alfabetizzazione
Un apprendimento che non finisce mai
Con la parola alfabetizzazione si intende l'insegnamento e l'apprendimento delle abilità minime della comunicazione scritta: leggere, scrivere e far di conto. Questo insegnamento è rivolto ai bambini e agli adulti che non hanno avuto l'opportunità di frequentare la scuola. Le moderne società occidentali sono quasi completamente alfabetizzate, ma nel mondo gli analfabeti sono ancora più di un miliardo. Oggi si affaccia il problema dell'alfabetizzazione funzionale, cioè la necessità di assicurare a ogni cittadino il possesso di quelle capacità minime che gli consentano di partecipare in modo attivo e consapevole alla vita politica, sociale ed economica del suo paese
Alfa e beta sono le prime due lettere dell'alfabeto greco. Essere alfabeta significa quindi 'possedere l'alfabeto', cioè lo strumento essenziale per leggere, scrivere e far di conto (in alfa e beta, per estensione, sono inclusi i numeri). L'an-alfabeta, invece, è colui che non è in grado di compiere queste operazioni. L'espressione alfabetizzazione, però, è applicabile in senso proprio solo alle scritture con un alfabeto, in cui cioè a ogni segno (vocale o consonante) corrisponde un determinato suono, ed è riferibile ad altri tipi di scrittura solo per analogia. Quando non si è alfabeti, la possibilità di comunicare è affidata alla parola (linguaggio orale), ai gesti (linguaggio gestuale), alle immagini (linguaggio visivo). Per comunicare, in questi casi, dobbiamo essere in presenza della persona cui ci rivolgiamo: essere comunque a portata di voce (utilizzando, per esempio, il telefono), o di sguardo e udito (radio, televisione, cinema). Inoltre, nella comunicazione interpersonale quello che diciamo e che gli altri ci dicono esiste solo nel momento in cui viene detto. L'alfabetizzazione, invece, ci consente di superare i limiti di spazio e di tempo propri delle forme di comunicazione orale. Gli antichi Romani esprimevano questo concetto con una frase rimasta proverbiale e che si usa ancora oggi: verba volant, scripta manent ("le parole volano via, gli scritti rimangono").
Con l'alfabetizzazione ‒ che in Italia avviene frequentando la scuola elementare ‒ si apre un mondo nuovo e un modo nuovo di stare nel mondo: grazie alle capacità alfabetiche, per esempio, possiamo ricostruire cosa pensavano uomini vissuti molti secoli prima di noi, comunicare con persone anche molto lontane, fare calcoli più o meno complessi. Aumentano anche i nostri poteri di azione. Se per esempio vogliamo prendere un treno, dobbiamo essere in grado di leggere gli orari ferroviari; se vogliamo comprare qualcosa, dobbiamo saper leggere e calcolare il prezzo, e così via.
Le società umane non hanno sempre letto, scritto e fatto di conto. La storia dell'alfabetizzazione ha inizio molte migliaia di anni fa e si può far risalire ai primi tentativi di fissare graficamente un'idea, attraverso un simbolo, su una pietra o su un osso. È una storia che si accompagna a quella della scrittura, anche se segue ritmi e tempi diversi. Nei secoli passati la pratica dell'alfabeto è stata spesso poco diffusa e in alcune società l'essere alfabeta non era ritenuto un valore: per esempio, i re Merovingi (la prima dinastia che governò sui Franchi dal 5° alla metà dell'8° secolo d.C.) erano analfabeti, in quanto si riteneva poco dignitoso per un sovrano possedere abilità che avessero a che fare con il lavoro. Ma ancora nel Novecento Idi Amin Dada, dittatore dello Stato africano dell'Uganda, era quasi analfabeta; nonostante ciò, attraverso i suoi funzionari riusciva ad amministrare il suo paese e a intrattenere rapporti internazionali. In altre società, per esempio nell'antico Egitto e nell'antica Cina, le abilità alfabetiche erano patrimonio di caste di funzionari (gli scribi, i mandarini), che ne facevano uno strumento di potere. Anche nell'Italia medievale il possesso di queste abilità era prevalentemente nelle mani del clero, che monopolizzava di fatto l'istruzione, da cui il popolo era in gran parte escluso.
In Europa la Riforma protestante, a partire dal 16° secolo, ha dato un forte impulso all'alfabetizzazione. Infatti, mentre nel cattolicesimo il rapporto fra il credente e Dio è mediato dalla Chiesa, unica interprete dei testi sacri, nel protestantesimo questo rapporto è diretto, per cui ogni credente deve essere in grado di leggere, in modo da poter interpretare autonomamente le Sacre Scritture. Dalla fine del 18° secolo, con l'Illuminismo e la rivoluzione industriale, l'alfabetizzazione ha cominciato ad assumere un carattere più diffuso, fino a diventare l'oggetto ‒ soprattutto con l'introduzione dell'istruzione obbligatoria ‒ delle politiche di scolarizzazione degli Stati nazionali. Ma, per ragioni sociali, politiche ed economiche, un'alfabetizzazione generalizzata ha stentato molto ad affermarsi. Nel caso dell'Italia, per esempio, la quota di analfabeti, calcolata sulla popolazione di età superiore ai 6 anni, era del 78% nel 1861 e del 12,9% nel 1951. All'inizio del 21° secolo nel nostro paese (ma anche, per esempio, in altri Stati europei e negli Stati Uniti) esiste ancora una quota di analfabeti. Se poi consideriamo la popolazione mondiale nel suo complesso, includendo le nazioni sottosviluppate e in via di sviluppo, il numero degli analfabeti supera il miliardo.
In società complesse come le nostre, però, parlando di alfabetismo non si indica più il solo possesso delle abilità del leggere, scrivere e far di conto. L'alfabetismo, e quindi l'alfabetizzazione, ha assunto un significato molto più ampio. Per esempio, se non sappiamo usare un computer, possiamo essere considerati pienamente alfabeti? E se non sappiamo indirizzare correttamente una lettera? O leggere un segnale stradale? O compilare un modulo? O, ancora, se aprendo un giornale non riusciamo a interpretare facilmente e correttamente gli articoli? O se non comprendiamo un linguaggio tecnico (giuridico, economico, politico, medico) legato a specifiche discipline o professioni? In questi casi parliamo di analfabetismo funzionale. Negli anni Novanta del Novecento è stata condotta negli Stati Uniti una ricerca sull'analfabetismo funzionale, per individuare il possesso o meno, da parte della popolazione di età superiore ai 15 anni, di un certo numero di competenze, ritenute il minimo indispensabile (soglia di alfabetismo) per vivere in quella società. Chi non era in possesso di queste competenze minime veniva definito analfabeta funzionale. Al termine della ricerca è risultato che l'analfabetismo funzionale riguardava più del 40% della popolazione americana.
Anche in futuro, sempre più, l'attività di alfabetizzazione sarà finalizzata non solo a fornire le abilità strumentali del leggere, scrivere e far di conto, ma anche quelle conoscenze e competenze minime che consentono di vivere in modo attivo e consapevole. Inoltre, in società in cui innovazione e cambiamento hanno ritmi molto intensi, questo processo di alfabetizzazione funzionale tenderà a divenire sempre più esteso, riguardando anche persone adulte e già istruite.
La prima alfabetizzazione si fa a scuola, ma dobbiamo sempre continuare a migliorare le nostre conoscenze per non correre il rischio di diventare analfabeti funzionali. Come per i muscoli del corpo, anche le abilità alfabetiche vanno tenute in costante allenamento perché si rafforzino e non deperiscano. Soprattutto in passato, molti adulti, pur essendo stati alfabetizzati da giovani, sono andati via via perdendo abilità già apprese per mancanza d'uso e di esercizio. In questi casi si parla di analfabetismo di ritorno. Oggi si può diventare analfabeti funzionali pur senza perdere le abilità alfabetiche di base. È per questo motivo che anche gli adulti (che un tempo erano oggetto di alfabetizzazione solo nel caso in cui non sapessero né leggere né scrivere) sono oggi, e lo saranno ancor più in futuro, coinvolti in attività di alfabetizzazione funzionale.