sua storia, delle quali si continuarono solo a trarre citazioni, senza alcun arricchimento. Nella recensione del Romanzo dello pseudo-Callistene si giunse addirittura a una santificazione, con l'introduzione dell'episodio della visita a Gerusalemme e delle onoranze rese dal Macedone alla religione degli Ebrei: particolare importante, perché ebbe un'eco diffusa nei cronisti bizantini. Fu soprattutto attraverso i commenti alle profezie della Bibbia, in particolare a quella di Daniele, che si giunse alla completa 'santificazione': tale recupero del pagano A. non è altro che l'attribuzione al Macedone dell'ideologia imperiale bizantina, che voleva il sovrano protetto dal Signore e guidato da lui nelle sue vittorie. L'ascensione veniva usata come unico soggetto adatto a ornare una corona principesca (diadema della Coll. Khanenko, sec. 11°-12°; Kiev, Kievskij muz. zapadnogo i vostočnogo iskusstva), come tema principale per una coppa destinata a un principe (coppa di rame smaltato, sec. 12°; Innsbruck, Tiroler Landesmus. Ferdinandeum), ripetuta due volte su un grande vaso di argento dorato, il cui proprietario possiamo supporre ricco e nobile (Leningrado, Ermitage, sec. 12°-13°), su un oggetto destinato al Palazzo (smalti della Pala d'Oro, sec. 11°; Venezia, S. Marco), o su una preziosa cassettina d'avorio (Darmstadt, Hessisches Landesmus., sec. 10°-11°). All'immagine dell'ascensione era attribuito anche un preciso valore apotropaico, come mostrano una bulla di piombo, la quale porta sul retro i Ss. Elena e Costantino che sostengono la croce (Leningrado, Ermitage, sec. 10°), una panaghía (medaglione sacerdotale) russa del sec. 14°, proveniente dal monastero di Zarai (e ivi conservata), e una moneta del principe Boris Alexandrovič di Iver (1426-1461). Tre anelli d'oro bizantini (Washington, Dumbarton Oaks Research Lib. and Coll., sec. 11°; Atene, Nat. Archaeological Mus., dalla Coll. H. Stathatos, sec. 12°; Roma, Coll. C. Cellini, forse del sec. 13°) presentano il volo di A. come simbolo protettivo. In una lettera di Giovanni Italo, teologo e filosofo bizantino del sec. 11°, si afferma che medaglie con l'effigie di A. assicurano perfino "dal contagio della peste" (Frugoni, 1973). Un significato analogo è da attribuire ad alcuni tessuti bizantini giunti in stato frammentario, dalla stoffa di Montpezat-de-Quercy, che avvolgeva le reliquie contenute in un filatterio, all'esemplare conservato nella chiesa di St. Patrokli a Soest (sec. 12°), usato per un cuscino da reliquie, al frammento di ispirazione bizantina, ma di fabbricazione tedesca, di Ratisbona (sec. 13°; perduto, già a Berlino, Schlossmus.) e a un altro analogo conservato al Deutsches Textilmus. di Krefeld (sec. 11°-12°); il soggetto era sentito anche adatto per paramenti ecclesiastici.
Nei rilievi bizantini su pietra, A. è sempre raffigurato con gli abiti dell'imperatore bizantino e su un carro trionfale, come mostra la lastra marmorea, una volta incrostata di pietre preziose o smalti, nella Santa Sofia a Costantinopoli (sec. 12°) e i rilievi di Venezia (S. Marco, lato nord, sec. 12°-13°), di Tebe (Archaeological Mus., sec. 10°-11°), del Monte Athos (monastero di Dochiario, la scultura è incastrata nel parapetto di una finestra, sec. 14°), di Mistrà (chiesa della Perìbleptos, murato nel pavimento, sec. 14°). Altri rilievi con l'ascensione si trovano in Russia, a Vladimir, nella cattedrale della Dormizione (sec. 12°) e nella chiesa di S. Demetrio (sec. 12°), in quella di S. Giorgio a Juriev Polskj (sec. 13°), accostati a temi con valore apotropaico; sono chiese costruite e decorate, come spesso a Costantinopoli, in stretto legame con il palazzo dei principi: mostrano l'influsso dell'arte palatina di Bisanzio e testimoniano il rapporto strettissimo esistito, nei secc. 10°-13°, fra la Russia e Costantinopoli.
Dal sec. 10° al 12° una fitta serie di testimonianze letterarie documenta l'alta opinione che di A. avevano gli imperatori bizantini che a lui si richiamavano, e non è quindi un caso che le rappresentazioni bizantine dell'ascensione di A. si situino in un arco di tempo corrispondente. Nel mondo occidentale invece, al di fuori della Chiesa, l'immagine di A., un A. profano, continuava a vivere solo nelle miniature che commentavano i lussuosi manoscritti delle sue storie e nella letteratura ecfrastica, dove le sue avventure sono immaginate ad adornare nobili castelli, come nel poema L'intelligenza, attribuito a Dino Compagni, o nell'Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo. La miniatura con A. e i grifoni poteva essere aggiunta a un testo con il quale non aveva nessun legame: è il caso di un manoscritto della Historia scholastica di Pietro Comestore (metà del sec. 13°; Aquisgrana, Coll. P. Ludwig, 10, c. 222v) dove, pur narrandosi la storia del Macedone, manca l'avventura celeste: A. per il miniatore è, deve essere, A. con i grifoni, sentito come inseparabile dalla sua impresa più celebre e più fortunata nell'iconografia. Ma l'evolversi degli ideali delle forme di vita dal Medioevo al Rinascimento coinvolse anche la fortuna di A.: la nuova era, con il suo desiderio di verità, di precisione storica, che comportava la soppressione di ogni invenzione poetica e dell'elemento meraviglioso, voleva dire la fine delle storie favolose e di tutte le leggende che si erano accumulate su di lui. Una maggiore aderenza alle fonti antiche cancellava la concezione medievale di A. 'cristiano', protetto da Dio o comunque in relazione con la divinità: egli ritornava a essere un grande eroe pagano, conquistatore del mondo, coraggioso e magnanimo in battaglia.
Nessuna traduzione monumentale è stata data di tutte le altre imprese meravigliose di A., dalle sue gesta in India, dove combatté mostri semiumani e bestie fantastiche (con uno specchio contro il basilisco, e poi contro giganti, contro la regina delle amazzoni e così via), fino all'altra grande impresa, speculare all'ascensione: la discesa in mare, dentro una botte di vetro assicurata a una barca da una catena che, in alcune versioni, l'infedele moglie Rossana lascia cadere, senza riuscire nell'intento di uccidere il marito A., che aveva portato con sé un gatto, un cane e un gallo per conservare la nozione del tempo e per controllare il grado di impurità dell'aria (gli animali infatti sarebbero morti prima dell'eroe). A. assiste a uno spettacolo bellissimo, osservando le varie forme di pesci e addirittura le sirene che nuotano intorno al suo 'batiscafo': il soggetto ebbe molta fortuna come tema per le miniature, che pure illustrarono con grande varietà di particolari le altre imprese (Ross, 1967a). Per tutti questi soggetti manca qualsiasi interpretazione moralistica e solo eccezionalmente la discesa in mare è additata come esempio di colpevole orgoglio (Ross, 1967a).
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