RACCHETTI, Alessandro
RACCHETTI, Alessandro. – Nacque a Genova il 2 marzo 1789 da Andrea e da Isabella Bellocchio.
Poco dopo la sua nascita i genitori, appartenenti ad agiate famiglie cremasche, fecero ritorno a Crema. La coppia ebbe anche Vincenzo (che diventò professore di medicina legale presso l’Università di Pavia), Rocco, Rosa, Giuseppe (che fu autore di romanzi e cronache cremasche). Dalle seconde nozze di Andrea con Antonia Bissoni nacquero Emilio, Teresa, Isabella.
Compiuti i primi studi fra le mura domestiche sotto la guida dello zio sacerdote Antonio, Racchetti frequentò il ginnasio di Crema e il Liceo dipartimentale milanese di Brera. Per intraprendere lo studio delle scienze giuridiche, nel 1805 si trasferì all’Università di Pavia, dove ebbe come maestri Elia Giardini, Giuseppe Prina, Tommaso Nani, Adeodato Ressi, Giuseppe Tamburini. Proclamato dottore in legge nel 1808, decise di proseguire gli studi legali presso la Scuola speciale di alta legislazione di Milano diretta da Gian Domenico Romagnosi. Intrapreso il biennio di pratica legale presso lo studio dell’avvocato Andrea Squadrelli, per il tramite del quale ebbe modo di frequentare altri celebri giurisperiti milanesi come Antonio Maria Borghi e i fratelli Carlo e Giuseppe Marocco, nel 1810 conseguì presso la Corte d’appello di Milano l’idoneità all’esercizio dell’avvocatura. L’anno successivo accettò la proposta del ministero della Pubblica Istruzione del Regno d’Italia di trasferirsi a Treviso per insegnare diritto civile presso il Regio liceo del Dipartimento del Tagliamento. Nel 1813 la Corte di giustizia civile e criminale della città lo autorizzò a svolgere anche la professione di avvocato.
Dopo la nascita del Regno Lombardo Veneto (1814) il governo austriaco decise di affidargli provvisoriamente la cattedra di diritto e procedura criminale presso l’Università di Padova, incarico che Racchetti mantenne dal 1815 al 1817, allorché divenne professore effettivo di procedura giudiziaria, notarile e di stile degli affari. Nel 1819 l’Ateneo gli attribuì in via temporanea anche l’insegnamento di diritto civile, che lasciò al termine dell’anno successivo. Fu nominato rettore dell’Università padovana per il biennio 1826-27 e prorettore nel 1847 e nel 1848, mentre a partire dall’ottobre 1849 svolse le funzioni di direttore della facoltà politico-legale. All’inizio del 1848 gli era stato conferito il ruolo di facente funzioni di magnifico rettore in considerazione della stima di cui aveva sempre goduto presso le autorità, in seno al corpo accademico e fra gli studenti per la sua integrità morale, l’impegno profuso in favore del bene pubblico, la sollecitudine nell’adempiere ai propri doveri con costanza e assiduità, la moderazione nel giudicare l’operato altrui. Da lui ci si aspettava che riuscisse a «calmare lo spirito della gioventù» e a «prevenire nuovi eccessi» (Del Negro, 2003, p. 66). Sotto la sua guida il senato accademico si impegnò non soltanto a garantire il regolare svolgimento delle lezioni, ma anche a minimizzare la portata delle agitazioni studentesche e a fornire agli universitari ogni tipo di assistenza.
Dopo la fine della prima guerra d’indipendenza (22 agosto 1849) continuò a essere tenuto in alta considerazione dai funzionari dell’amministrazione imperiale, che lo annoveravano fra i notabili locali da coinvolgere nella riorganizzazione della struttura amministrativa del Regno Lombardo Veneto. Nella primavera del 1850 si recò a Vienna con un gruppo di ventuno fiduciari rappresentanti le province lombardo-venete per partecipare a una conferenza convocata dal ministero dell’Interno onde ottenere dei pareri sulle riforme politico-istituzionali e giudiziarie da introdurre in Lombardia e Veneto. L’anno successivo il governo gli conferì l’incarico di prendere parte ai lavori della commissione convocata a Verona per formulare delle proposte sul riordinamento della pubblica istruzione e degli studi ginnasiali.
Nel corso degli anni fu insignito dei titoli di imperial regio consigliere nel 1838, di cavaliere della corona di ferro di terza classe nel 1847, di commendatore dell’Ordine imperiale di Francesco Giuseppe nel 1854. Entrato a far parte dell’Imperial regio istituto veneto di scienze, lettere e arti nel 1839, ne fu eletto presidente nel 1850.
Descritto da colleghi e allievi come un uomo moderato e austero, di animo indulgente e imparziale nell’esercizio delle sue funzioni, sempre animato da una devozione quasi religiosa per il diritto e dalla volontà di acquisirne una salda padronanza in tutti i suoi aspetti teorici e applicativi, Racchetti contribuì a formare nel corso degli anni una vasta «coorte di giudici, e d’avvocati bene avviati» (Nievo, 1996, p. 54), rendendo agevole e interessante lo studio di materie spesso considerate dagli studenti difficili e aride alla stregua di un «cumulo indigesto di leggi» (Sforza Benvenuti, 1888, p. 234).
Pur non avendo mai acconsentito a pubblicare le sue lezioni manoscritte di diritto criminale e civile, esse ebbero tuttavia un’ampia circolazione – sotto forma di appunti redatti da chi aveva frequentato i suoi corsi – non solo in ambito universitario, ma anche fra i professionisti del foro (avvocati, giudici, notai), e furono spesso citate dai redattori di commentari e manuali come autorevoli fonti cui attingere.
Le lezioni di diritto e procedura criminale furono molto apprezzate sia per l’accurata e sicura padronanza di una materia così difficile da esporre, sia per la scelta di seguire le orme del suo maestro Romagnosi cercando, per quanto possibile, di integrarne – se non addirittura migliorarne – gli insegnamenti. In merito alle lezioni concernenti la procedura giudiziaria e notarile furono soprattutto le delucidazioni date ad alcuni capitoli del Regolamento generale del processo civile del 1815 – come nel caso delle disposizioni concernenti il processo edittale regolante il concorso dei creditori – a fare da scuola e a servire da modello per gli autori di trattati diretti a porre in «armonia fra di loro ed in riscontro» (Giordani, 1828, pp. 109 s.) le norme austriache. In alcuni casi, peraltro, vi fu addirittura chi fu accusato di aver reso pubbliche le «sottilissime disquisizioni» e le «soluzioni d’intricati problemi» delineate da Racchetti riproducendone pedissequamente le parole e confidando nel fatto che «al modesto Autore delle predate lezioni rimaneva […] l’intima convinzione, che il frutto non veniva scemato punto dal furto» (Cittadella Vigodarzere, 1856, p. 23).
Con la sola eccezione del discorso pronunciato a Padova nel 1826 in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico, non diede mai l’autorizzazione a stampare i suoi scritti, probabilmente a causa di una concomitanza di fattori quali la grande modestia, l’eccessiva acribia nel valutare il valore della sua produzione scientifica, un esagerato e minuzioso perfezionismo nel pretendere di conoscere e padroneggiare tutte le più recenti novità in campo giuridico.
Nella citata prolusione del 1826 recante il titolo Del retto amore della gloria sottolineò le ragioni per cui l’umiltà e la prudenza avrebbero dovuto guidare i letterati e gli scienziati nel delicato momento di prendere la decisione di rendere pubbliche le proprie idee e convinzioni, onde non correre il rischio di essere additati come autori di «scritti informi» (Discorso inaugurale..., 1827, p. 15) e poco meditati, privi di originalità e frutto di insufficienti cognizioni, o persino assemblati plagiando intuizioni e pareri altrui. Nel giorno che precedette la sua morte manifestò ai fratelli il rammarico per non aver mai raggiunto, nella continua rielaborazione dei suoi scritti, quell’elevato «grado di perfezionamento e di politura» (Prefazione a Procedure speciali. Lezioni di Alessandro Racchetti, 1854, p. IV) confacente alla stampa.
L’unica pubblicazione delle sue carte manoscritte vide la luce postuma nel 1854, allorché il fratello Rocco curò la stampa a Crema presso la tipografia Delmati di un volume intitolato Procedure speciali.
In tale opera furono raccolte le lezioni di Racchetti aventi come oggetto le specifiche regole contemplate dal Regolamento generale del processo civile del 1815 con riferimento alle controversie commerciali, la procedura cambiaria di cui alla Norma di giurisdizione del 1819, la Procedura sommarissima per turbato possesso del 1825, le forme processuali utilizzabili ai sensi del Regolamento di procedura sommaria in affari contenziosi civili del 1850 in presenza di uno specifico accordo fra le parti oppure in relazione alle liti di lieve valore e a quelle relative a locazioni immobiliari o a rivendicazioni salariali del personale domestico. Nell’esporre le peculiarità di queste speciali procedure, come pure di ogni altro aspetto del diritto processuale, egli venne costantemente guidato dalla convinzione che senza una sicura padronanza delle regole disciplinanti il lungo e articolato succedersi degli atti giudiziali persino la più perfetta conoscenza del diritto sostanziale sarebbe risultata del tutto inutile, in quanto «sempre incerto, spesso ingiusto, e talora impossibile sarebbe il decidere», mentre di una profonda e sicura conoscenza della procedura si poteva dire che essa «ammaestra» l’avvocato e «forma» (Nardi, 1854, p. 12) il giudice, indicando al primo come difendere il suo assistito e al secondo come pervenire a una decisione in grado di assicurare gli interessi della giustizia, dei più deboli e della collettività intera.
Morì a Genova il 24 aprile 1854.
Non si sposò né ebbe figli, e alla sua morte lasciò come eredi i fratelli e i nipoti, figli dei fratelli a lui premorti.
Opere. Oltre a quelle citate nel testo, si segnala il Discorso inaugurale letto nella Grand’Aula dell’I. R. Università di Padova per l’apertura di tutti gli studi nel giorno III dicembre MDCCCXXVI, Padova 1827.
Fonti e Bibl.: G.N. Giordani, I paragrafi del Regolamento del processo civile vigente nel Regno Lombardo Veneto posti in armonia fra di loro, Treviso 1828, pp. 109 s.; F. Nardi, Orazione funebre in lode del cavaliere A. R., Padova 1854; G. Tolomei, A. R. Brevi cenni biografici, Padova 1854; A. Cittadella Vigodarzere, Memorie funebri antiche e recenti raccolte dall’Ab. Gaetano Sorgato, Padova 1856, pp. 22 s.; G. Venanzio, Biografie di membri effettivi dell’I. R. Istituto, in Atti dell’I. R. Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, X (1864-1865), pp. 781-802.
F. Sforza Benvenuti, Dizionario biografico cremasco, Crema 1888, pp. 234 s.; I. Nievo, Scritti giornalistici, a cura di U.M. Olivieri, Palermo 1996, pp. 53 s.; P. Del Negro, L’8 febbraio 1848: un moto studentesco?, in Archivio veneto, s. 5, CXXXIV (2003), 195, pp. 63-96.