Alessandro VI
Rodrigo Borgia nacque a Jàtiva in Spagna nel 1431 da Jofré de Borja e da Isabel de Borja, sorella del futuro Callisto III (papa dal 1455 al 1458). Nel 1449 fu chiamato a Roma dallo zio e nel 1452 mandato a studiare a Bologna ove, nel 1456, si laureò in diritto. L’appoggio del pontefice gli consentì di realizzare una straordinaria carriera in curia: notaio della Sede apostolica nel 1455, cardinale diacono di S. Nicola in Carcere nel 1456, commissario delle truppe pontificie nel 1457 e vicecancelliere della curia romana. L’accumulo di cariche gli consentì di acquisire una profonda esperienza curiale, un enorme potere politico nonché straordinarie risorse economiche. Ebbe da diverse donne nove figli. Da Vannozza Catanei nacquero: Cesare, Giovanni, Lucrezia e Goffredo. Concorse attivamente alla elezione di Pio II (1458); fu incisivo nel Conclave che designò Sisto IV (1471). Alla sua morte tentò di farsi eleggere, ma non riuscendo, fece convergere i propri voti sul cardinale Cibo, papa Innocenzo VIII (1484). Finalmente, fu eletto papa all’unanimità l’11 agosto 1492 e prese il nome di Alessandro VI.
Morto Lorenzo il Magnifico (1492), il gioco politico italiano rimase nelle mani di Ludovico il Moro, signore di Milano, e di Ferrante re di Napoli. La strategia dell’equilibrio, sancita dalla pace di Lodi (1454) di fronte all’aggressiva politica di Francia e di Spagna, rivelò tutta la sua debolezza. A. si trovò a dover scegliere tra i due contendenti.
Contrario a Ferrante re di Napoli, che appoggiava il cardinale Giuliano Della Rovere, suo acerrimo nemico, e gli Orsini, riottosi feudatari dello Stato pontificio, A. rafforzava i legami con Milano e con Venezia partecipando alla lega di San Marco (1493).
Questa politica spinse Ferdinando il Cattolico e Ferrante di Napoli a cercare una riconciliazione con il pontefice, sancita nel 1493 dai matrimoni di Giovanni e Goffredo, suoi figli, rispettivamente con Maria Enríquez, cugina del re d’Aragona, e con Sancia d’Aragona, figlia illegittima del duca di Calabria.
Il nuovo orientamento portò il papa a concedere le ‘bolle Alessandrine’ che tracciavano la così detta raya pontificia, stabilendo, a tutto favore dei re cattolici, le zone di influenza spagnole e portoghesi nelle terre scoperte da Colombo e in quelle da scoprire.
A. contrastò le rivendicazioni di Carlo VIII, che aspirava al Regno di Napoli, e riconobbe invece la successione di Alfonso II d’Aragona; ma ciò non dissuase Carlo VIII dall’intraprendere la campagna in Italia (1494) e dall’entrare minaccioso a Roma. Il papa aderiva quindi in funzione antifrancese alla lega Santa con Venezia, Milano, Spagna e impero (1495).
Nel 1497 la morte di Giovanni, il figlio prediletto, scosse profondamente A., tanto che sembrò voler procedere a una profonda riforma della Chiesa, con alcune aperture verso le tesi del Savonarola, il quale da anni predicava contro la corruzione della Chiesa; il piano di riforme non fu però mai attuato. La morte di Giovanni favorì invece Cesare (cardinale dal 1493), che restava l’unico erede delle aspirazioni politiche di Alessandro. Cesare abbandonò il cardinalato per diventare un principe laico e A. ne sostenne le aspirazioni cercando in Europa gli appoggi politici necessari a realizzarle. Dopo un vano tentativo con i re cattolici e con il re di Napoli Federico, il pontefice si rivolse a Luigi XII, successore di Carlo VIII sul trono di Francia, che avanzava rivendicazioni sul ducato di Milano e sul Regno di Napoli, e con lui giunse a un accordo che consentì a Cesare di avviare la conquista della Romagna.
Nel 1500, dopo i trionfi riportati dai turchi nel 1498-99, A. emanò la bolla della crociata alla cui realizzazione si era dedicato sin dall’inizio del pontificato.
Al suo appello risposero soltanto la Spagna e Venezia, che però nel 1502 fece pace con i turchi vanificando i risultati sino ad allora conseguiti. Nel 1501 A. aderì al trattato di Granada, che sanciva la fine della dinastia aragonese di Napoli e la spartizione del Regno tra Francia e Spagna.
Nella primavera del 1501, la Romagna era ormai interamente nelle mani di Cesare, duca Valentino, Dux Romandiolae, e con la costituzione dei ducati di Sermoneta, di Nepi e di Camerino – rispettivamente assegnati a Rodrigo, figlio di Lucrezia, e a Giovanni Borgia, l’‘infante romano’ la cui paternità resta incerta –, il papa vincolava alla propria famiglia un ampio territorio e tentava così di realizzare nel centro Italia un forte e duraturo potere signorile che entrava in contrasto oggettivo con l’interesse della Francia. Avviò quindi contatti diplomatici con Venezia e con Ferdinando il Cattolico, fino ad avvicinarsi, nel luglio 1503, al tentativo spagnolo di riannodare la lega Santa in chiave antifrancese. Nel mezzo di quelle trattative, il 18 agosto di quell’anno, Alessandro VI moriva. Fonti, anche coeve, hanno suggerito che il pontefice fosse stato avvelenato, ma più probabilmente A. morì per un violento attacco di malaria: nell’agosto 1503 si era, infatti, diffusa a Roma una grave epidemia.
M. non conobbe personalmente A., ma la centralità di quel pontificato lo portò comunque a seguirne la parabola:
Alessandro VI, [...] di tutti e pontefici che sono mai stati, mostrò quanto uno papa e col danaio e con le forze si poteva prevalere […]. E benché la ’ntenzione sua non fussi fare grande la Chiesa, ma il Duca, nondimeno ciò che fece tornò a grandezza della Chiesa: la quale dopo la sua morte, spento il Duca, fu erede delle sua fatiche (Principe xi 12,13).
L’analisi di M. è lucida, senza sbavature e acquista vigore alla luce del successivo pontificato di Giulio II.
A. con il denaro e con la forza aveva trasformato l’assetto da tempo costituito all’interno delle terre dello Stato pontificio, creando un ampio dominio personale che intendeva destinato al figlio Cesare. L’immatura scomparsa del pontefice vanificò la signoria del Valentino, ma i duri colpi inflitti alle piccole signorie tra Romagna, Marche e Umbria prepararono il terreno all’incisiva azione politica del successore: «Venne di poi papa Iulio e trovò la Chiesa grande» (Principe xi 14). M. individua in A. il campione dell’inganno e dell’opportunismo, un modello di ‘virtù’ politiche come la simulazione e dissimulazione:
Alessandro sesto non fece mai altro, non pensò mai ad altro che a ingannare uomini, e sempre trovò subietto da poterlo fare: e non fu mai uomo che avessi maggiore efficacia in asseverare, e con maggiori iuramenti affermassi una cosa, che la osservassi meno; nondimeno sempre gli succederno gl’inganni ad votum, perché conosceva bene questa parte del mondo (Principe xviii 12).
Riferendo un’opinione del cardinale Francesco Soderini, M. annota che fra le altre laude che si possevano dare di grande uomo al papa e al duca, era questa: che siano conoscitori della occasione e che la sappiano usare benissimo; la quale oppinione è approvata dalla esperienza delle cose condotte da loro con la opportunità (Del modo di trattare i popoli della Valdichiana ribellati, § 35, in SPM, p. 465).
Durante la prima legazione in Francia M. stigmatizza la brama di conquista del pontefice, «il suo sfrenato desiderio» (M. alla Signoria, 2 ott. 1500, LCSG, 1° t., p. 481) e il suo «appetito vasto di dominare» (M. ai Dieci, Roma, 30 nov. 1503, LCSG, 2° t., p. 426): giudizi questi che vanno comunque ricondotti alla volontà irrefrenabile di concentrazione del potere e di sottomissione delle forze disgregatrici presenti nello Stato pontificio. La centralità dell’azione di A. nel contesto politico generale e nell’avventura del Valentino è ben chiara a M., che attribuisce al pontefice in toto la ratio del progetto poi realizzato da Cesare. Non c’è aspetto politico o diplomatico che non lo veda direttamente coinvolto:
«questa impresa che ’l papa fa in Romagna» (M. alla Signoria, 25 ott. 1500, LCSG, 1° t., p. 501). A. si impegna per il figlio, usando tutto il proprio carisma: il pontefice, scriveva M. durante la prima legazione in Francia, «con ogni instanzia ricerca da questa Maestà favore per la impresa di Faenza, per aggiugnerla a Furlì e Imola per il suo Valentinese» (M. alla Signoria, 12 ag. 1500, LCSG, 1° t., p. 426). La campagna combattuta in Romagna da Cesare, è dunque in realtà preparata dal papa. E, anzi, nella prospettiva più distaccata nonché più ampia e comprensiva dei Discorsi, la vicenda di Cesare Borgia risulta ricompresa e sussunta in quella del pontificato del padre: «La Romagna, innanzi che in quella fussino spenti da papa Alessandro VI quegli signori che la comandavano» (Discorsi III xxix 4). Ma non era impresa facile, neanche per un pontefice del calibro del Borgia, creare un forte dominio signorile nel cuore dell’Italia: «Aveva Alessandro VI, nel voler far grande il Duca suo figliuolo, assai difficoltà presente e future» (Principe vii 10). La stretta dipendenza della sorte del figlio dalle vicende del padre segna la debolezza di quel progetto, che non sfugge a M.: «Cesare Borgia, chiamato dal vulgo duca Valentino, acquistò lo stato con la fortuna del padre e con quella lo perdé» (Principe vii 7). Questa dipendenza mina inesorabilmente lo Stato borgiano: «Poi che Alessandro fu dal cielo ucciso, / lo stato del suo duca di Valenza / in molte parte fu rotto e diviso» (Decennale I, vv. 463-65).
Bibliografia: Fonti: J. Burckard, Liber notarum ab anno MCCCCLXXXIII usque ad annum MDVI, a cura di E. Celani, in RIS2, 32.1, 1907-1910; I Diari di Marino Sanuto, a cura di F. Stefani et al., 1°-6° voll., Venezia 1879-1881; De València a Roma. Cartes triades dels Borja, edició i estudi de Miquel Batllori, pròleg de M. Prats, Barcelona 1998.
Per gli studi critici si vedano: G.B. Picotti, Alessandro VI, in Enciclopedia dei papi, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1° vol., Roma 2000, con aggiornamenti bibl. di M. Sanfilippo, ad vocem (con bibl. prec.); Roma di fronte all’Europa al tempo di Alessandro VI, Atti del Convegno, Città del Vaticano 1999, a cura di M. Chiabò, S. Maddalo, M. Miglio, A.M. Oliva, 3 voll., Roma 2001; Principato ecclesiastico e riuso dei classici. Gli umanisti e Alessandro VI, Atti del Convegno, Bari-Monte Sant’Angelo 2000, a cura di D. Canfora, M. Chiabò, M. de Nichilo, Roma 2002; Alessandro VI e lo Stato della Chiesa, Atti del Convegno, Perugia 2000, a cura di C. Frova, M.G. Nico Ottaviani, Roma 2003; Il Lazio e Alessandro VI. Civita Castellana, Cori, Nepi, Orte, Sermoneta, a cura di G. Pesiri, Roma 2003; Le rocche alessandrine e la rocca di Civita Castellana, Atti del Convegno, Viterbo 2001, a cura di M. Chiabò, M. Gargano, Roma 2003; Alessandro VI dal Mediterraneo all’Atlantico, Atti del Convegno, Cagliari 2001, a cura di M. Chiabò, A.M. Oliva, O. Schena, Roma 2004; A. Fernández de Córdova Miralles, Alejandro VI y los Reyes Católicos. Relaciones político-eclesiásticas (1492-1503), Roma 2005; La fortuna dei Borgia, Atti del Convegno, a cura di O. Capitani, M. Chiabò, M.C. De Matteis, A.M. Oliva, Bologna 2000, Roma 2005; De València a Roma a través dels Borja, València 2000, coords. P. Iradiel, J.M. Cruselles, València 2006.