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Manzoni, Alessandro

L'Unificazione (2011)
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Manzoni, Alessandro


Scrittore e poeta (Milano 1785 - ivi 1873). Alessandro Manzoni nacque da Giulia Beccaria (figlia dell’illuminista Cesare), al tempo della nascita di Alessandro sposata con Pietro, esponente della piccola nobiltà lombarda. Voci diffuse già all’epoca ritenevano però che il padre naturale fosse Giovanni Verri, fratello minore di Pietro e Alessandro. I genitori si separarono nel 1792 e il giovane Manzoni trascorse l’infanzia e l’adolescenza, fino al 1801, tra la casa di campagna della famiglia paterna, e nei collegi religiosi dei padri Somaschi (prima a Merate, poi a Lugano) e Barnabiti (a Milano), dove ricevette una buona educazione classica e dove cominciò a sviluppare la sua passione per la poesia, in crescente contrapposizione con un ambiente conservatore, sospettoso e ostile ai grandi cambiamenti che in quegli anni sconvolgevano l’Europa. Quando a sedici anni uscì dal collegio con idee razionaliste e libertarie, si trovò rapidamente in sintonia con la cultura milanese del periodo napoleonico, stringendo amicizia con i profughi napoletani Vincenzo Cuoco e Francesco Lo Monaco. Nel 1805, dopo la morte di Carlo Imbonati, che dal 1795 conviveva Parigi con Giulia Beccaria, raggiunse la madre in Francia e vi rimase fino al 1810, sviluppando in quegli anni, in un contesto intellettuale e sociale estremamente ricco e variegato, quelle posizioni sulla politica, la letteratura e la religione che l’avrebbero accompagnato per il resto della sua vita. In ricordo di Imbonati, del quale stimava il grande rigore etico e intellettuale, Manzoni scrisse nel 1806 un carme intitolato In morte di Carlo Imbonati. L’inizio del periodo parigino fu però soprattutto segnato da un ritrovato rapporto con la madre, figura sino ad allora sempre distante, con la quale si creò rapidamente un’intensa relazione affettiva. A Parigi frequentò gli ambienti intellettuali degli illuministi e degli ideologi, ma il rapporto forse più importante fu  quello con Claude Fauriel, che divenne un punto di riferimento per la sua attività di scrittore. Gli anni parigini videro anche i primi contatti con ecclesiastici di orientamento giansenista che, ancora prima dell’incontro a Milano con Enrichetta Blondel, destinata a divenire sua moglie nel 1808 con il rito calvinista, influenzarono certamente il suo orientamento religioso e contribuirono a quella che viene definita la sua «conversione». Anche la Blondel affrontò con grande rigore una profonda riflessione sulle sue convinzioni religiose, avvicinandosi al cattolicesimo, convincendo il marito a risposarsi con rito cattolico. Nel 1810 Manzoni tornò definitivamente a Milano. La sua visione del mondo e del ruolo della letteratura nella società era ormai organicamente interna al cattolicesimo e anche i suoi riferimenti politici ne erano fortemente condizionati. Compose in questi anni gli Inni sacri (1812-1815), che, nel rifiuto del classicismo, andavano aprendo anche i termini di un percorso molto personale verso la poetica romantica e verso quella visione del sentimento nazionale che avrebbe connotato la sua successiva produzione. In Italia Manzoni condusse la vita del possidente, dividendosi tra la casa milanese e la villa di Brusuglio, dedicandosi allo studio, alla scrittura, alla pratica religiosa, alla famiglia. Vicino al movimento romantico milanese, ne fu parte attiva, promuovendo anche riunioni nella sua abitazione, ma mantenne un costante distacco dalle polemiche con i classicisti e non partecipò all’esperienza del «Conciliatore». Non dissimile fu il suo atteggiamento nei confronti della politica contrassegnato da un sincero sentimento patriottico, ma alieno da un coinvolgimento diretto, come se Manzoni fosse piuttosto interessato a far parlare i protagonisti delle sue opere e a investirli di una missione culturale e civile: sono questi infatti gli anni in cui nacquero i componimenti Aprile 1814, Il proclama di Rimini, Marzo 1821, Il cinque maggio, le tragedie Il conte di Carmagnola (1820) e Adelchi (1822), le prime versioni dei Promessi sposi (con il titolo di Fermo e Lucia) per arrivare nel 1827 alla pubblicazione della prima edizione de I promessi sposi. Con il 1827 si può considerare conclusa la fase più fertile della sua creatività letteraria, anche se Manzoni, con il rigore e lo scrupolo che lo caratterizzavano, si impegnò in una radicale revisione linguistica e stilistica del suo capolavoro che si protrasse dal 1827 al 1839; la «risciacquatura in Arno» che, nel depurare il romanzo da qualsiasi inflessione regionale lombarda, rappresentò il riuscito tentativo di dare una lingua nazionale all’Italia avviata verso l’unità politica. L’edizione definitiva dei Promessi sposi fu infine pubblicata tra il 1840 e il 1842. La poesia veniva ormai considerata da Manzoni «falsa» rispetto al «vero storico e morale» e gli interessi dello scrittore, anche in seguito al prolungato sforzo critico che aveva condotto sulla sua opera, divenivano quelli linguistici, storici e filosofici. In questa prospettiva all’amicizia con Claude Fauriel si sostituì quella con Antonio Rosmini, che divenne un interlocutore privilegiato e una guida spirituale. Una salute malferma si associò a una serie di lutti familiari con la morte della amatissima moglie Enrichetta nel 1833 e quella della primogenita Giulia Claudia nel 1834. Nel 1837 si risposò con Teresa Borri Stampa, che, più giovane di venti anni, morirà però nel 1861. Nonostante un atteggiamento sempre schivo e appartato, il successo letterario e l’attività pubblicistica, avevano ormai trasformato Manzoni in un personaggio pubblico, l’interprete di un vero progetto culturale con il quale offriva alla nuova Italia borghese omogeneità e consapevolezza della propria funzione. Durante le Cinque giornate, nel 1848, si schierò con nettezza, anche se con l’abituale distacco, su posizioni patriottiche e democratiche dando alle stampe Marzo 1821, che per anni aveva tenuta nascosta, e divenendo un punto di riferimento per l’area cattolico-liberale. Il nuovo Stato non tardò a riconoscere il suo ruolo e i suoi meriti, nel 1859 gli fu assegnato da Vittorio Emanuele II un vitalizio e, nel 1860, fu nominato senatore del Regno d’Italia. Nel dicembre 1864 andò a Torino per votare in Senato il trasferimento della capitale d’Italia a Firenze in attesa che potesse essere portata a Roma. Manzoni, nel suo cattolicesimo laico e rigoroso, era infatti contrario al potere temporale della Chiesa, e favorevole a Roma capitale, tanto da accettarne nel 1872 la cittadinanza onoraria con grande scandalo dei cattolici tradizionalisti. Un ruolo centrale ebbe Manzoni nel complesso dibattito che nell’Ottocento si sviluppò sulla questione della lingua, essendo l’unificazione linguistica considerata strumento fondamentale di coesione nazionale. La teoria manzoniana, che tanta influenza esercitò nel corso del secolo, fu quella fiorentinista che prevedeva di assumere quale lingua nazionale il fiorentino vivo, attuale, parlato dai ceti colti, ovvero una lingua antiaccademica, «strumento vivo di una società viva», in sostanza una lingua non confinata nella sfera letteraria, ma strumento della comunicazione sociale. A questo proposito sono da ricordare, oltre alla lettera a Giacinto Carena Sulla lingua italiana (1845), la relazione al ministro Broglio Dell’unità della lingua e dei mezzi per diffonderla, e le due lettere al ministro Bonghi Intorno al libro «De vulgari eloquio» e Intorno al vocabolario. Alla sua morte gli furono tributati solenni funerali e fu sepolto nel famedio del Cimitero monumentale di Milano. A un anno dalla morte Verdi gli dedicò la sua Messa da Requiem eseguita nella chiesa di San Marco e poi alla Scala.

Vedi anche
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